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RACCONTARE IL PRODOTTO

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Per raccontare il prodotto è indispensabile avere un prodotto da raccontare.
Lapalissiano! Una Catalanata a ricordare il sorriso ironico del buon Catalano quando declamava convinto:  “Meglio avere una moglie carina e giovane che una vecchia e brutta!”. Ovvietà insomma!
Come dire –  Meglio avere da raccontare alla propria clientela un prodotto innovativo, bellissimo e carico di fascino che uno già visto, bruttariello e banalotto! –
Invece si pretende spesso di cavar sangue dalle rape.
Fortuna che a qualsiasi cosa è possibile associare un’idea intrigante, un’immagine sorprendente, e alla fin fine è possibile raccontare storie emozionanti anche del bussolotto di detersivo da tre litri in offerta 3×2.
Non vendiamo quasi mai un prodotto per ciò che è, per il materiale, la forma, la funzione, per le sue qualità oggettive, in qualche modo misurabili.
Vendiamo e compriamo emozioni!
Pezzetti di allegria, nuvole di fascino, sottili blister di felicità, sacchi semitrasparenti d’erotismo e seduzione, scatole d’autorità e litri, litri di indispensabili, mutevoli attributi con cui puntellare la nostra instabile personalità.
E allora meglio raccontare storie, dar vita a immagini impensabili, regalare invenzioni, esaltare forme e colori. Se abbiamo per le mani qualcosa con un gran progetto dietro, un prodotto denso di contenuti sarà più facile rendere credibile il nostro racconto. Ma è forse ancora più interessante trovare quell’idea geniale capace di trasformare un oggetto senza grandi contenuti in una icona da desiderare.
Attenzione! Non sono in gioco valori quali verità, qualità, utilità, economicità… questi ognuno li valuta come crede, con i metri di giudizio di cui dispone.
Raccontare un prodotto, uno qualsiasi, bello o brutto, una genialata o una scemenza, significa trovare quell’idea, una sola, in grado di essere afferrata, capace di farsi largo lungo il sentiero affollato che transita tra il cervello e il cuore.
Un’idea soltanto, condivisibile da un largo pubblico o quantomeno dal proprio target.
Cerchiamo di immaginare chi sono le persone a cui ci rivolgiamo, che vita fanno, quanto guadagnano, cosa sognano e pensiamo a quali sono le immagini, le parole, i suoni, i sentimenti che appartengono a queste persone.
Dovremo comunicare la nostra idea di prodotto raccontandolo con video, newsletter, fotografie e post sul nostro blog o sulla nostra pagina di Facebook, le parole e le immagini dovranno raccontare la stessa storia.
In genere la semplicità del messaggio paga!

SCEGLIERE

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Ero lì che non sapevo che pesci prendere, la scelta non era semplice e le opzioni si erano ridotte all’osso. Prendevo un materiale e spendevo una cifra o sceglievo l’altro con mille dubbi sulla reale resa in fase di lavorazione.

Una situazione che si ripete continuamente a fare il creativo di professione.

Sia che tocchi scegliere la carta per il nuovo depliant di un’azienda particolarmente sensibile ai temi della dell’ecologia, sia che si debba trovare il materiale giusto per il pavimento di uno stand fieristico o di un negozio.

Scegliere!  

Farlo velocemente tenendo conto di tutto.
Scegliere il template più adatto per quell’azienda che vuole realizzare il nuovo sito internet su WordPress. Scegliere il tavolo e le sedute più corrette per arredare la sala riunioni, le poltroncine della sala conferenze o della sala d’attesa.

Scegliere la luce giusta!
Prendere le lampade più adatte a ciò che si vuole illuminare e allo spazio che si vuole occupare.

Scegliere l’impostazione grafica che esprima meglio il messaggio che si vuole comunicare.
Le immagini, le parole,  i font, i grassetti e i corsivi, scegliere i colori e l’impaginazione.

Scegliere l’incipit di una storia, il ritmo di un video, il tono di una voce, lo sguardo di una modella, scegliere la musica che commenta le immagini o scegliere il silenzio.

Trovare il posto perfetto per scattare una foto o adattarsi alla solita location.

Usare  un materiale della tradizione o un composto mai visto prima? Innovare a tutti i costi o calibrare l’effetto per rassicurare?

