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Helvetica Neue, il nuovo font di iphone

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Chi non ama gli Helvetica Neue, il nuovo font di iphone?!
Helvetica Neue è la scelta più sbagliata possibile per un carattere destinato agli schermi di uno smartphone. Troppo esile! Difficile da leggere! E allora? Alla Apple sono ammattiti? Sono davvero felice che il responsabile del design Apple, Sir Jonathan Paul “Jony” Ive… un mago del design moderno, abbia deciso che il “carattere” per una volta fosse più importante della mera usabilità! Pazienza se qualche volta non si vede un fico secco!
Un po’ di storia tanto per intenderci che non parliamo di fuffa!
Il carattere della nuova grafica dell’ios7, l’Helvetica Neue, nasce dalla grande famiglia dei font Helvetica creati nel 1957 da Max Miedinger per le fonderie Haas.
Caratteri resi famosi da Massimo Vignelli nell’89 per la segnaletica di New York e qualche anno prima nel 1984 per essere stati introdotti tra i font di sistema del Machintosh.
Se i caratteri tipografici sono il cuore della grafica, gli Helvetica sono la grafica.
Eleganti, perfetti in tutte le versioni dalle light alle bold.
A me ricordano i tempi dei Letraset, i trasferibili da comporre a mano sui fogli di lucido! Nostalgia canaglia… dei Letraset riparleremo.
Troppo sottili i caratteri usati per gli schermi di iphone?! Forse, tant’è che si è già corsi ai ripari con una versione meno light. Nulla toglie alla bellezza del caratterere anche se la luminosità dello schermo certo “brucia” e rende più difficile la lettura dei caratteri troppo sottili.
Troppo sottili?! Ecchissenefrega! Gli Helvetica Neue Sono bellissimi!

Correre, creatività e salute mentale.

correre-e-creatività-634“La regola vuole che un vero gentiluomo non parli delle sue ex fidanzate, né delle tasse che paga. No, tutto falso. Scusatemi, me lo sono inventato in questo momento. Ma se questa regola esistesse, forse imporrebbe anche di  –  non parlare di ciò che si fa per mantenersi in buona salute… “
Così inizia nella sua prefazione Muratami Aruki in  “L’arte di correre” e qualche riga dopo chiosa: “Io però, come tutti sanno, non sono un gentiluomo, quindi del galateo me ne infischio.”  Ecco, me ne infischio anch’io, perciò proverò a spiegarvi in tutta franchezza perché la corsa sia così importante per me come per tanti altri e che nesso abbia con la creatività.
Già un’attività che viene ripetuta quotidianamente assume una certa valenza estetica che la sottrae al mondo banale  e le conferisce un significato più profondo.
Come a Murakami, come a tutti quelli che corrono mi è stato chiesto spesso cosa penso durante una corsa lunga, una maratona o addirittura una corsa ancora più lunga. Non penso a niente! Correre mi permette di svuotare completamente la mia mente e il mio cuore da pensieri e tensioni. Subito dopo essermi dato questa risposta rifletto e mi dico che non è vero. Ho la fortuna di correre quasi tutti i giorni lungo una splendida pista ciclo–pedonale che fiancheggia il torrente Agno, incontro sempre le stesse persone che camminano, vanno in bici o corrono come me. Saluto quasi tutti quelli che incrocio e qualche pensiero mi verrà di sicuro. Alla fine però è come se avessi corso nel vuoto siderale, non ricordo nulla, se non frammenti, flash.
Una volta, durante una maratona, più o meno a metà percorso mi accadde un fatto strano. Ad un certo punto fu come se mi fossi svegliato all’improvviso, come se tutto d’un tratto avessi ripreso coscienza… stavo contando. Sciorinavo numeri probabilmente da un bel po’, numeri che battevano il ritmo dei miei passi, del mio cuore… 6.568… 6.569… 6.570…
Per me correre significa soprattutto inabissarsi nella profondità della propria mente e fare il vuoto, buttare via tutto quello che non serve, quello che fa male, è un esercizio che ha a che fare con l’ipnosi, con la contemplazione, lo yoga.
La creatività richiede rigore!
E’ indispensabile mettere in ordine ogni tanto il posto in cui si lavora. Rimettere a posto gli arnesi, pulire, riordinare, spalancare le finestre e far prendere aria. Nel tentativo quotidiano di produrre contenuti creativi si accumulano nella mente una gran quantità di scorie, scarti inutili, qualche schifezza proprio tossica. E’ assolutamente necessario far pulizia, buttare via tutto, far tabula rasa… e come vi ho raccontato la corsa è un bel sistema per fare il vuoto!
Alla fine dopo vent’anni di esercizio quasi quotidiano correre è diventato indispensabile, sistemo l’officina dove il giorno prima  ho fatto un gran casino, esperimenti strani, esplosioni di colori e di parole, storie, musiche, sapori e immagini… tutto da sistemare per ricominciare.