Calibrare il disegno di una curva, disegnare la forma di un oggetto rispondendo alle esigenze ergonomiche, estetiche, economiche…

Ecco!
Scegliere in fretta il meglio tra tutto ciò che è possibile.

Serve esperienza e umiltà, averne provate tante e sapersi fidare di chi magari quella cosa la fa da sempre. Serve coraggio e intuizione per rischiare e innovare.

Bisogna scegliere!

IL VUOTO DA NON PERDERE

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Il vuoto, lo spazio dilatato, è segno di importanza!

Sto impaginando un giornale aziendale. Ho scelto un formato quadrato, grande, da piegare in quattro. Non è la prima volta che uso questo formato ma adesso voglio lasciare vuoto almeno metá dello spazio che ho a disposizione in modo che le immagini e i testi occupino le pagine come personaggi su di un palcoscenico.

Tante pagine, quattro volte più grandi di un A4, e un sacco di spazio.

Un paragrafo viene evidenziato dalle righe vuote che lo incorniciano, la pagina bianca mette in risalto l’inizio di un nuovo capitolo. Più grande è il vuoto più i segni grafici sono forti e pieni pathos. Una foto isolata a cui giustapporre un blocco di testo giustificato a sinistra e nient’altro.

Lo spazio vuoto dà importanza a tutto.
ECCO DIECI VUOTI DA NON PERDERE:

– IL VUOTO IN VETRINA
L’esposizione in qualsiasi ambiente e per soddisfare qualsiasi richiesta necessita di superfici omogenee, di spazi dilatati, di oggetti isolati.

– IL VUOTO NEL DEPLIANT
La grafica del nostro depliant deve avere spazi vuoti, pagine bianche, grandi immagini isolate.
Ciò che mostriamo e vogliamo comunicare è importante e merita di non soffocare.

– IL VUOTO NELLE IMMAGINI
I nostri prodotti e la nostra azienda devono avere tutto lo spazio che meritano nelle immagini con cui comunichiamo. Scegliamo sfondi omogenei ed evitiamo come la peste i sovraffollamenti.

– IL VUOTO DA ABITARE
Se ne abbiamo la possibilità scandiamo con vuoti gli spazi che abitiamo, la casa e i luoghi del lavoro.

– IL VUOTO COME SILENZIO
Il silenzio è il vuoto per eccellenza, infatti nel vuoto non si propaga nessun rumore.
Togliamo le musiche di sottofondo che non hanno motivo d’essere e immaginiamo la forza del silenzio.

– IL VUOTO DELLA FORMA
Disegnare un oggetto significa trovare un equilibrio di forme. Tutto ciò è assenza più che moltiplicazioni di segni.
Isoliamo la curva sinuosa che abbiamo disegnato per lo schienale della sedia, per il manico del bricco o per l’elemento clou della nostra ultima collezione di gioielli.

– IL VUOTO COME ESSENZA
Il nostro logo dovrà parlare di noi alla prima occhiata.
Liberiamolo da tutto ciò che non serve.

– IL VUOTO COME ASSENZA
L’assenza di sovrastrutture, di coperture, di mascherature… il vuoto come assenza del superfluo.

– IL VUOTO NEL WEB
Abbiamo paura che la home page del nostro sito sia troppo vuota?
Proviamo invece a pensarla quasi vuota davvero.
In mezzo al surplus di immagini e parole che inondano tutti forse sarebbe più visibile e utile.

– IL VUOTO COME BUIO
Un negozio buio? Emozionante e difficile!
Il buio dovrebbe essere usato così come dovremmo usare la luce. Con attenzione e consapevolezza.

Il buio, la luce, il vuoto e il pieno, la rarefazione e l’affollamento, il silenzio e il rumore o la musica… sono tutti elementi indispensabili per progettare gli spazi e gli oggetti e per presentare e comunicare le idee e i prodotti.
Dobbiamo ricordarci di usarli e imparare a calibrarli.

ATTENZIONE!
Prima di fare il silenzio e il vuoto, prima di creare spazio intorno a qualcosa, assicuriamoci che quella sia esattamente la cosa che vogliamo comunicare e far vedere. Accertiamoci che meriti davvero tutta questa attenzione e vestiamola come si deve.

SCEGLIERE LE PAROLE

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Come per tutte le cose ci sono  parole che mi piacciono e altre che proprio non sopporto.
Probabilmente quelle che mi piacciono le collego ad esperienze positive e le altre a qualche giornata nera, a un mal di stomaco o a una litigata. Questo avviene da quando ero piccolo e ormai,  in tutti questi anni, ho messo insieme due eserciti, quello delle parole nere, quelle che mi piacciono e quello delle verdi, un bel colore per carità, ma che non c’entra niente con le parole, con la scrittura. Le parole nere le immagino stampate con un elegante carattere Helvetica sottile. Quelle verdi che non sopporto le associo al Comic Sans, un font proprio brutto.
Ce ne sono alcune che non so proprio quando e come siano finite da una parte o dall’altra.
Non sono tante le parole della cui bruttezza o bellezza sia diventato consapevole. Un centinaio forse e adesso che mi metto a pensarci svaniscono tutte.
Non c’entrano filosofie o chissà quali motivazioni culturali. E’ una cosa di pancia e di orecchie . Ci sono parole che mi piacciono perché mi suonano bene e altre che invece sento proprio brutte, cacofoniche… ecco una brutta parola che però non ha bisogno di spiegazioni.
In mezzo un’accecante deserto di sale dove sono messe a seccare le altre parole che uso e sento tutti i giorni senza che solletichino alcun giudizio.  Parole bianche.
Ecco!
Qualche esempio, anche se mi scappano via tutte, come sempre le parole quando servono.

EFFERVESCENTE  – Sarà la doppia ff iniziale e quel sc che mi sa proprio di bollicine. Molto meglio di gasato… vi pare?!

INGARBUGLIATO/A – Bella no?! Dá l’idea di una parola da districare.

VARIEGATO/A – non la sopporto! Secondo me sta bene solo sull’etichetta di certi gelati e invece viene usata in continuazione al posto di vario/a

ESTERNARE – Starà per buttare fuori… ma non mi piace

ABBRACCIARE – bella più di tutte, perché ci vogliono due bb e due cc per stringere forte con affetto un’altra persona.

TENEREZZA – una parola leggera e pesante nello stesso tempo, fresca e calda.

FELICITAZIONI – Niente a che fare con la felicità!

CORDIALMENTE – L’ho usata anch’io tante volte eh! Faccio pubblica ammenda… è così lontana  dalla cordialità.

Parole che ci piacciono e altre che ci danno fastidio…in mezzo il mare di sale bianco dove essiccano le parole che non ci emozionano.

Mi capita qualche volta di accorgermi di aver usato una parola che in quel contesto sta come i cavoli a merenda, di sentirla suonare male, di sentirla lontana come non fosse mia.
Stiamo attenti a come usiamo le parole.
Facciamo uno sforzo per scegliere quelle semplici,
“Le parole sono tutto ciò che abbiamo, meglio che siano quelle giuste”. (R.Carver)

 Ditemelo se scrivo parole che non sopportate!

PAROLE E IMMAGINI

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Parole e immagini sono sempre state il centro della comunicazione.
Dalla santa inquisizione alla pop-art l’immagine ha sempre trovato nella parola scritta una fedele alleata e viceversa.
Mai come oggi però hanno formato un connubio inscindibile.
Sto scrivendo queste poche righe e giá sto pensando a quale immagine potrá illustrarle meglio. Penso ad un post su Facebook e non riesco ad immaginare la mia foto o il mio video senza due righe di commento o una didascalia lapidaria. Tutto contrassegnato dall’hashtag giusto, ancora parole, parole che etichettano ed è fondamentale trovare quelle giuste, inventarsele se necessario.