Con chi ama la corsa oltre al libro di Murakami voglio condividere anche una rivista fatta molto bene diversa da tutte le altre –  XRUN  – storie di corsa

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Raccontare storie per vendere sogni…

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Tutte le aziende hanno la necessità di descrivere la loro attività, di raccontare quello che fanno, di promuovere i loro prodotti. Nel tempo del web 2.0 la scrittura è diventata uno strumento ancora più importante. Ma raccontare una storia per vendere un prodotto significa trasformare il prodotto nel protagonista della storia. Il più grande spot pubblicitario a cui abbia assistito è stato il film del 2001 Cast Away di R. Zemeckis con Tom Hanks. La storia racconta di un dipendente di Fed-ex disperso su di un’isola deserta dopo la caduta dell’aereo della compagnia di spedizioni su cui viaggiava. All’inizio è il rapporto totalizzante tra il dirigente e la sua azienda. Quanto è grande, bella e buona Fed-Ex, com’è efficiente Fed-Ex. Poi l’aereo precipita e lui, l’unico superstite, raccoglie tutti i pacchi Fed-Ex che il mare restituisce. Tra questi tutti ricorderanno, spot nello spot, il mitico pallone della Wilson, che una volta macchiato con l’impronta insanguinata del palmo della mano si trasformerà nell’unico amico sull’isola deserta, il Signor Wilson appunto. Così mentre per due anni Tom Hanks culla la speranza del ritorno alla vita civile su tutto giganteggia l’aura invisibile di Fed-Ex e il pacco con il logo dalle ali dorate come ancora di salvezza. Sull’aereo durante il sospirato ritorno altro spot nello spot a favore della gazzosa Dr Pepper buttata lì per vedere chi la ricordava come bevanda preferita da Forrest Gump (il personaggio da Oscar di Tom Hanks).

Ecco qua! Niente di meglio di una bella storia per raccontare un prodotto. Un orologio, una pietra preziosa, una località turistica, una bibita analcolica, una marca di aerei o di automobili… Chi non ricorda l’alfa rossa spider, star de “Il laureato” con Dustin Hoffman del ’67, e la vespa di “Vacanze Romane” di W. Wyler del ‘53 con Audrey Hepburn. Il cinema è sempre stato il mezzo per comunicare il prodotto importante, meglio se di lusso. Bulgari cresce e diventa “BULGARI” grazie anche a Cinecittà, alla dolce vita e… al David di Donatello, inteso come premio cinematografico.
Il cinema dunque, ma non solo, c’è una grande richiesta di scrittura creativa, di racconti, storie, romanzi che facciano rivivere le emozioni contenute nel rombo di un motore, in un gioiello, in una grande casa di moda, ”Il diavolo veste Prada” prima di diventare il film che tanti hanno visto è stato un romanzo scritto da Lauren Weisberger. Ovviamente non sto parlando di fare grande cinema, di fare letteratura ma di far conoscere un prodotto, di farlo desiderare, di renderlo “simpatico”, fare marketing narrativo e vendere.
Le aziende però, specialmente quelle più piccole, ­­­sono spesso frenate di fronte alla prospettiva di romanzare un pezzettino della loro attività. C’è bisogno di una personalità forte e di strumenti affilati per esibirsi o far esibire la propria azienda al di fuori dell’agone classico del mercato, sul terreno molto più scivoloso della narrazione di fantasia.

Chi volesse approfondire:
MARKETING NARRATIVO
Usare lo storytelling nel marketing contemporaneo.
A. Fontana, J. Sassoon, R. Soranzo
Ed. Franco Angeli­­

 

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Cosa succede ogni 60 sec in internet

Se qualcuno se la fosse persa vi ripropongo l’infografica pubblicata su blog.qmee.com in cui si illustra quello che succede in internet in un minuto. I numeri parlano da sé, 571 nuovi siti, 278 mila tweets, 2 milioni di ricerche su google, 204 milioni di email… e così via. Un’enormità di dati che nei prossimi dieci anni a sentire Zuckerberg e compagni potrebbero quadruplicare.
Sono ben lontano dalle posizioni di chi prendendo spunto da queste informazioni tuona contro il tempo buttato via, contro l’inutilità di tanti di questi eventi on–line. Il tempo chi l’ha voluto perdere l’ha sempre perso e il modo c’è sempre stato anche senza videogiochi e senza twitter.
Sono affascinato da quanta gente si è messa a scrivere, non importa cosa, quanta gente fotografa, discute, compra e vende, chiacchiera, cazzeggia certo… ma anche scambia informazioni preziose, partecipa. Credo che internet sia un grande mezzo per far crescere la democrazia, per aumentare il controllo dei poteri sulle persone, per diffondere la conoscenza e spargere ovunque una quantità di scemenza, per rendere tutti più liberi e più incatenati allo stesso tempo. E’ solo un mezzo incredibile e dipenderà da quello che vorremo farne.  Ovvietà! Ok, ma mi andava di ripeterlo, vorrà dire che in questo minuto ci sarà un post in più!
Solo un appunto alla bella infografica di QMEE che oltre ad essere graficamente piacevole è anche leggibile. E Wiki? Che fine ha fatto Wikipedia?! Quanti bussano alle sue pagine in un minuto? Non lo sapete?
Ok! Ci tocca chiederlo a Wikipedia!