Fino a qualche anno fa era importante giocare bene il connubio tra parole e immagini per comunicare l’azienda sui grandi poster autostradali e sui paginoni dei quotidiani e c’era il tempo per scegliere lo sfondo, le parole, il carattere con cui scriverle, la grafica che faceva risaltare tutto. Oggi  é mille volte più importante comunicare la propria attivitá, scegliere parole e immagini, e tocca farlo dieci, venti volte al giorno spesso senza nemmeno il tempo per capire l’effetto che farà. A volte non ci accorgiamo nemmeno di farlo!
Rispondiamo ad una mail, due righe e alleghiamo una foto per farci capire e non stiamo lì a pensare al tono che abbiamo usato, se l’immagine era quella giusta davvero o  si poteva fare meglio. Ma nessuna paura… Non abbiamo neanche il tempo di sentire il fruscio della mail che sfreccia che siamo giá pronti a rifarci scegliendo un’immagine da postare su Instagram – il re dei social oggi – decidere se aggiuncerci un filtro o postarla così… nature, scriverci due cose e aggiungerci una fila di hashtag che non finisce più. Su Facebook lo scritto diventa piú lungo e la foto deve fare lei stavolta il commento e…  possiamo anche dimenticarci degli hashtag. Un Tweet non lo vogliamo fare di corsa? Certo è complicato! Ci vuole un sacco di tempo ad essere così brevi. Concentrare tutto in 140 caratteri dando la sensazione che se avessimo avuto più spazio allora sì che sareste rimasti lì incollati a leggere… Intanto scriviamo la battuta fulminante o il commento appropriato lasciando al link sotto tutto il lavoro sporco. E anche qui una fotina piccina non ce la mettiamo?
Fatto tutto  ripensiamo alla newsletter che abbiamo inviato ai nostri cari settemila lettori. Riguardiamo la grafica, la copertina, il titolo, ci perdiamo a rileggerla. Quasi ci vengono i lucciconi per come siamo stati bravi e invece manca mezzo paragrafo alla fine che becchiamo due strafalcioni. Non li avevamo visti prima e adesso non si possono più correggere.
Dura curare la propria immagine senza sbavature. Ma non facciamoci troppi problemi, tra dieci minuti avremo giá modo di rifarci, altre parole e immagini da scegliere, da scrivere, da scattare.
Una bella foto, due parole giuste e il gioco è fatto!
O no?!

NB. Ne sapete di certo mille più di me, ma ci fosse anche uno solo con qualche dubbio, qualcuno come me insomma, visto che io di dubbi ne ho a milioni… Ecco! Chiariamo cos’è ‘sto hashtag.
L’hashtag è una parola anticipata dal carattere cancelletto, tipo #instagram, per fare un esempio banale, o #selfie per dirne uno che abbiamo usato tutti. L’hashtag serve per contrassegnare un post, in particolare su Instagram e su Twitter ma un po’ dappertutto ormai.
Così facendo, usando gli Hashtag più diffusi nei social o inventandosene di nuovi, cerchiamo di ottenere un po’ di visibilità, cuoricini su instagram, retweet e tante condivisioni in più.
L’importante è scegliere quelli giusti.

Fin qui parole e immagini per interagire e cercare di creare una propria immagine, un’identità riconoscibile.
Essere social davvero è tutta un’altra cosa.

Leggi anche
SCRIVERE PER IL WEB

DESIGN E COMUNICAZIONE

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Design e comunicazione dovrebbero andare a braccetto!

Sembrerà lapalissiano ma è molto più facile comunicare un oggetto con un progetto interessante alle spalle, ricco di contenuti,  magari sviluppato pensando che poi quel affare lì dovrà essere descritto, fotografato… che parlare, scrivere, fotografare, filmare un oggetto buttato là, nato da un progetto raffazzonato senza alcuna consapevolezza che poi dovrà essere comunicato.

Meglio progettare pensando già a dare visibilità ai punti forti del progetto. Va da sé che quello che stiamo progettando dovrà avere elementi di forte differenziazione, qualità evidenti, caratteristiche importanti su cui lavorare con la consapevolezza che quelli saranno i temi che useremo per dare risalto al nostro oggetto disegnandone il packaging, gli espositori, scrivendone, fotografandolo e descrivendolo in tutte le occasioni e su tutti i mezzi di comunicazione.

La funzionalità e l’ergonomia saranno importanti, ma dovranno balzare agli occhi. Il colore e la forma saranno gli elementi che la fotografia potrà usare con maggiore efficacia se avranno elementi di originalità evidenti. I materiali, i processi produttivi, il ciclo vitale dell’oggetto con le sue caratteristiche di sostenibilità, la sua utilità o forse la sua “inutile” bellezza… sono solo alcuni degli infiniti elementi che possono trasformare un oggetto in un vero e proprio mezzo di comunicazione per sorreggere la propria capacità di vendita e il successo dell’azienda che l’ha prodotto.

Perché tutto ciò avvenga occorre una scintilla, un’idea che caratterizzi l’oggetto in questione, che lo renda quanto più possibile unico nel panorama del suo mercato.

Qualche esempio in cui design e comunicazione hanno formato una accoppiata vincente?

SACCO, la poltrona di Zanotta disegnata da Gatti, Paolini e Teodoro nel 1968, un oggetto diventato protagonista di film e romanzi. Un’idea, un progetto così ricco di contenuti da continuare a produrre significati diversi in tutti questi quarant’anni.

La lampada ARCO, disegnata da Achille e Piergiacomo Castiglioni per Flos nel 1962, mette insieme materiali lussuosi, una forma elegantissima e soluzioni funzionali di dettaglio perfette. Un progetto rivolto ad  illuminare con poetica precisione. Certo!  Ma soprattutto “illuminato” dall’idea geniale di eliminare il vincolo dell’ ancoraggio al soffitto, tradizionalmente al centro della stanza, con la possibilità di spostare la lampada liberamente.
ARCO è ancora un punto di riferimento per il mercato dell’illuminazione.

Potremmo scriverne una lista infinita di oggetti, più o meno belli, più o meno funzionali e utili, tutti con quel quid che li ha trasformati in totem comunicanti. Oggetti che spesso hanno dato vita a un vortice creativo di continui rimandi tra design e comunicazione col risultato di moltiplicarsi in nuovi oggetti e nuovi messaggi.

Visto che viviamo in un mondo superaffollato di parole scritte, parlate, urlate, fotografie e immagini in movimento, riviste, libri, film, e il mare magnum dei Social Network che come una spugna assorbe tutto e lo moltiplica all’infinito, dovremo provare a dotare i prodotti che vogliamo vendere di una personalità che si possa comunicare senza dover ricorrere alla solita aria fritta!  

Pensiamoci mentre progettiamo.
Il primo strumento di comunicazione di un’azienda sono i suoi prodotti.

STRATEGIE OBLIQUE E PENSIERO LATERALE

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Delle “Obliques Strategies”–  strategie oblique di Brian Eno e Peter Schmidt ho già parlato tante volte ma una in più credo non guasti.

Se stiamo pensando ad un progetto, mentre cerchiamo di realizzare un’idea, o stiamo esprimendo la nostra creatività in un campo qualsiasi, capitano momenti in cui ognuno di noi non sa più che pesci prendere.A volte non solo non abbiamo risposte, ma qualche volta non riusciamo nemmeno a formulare le domande, oppure sono domande così banali da meritare solo risposte ovvie.

In questi momenti è fondamentale cambiare completamente lo scenario, uscire dalle logiche e dalle regole preconfezionate che sono sì belle comode ma finiscono per portarci sempre ai soliti risultati.

Facile a dirsi, più complicato a farsi.

In un momento così  possono venirci in soccorso  le “strategie oblique” di Eno e Schmidt per sturare la nostra mente intasata.

Per farsi un’idea di cosa sono date un’occhiata qui e se vi piacciono compratele.
Sentite bene, non si tratta di prenderle alla lettera, ma di lasciarsi ispirare…
Intanto prendo qualche carta a caso… e speriamo bene!

Ecco:

1 – Abbiamo bisogno di buchi?
I buchi si possono mettere dappertutto, si può bucare un oggetto, lasciare uno spazio, chiedersi se sono proprio necessari quelli che abbiamo fatto col trapano o… con l’immaginazione…

2 – Scopri le tue formule e abbandonale.
Basta con il solito formato quadrato! Landscape, landscape, landscape…

3 – Osserva l’ordine in cui fai le cose.
Cominciamo col scegliere un materiale mai usato prima…

4 – Sii stravagante.
Accidenti! Pensavo già di esserlo fin troppo!
Ok! In copertina metterò un pesce verde… qualunque sia il tema.

5 – Onora il tuo errore come un’intenzione nascosta.
Se il post non vi piace sappiate che lo stavo cancellando… ma poi ho letto questa!