blog.qmee.com 

La scrittura di DFW – Una cosa divertente che non farò mai più

una-cosa-divertente-che-non-farò-mai-più_634Un consiglio per una lettura divertente, leggera e nello stesso tempo raffinata  e colta… vi butto lì l’indagine giornalistica di David Foster Wallace sull’industria americana delle crociere di lusso “Una cosa divertente che non farò mai più”. DFW ci permette di farci una vacanza standocene beatamente in poltrona! Il reportagecommissionato a Wallace dalla rivista Harper’s, descrive una settimana di crociera extralusso ai Caraibi in cui il grande scrittore americano tratteggia i caratteri dei passeggeri e dell’equipaggio mettendo a nudo il proprio spaesamento.
Un modo per sorridere magari in modo amaro su una certa industria del turismo. DFW ci dà ancora una volta un saggio della sua incomparabile scrittura, tanto da farci pensare che avrebbe saputo rendere interessante e piacevole un testo ormai desueto come l’elenco del telefono. La forza di una scrittura semplice e diretta come un calcio negli stinchi.
PS – Chi leggesse per la prima volta un testo di DWF tenga presente che non è possibile saltare a piè pari le note a piè di pagina!

Fare fotografie del fare fotografie

In “ TENNIS, TV TRIGONOMETRIA, TORNADO e altre cose divertenti che non farò mai più.” David F. Wallace  riporta un brano bellissimo tratto da “RUMORE BIANCO” uno dei capolavori di Don DeLillo.

“Diversi giorni dopo Murray mi chiese se sapevo qualcosa di un’attrazione turistica nota come il fienile più fotografato d’America. Guidammo per ventidue miglia nella campagna intorno a Farmington. C’erano prati e alberi di melo. Recinzioni bianche si srotolavano lungo i campi. Ben presto apparvero le prime insegne. IL FIENILE PIU’ FOTOGRAFATO D’AMERICA. Ne contammo cinque prima di arrivare sul posto… Camminammo per un sentierino fino alla collinetta che serviva ad ottenere una vista migliore. Tutti avevano macchine fotografiche; c’era qualcuno con treppiede, lenti speciali, filtri. Un uomo dentro un baracchino vendeva cartoline e diapositive del fienile, fotografato proprio da lì. Ci mettemmo vicino a un boschetto e guardammo i fotografi. Murray mantenne un silenzio prolungato, ogni tanto scribacchiava qualcosa su un taccuino. Alla fine disse: “Nessuno vede il fienile”. Seguì un lungo silenzio. “Una volta che hai visto le insegne per il fienile, diventa impossibile vedere il fienile”. Si ammutolì di nuovo. Persone con macchine fotografiche scendevano dalla collinetta, subito rimpiazzate da altri. “Non siamo qui per catturare un’immagine. Siamo qui per mantenerne una. Lo capisci, Jack? E’ un’accumulazione di energie senza nome”. Ci fu un altro lungo silenzio. L’uomo nel baracchino vendeva cartoline e diapositive. “Essere qui è una specie di resa spirituale. Vediamo solo ciò che vedono gli altri. Le migliaia che sono state qui nel passato, coloro che verranno in futuro. Abbiamo accettato di essere parte di una percezione collettiva. Questo letteralmente colora la nostra visione. In un certo senso è un’esperienza religiosa, come ogni turismo”. Ne derivò un altro silenzio. “Fanno fotografie del fare fotografie”, disse.”

E’ l’essenza del turismo!

“Open” l’autobiografia di Andre Agassi

Era un pezzo che volevo leggere “Open” l’autobiografia di Andre Agassi. Da quando Alessandro Baricco aveva inserito il libro tra i cinquanta che gli erano piaciuti di più negli ultimi dieci anni. Tra tutti, quello che mi aveva colpito era stato proprio Agassi. Forse perché non mi aspettavo di trovarcelo. Forse per la copertina con la sua faccia e quello sguardo che fulmina. Poi perché amo lo sport, e per il tennis ho sempre avuto un debole anche se ci ho giocato pochissimo. Da maratoneta affascinato dagli sport estremi, dagli ultratrail, dagli ironman ho scoperto nel racconto di Andre Agassi il tennis estremo dei tornei del grande slam. Un racconto affascinante in cui il tennis è metafora di tutto, in cui un padre padrone non lascia spazio al destino. Una scrittura asciutta che descrive il pauroso saliscendi di un uomo nato con la racchetta in mano. Da leggere.

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