6 – Pensa alla radio.
La radio? La scatola con la musica, le interferenze, i canali, la libertà di cambiare, di spegnere…

7 – Il principio della contraddizione.
L’elogio della semplicità scritto con caratteri Scratchy

8 – Usa persone “non qualificate”.
Le foto del mio prossimo profilo le faccio scattare a mio figlio di 6 anni.

9 – Cosa farebbe il tuo amico più caro?
Urca! Pignolo com’è per prima cosa cercherebbe un righello o un dizionario.

10 – Sei un ingegnere.
No! Impossibile… passo alla carta successiva!

11 – Accentua i difetti.
Questo post è troppo lungo… vabbè…   toccherà sorbirvelo ancora.
Le gambe di quel letto mi sembrano troppo corte? Le tolgo del tutto.

12 – Lavora ad una velocità diversa.
Provo a dilatare i tempi… oppure vado a scrivere sul Frecciarossa.

13 – Domanda al tuo corpo.
Ergonomia, ergonomia… ma anche sensualità, forza, morbidezza.
Se disegnate un tavolo mi raccomando, l’altezza è sempre 72 cm eh!

14 – Rendi ciò che è perfetto più umano.
La perfezione è il peggior difetto che esista perciò il tavolo di prima lasciamolo a 72 cm che va benissimo ma rendiamo ancora più irregolare la sua superficie e che nessuno dei suoi quattro lati sia uguale all’altro.
Ah! Se trovate errori in giro… era per rendere questo testo più umano!

15 – Non cambiare nulla e continua con compattezza immacolata.
Qualsiasi sia il lavoro andiamo avanti a testa bassa!
Oppure rendiamo tutto compatto e bianco.
Oppure ancora, guardiamo al nostro lavoro con sguardo ingenuo.

16 – Ascolta la voce quieta.
Tiriamo fuori il nostro lato contemplativo, smussiamo i toni…

17 – Usa una vecchia idea.
Qualcosa di simile l’abbiamo già fatto di sicuro.
Come me ora che scrivo ancora di strategie oblique!

18 – Cosa aumentare? Cosa ridurre?
Aumentiamo le quantità e riduciamo i costi… troppo ovvio!
Riduciamo le superfici e aumentiamo gli spessori.
Aumentiamo la dimensione del font e riduciamo il testo.
Riduciamo la curvatura e aumentiamo la trasparenza.

19 – Ci sono sezioni? Considera transizioni.
Il nostro lavoro è diviso in più parti? Layer, capitoli, paragrafi, partiture, materiali, componenti…
Proviamo tutte le relazioni possibili: interruzioni brusche, sfumature, dissolvenze, flashback, incastri, contaminazioni…

20 – Solo un elemento per ogni tipo.
Ogni riga un carattere diverso?
Ogni finestra una forma diversa.
Le gambe del solito tavolo alto 72, una barocca, una liberty, una country e l’altra blu.
Depliant fatto di pagine con carte diverse, formati diversi, grafiche diverse, e…

Non so se sono stato fortunato estraendo queste carte. Nelle altre 88 Strategie Oblique (nell’edizione del 2013 sono 106 + 2 di istruzioni) forse era nascosta qualche ispirazione più utile… chissà!

Scrivere il profilo aziendale

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Il Profilo Aziendale o il Company Profile, come volete, è quella mezza pagina dove scriviamo sempre le stesse cose.
Una volta stava a pagina cinque della brochure cartonata, poi si è moltiplicata sui pieghevoli e sulle cartoline ed è esplosa sulle home dei siti di quasi tutte le aziende.

Nonno Evaristo nel lontano 1895 aprì bottega in un sottoscala di via Dei Cardatori a…
Niente male eh?! In una riga avremmo risposto a piú della metá delle famose “five W’s” come in un film americano.
Invece spesso iniziamo a scrivere… “Siamo un’azienda moderna, giovane e dinamica, integrata, dalla solida struttura manageriale, leader indiscussa nella creazione, produzione e distribuzione di baratelle e tirapacchi sia maschili che femminili…” E  continuiamo “…la soddisfazione del cliente sta alla base della nostra filosofia aziendale…” Insomma ci incensiamo e tiriamo a lucido senza dire le cose essenziali, senza presentarci davvero.

In pochi abbiamo il coraggio di metterci la faccia nonostante ovunque dilaghino i selfie e di sequestri di persona, per fortuna, non si senta più parlare.
In pochi abbiamo il coraggio di dire… Eccomi qua! Son mi el paròn! E mostrare con la faccia quel po’ di carattere che ha fatto l’impresa. Una faccia sorridente o arcigna, ironica o seriosa col telefono in mano… Una faccia che dica qualcosa!

Proviamo a tirar fuori cose non banali… Con una faccia che se piove e tira vento o ci sono quaranta gradi come oggi e l’aria condizionata é andata a ramengo é comunque la faccia di uno che racconta la sua storia. Di quando, dove, come e perché… Certo! Ma anche di tante altre cose… Che corriamo all’alba lungo il fiume (lasciate perdere che son fissato!) o che daremmo un anno di vita per cambiare tutto. Raccontiamo dei mille successi ma soprattutto di quell’unica sconfitta che poi conta piú di tutto.

Usiamo un linguaggio diretto, semplice, raccontiamo un aneddoto, rifacciamoci a una canzone, a un film , un libro… Parliamo dei mille prodotti bellissimi, importanti, dei brevetti e degli attestati, ma più di tutto raccontiamo di quel sogno che ancora teniamo nel cassetto e che sará una sorpresa, un regalo…
E sicuro… la moglie, il marito, i figli…. La famiglia… ma che non sia per forza mulino bianco.

Perchè non raccontare che é iniziato tutto con un gran colpo di fortuna, per un’intuizione geniale… e poi la fatica di un milione di notti in bianco quasi a doverseli far perdonare.

Scriviamo il Profilo Aziendale come un racconto vero, che ci renda credibili e faccia venir voglia di incontrarci.

Semplice è difficile

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Essere semplici è difficile, così come scrivere ed esprimersi in modo semplice.
È difficile essere creativi e produrre idee ed oggetti semplici.
Sono convinto sia importante comunicare nel modo più diretto possibile pensieri che abbiano un significato cercando di evitare di spargere fuffa  e basta.

Anche progettare oggetti semplici è complicato.
Una poltrona, una lampada, un gioiello dalle forme incredibilmente lineari sarà sempre più affascinante di un oggetto inutilmente complicato.

Scrivere in modo semplice è faticoso perché bisogna aver fatto chiarezza su ciò di cui si vuole parlare ed è necessario informarsi sull’argomento. Bisogna scegliere le parole e la forma più adatta evitando periodi complicati e paroloni inutilmente altisonanti.
Scrivere in modo semplice non vuol dire essere banali.

Se infilo nel discorso un parolone vergognoso, una parolaccia inventata,  una forma strana e complicata, lo faccio consapevolmente. Mi serve per attirare l’attenzione, per far sorridere, per combattere la noia.
Non che ci riesca sempre. Nè a essere semplice né a non essere noioso.
Io ci provo. Magari in questo blog qualche volta mi lascio andare, sperimento e capita che scriva anche qualche sciocchezza.

Del resto scrivere in modo semplice è anche pericoloso perché così la gente si accorge se si rimesta la solita brodaglia e non ci si può nascondere dietro una nuvola di spezie che copra tutto.

Per progettare una seggiola, un vaso, o un tavolo la storia non è tanto diversa.
Essere semplici aiuta sempre. Perfino a disegnare delle cose apparentemente complicate.

Sono di quelli che preferiscono togliere, togliere e togliere fino ad avere superfici pulite, linee semplici da dove l’idea salta fuori subito.
Raggiunta una forma essenziale, tolte le  incrostazioni, qualche volta mi vien voglia di fare grafica, di appiccicarci un’invenzione, ma mi piace si percepisca questo desiderio di aggiungere, questa voglia di giocare e di stupire.

Non mi ricordo più quale filosofo dicesse… “Vi scrivo una lunga lettera perché non ho tempo di scriverne una breve”.
Non è tanto diverso quando si danno in pasto al pubblico oggetti complicati perché non c’era il tempo di renderli semplici.

Di questi tempi pieni di invenzioni vuote e di voli inconcludenti le aziende dovrebbero mirare alla semplicità, non alla vuota faciloneria, per distinguersi e farne motivo di vanto.

 

QUAL È IL MEZZO MIGLIORE PER COMUNICARE?

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Qual é il mezzo per comunicare che usate di più?
Telefono? E-mail? SMS? Messenger? Skype? Whatsapp?
Già il fatto di poterne elencare una quantità… praticamente infinita… Ci fa capire com’è cambiato il mondo in pochissimi anni.
Ho volutamente omesso i segnali di fumo, i piccioni viaggiatori, i messi a cavallo, la posta celere  e gli inossidabili FAX.

Confesso subito che odio i FAX.
Dieci anni fa avevo dato loro non più di sei mesi di vita, proponendo a un sacco di aziende di eliminare l’ottuso oggetto preposto al loro invio e alla loro stupida ricezione.
C’è la posta elettronica! Dicevo. E mi si guardava con un certo compatimento. Ok! Pensavo, lasciamo che cadano in disuso da soli… Pochi mesi…
Ieri per certificare la mia casella di posta elettronica “certificata” ho dovuto spedire copia dei miei documenti d’identità via FAX.
Ha vinto lui! Amen!
Segretamente continuo a sperare che un virus li metta tutti fuori uso prima della  fine dell’anno.

Invece amo whatsapp!
È gratis! Lo uso quando voglio senza obbligare ad una risposta simultanea… e ha i baffi blu.
Croce e delizia, i baffi blu.
Invio… Baffo grigio… Due baffi grigi… Baffi blu! Perfetto! Ora so che il mio interlocutore ha visto il mio messaggio. Magari non l’ha letto ma l’ha visto. Se dopo un’ora non ha risposto… Inizio a temere per il suo stato di salute. Nel senso che penso sia  in preda a gravi difficoltà psicomotorie… E che… nel caso continuasse a non rispondere potrei attentare direttamente alla sua salute.
Ma che caspita avrà da fare per non rispondermi… l’ha visto il mio messaggio! I baffi blu lo certificano!
Per mettermi il cuore in pace penso si sia dimenticato lo smarfò a casa aperto sulla mia chat.
Bello però whatsapp quando funziona!

Nell’ambito del lavoro la posta elettronica resta il mezzo di comunicazione per eccellenza.
Veloce, affidabile, personalizzabile. Con la possibilità di allegare facilmente qualsiasi tipo di file.
Evitiamo magari di metterci immagini da 20 megabyte come fossero acqua fresca. Per questo esistono strumenti specifici, gratuiti, facilmente reperibili sul web tipo  www.wetransfer.com
Altrimenti riduciamo le immagini che vogliamo spedire a meno di 1 mega. Apriamole per esempio con il visualizzatore immagini di windows (basterà premere il tasto destro del mouse e ci apparirà tra le opzioni) –  il pulsante “posta elettronica” è lì, ben visibile e facile da usare.

Ultima cosa… Rispondiamo alle e–mail!
Anche a quelle che non riteniamo importanti. Certo, qualcosa può scappare, ma ricordiamoci che una risposta pronta aumenta la nostra credibilità.

Intanto perché non farci una bella telefonata?!
Sì! Col nostro telefonino che tra poco ci fa anche il caffè ma che usiamo sempre meno per telefonare.
Ottima idea!
Soprattutto se pensiamo di chiamare famigliari e amici.
Per lavoro invece, potrebbe non essere sempre conveniente chiamare direttamente al cellulare la persona che stiamo cercando. Soprattutto se non la conosciamo bene. Potremmo capitare in un brutto momento e non ricevere le risposte che vorremmo.
Secondo me sarà sempre più utile di questi tempi farsi precedere da un sms chiedendo di poter chiamare. Almeno per quelli di cui abbiamo il cellulare ma con cui non andiamo a ballare!
Un po’ come bussare prima  di aprire  una porta.

Ecco!

Solo qualche riflessione personale. Ognuno ha le sue preferenze, la sua sensibilità e conosce bene i destinatari delle proprie esternazioni.
Teniamo solo in conto che il panorama degli strumenti a disposizione cambia ogni giorno e con esso anche il colore dei nostri messaggi e delle nostre conversazioni.
Alla prossima con skype, piccioni e segnali di fumo!

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Chiamami!
Anche senza farti precedere da un sms! ;–)

 

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