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Le regole del bello

Mi aveva insegnato a vedere le forme delle cose, a comporre linee e superfici, volumi, colori e forme come fosse un gioco. Mettere insieme tutto facendo nascere emozioni improvvise, veloci straniamenti, sorprese, paesaggi.
Le regole del bello erano semplici, in realtà era una sola, togli tutto, cerca la perfezione del nulla. Bastava andare con lui a comprare una poltrona, una pentola, un bicchiere. Lo spigolo inutilmente arrotondato di un oggetto qualunque lo mandava in bestia. Mi spiegava l’infelicità del bracciolo di una sedia, l’accostamento gramo di curve e controcurve.
Non sapeva scegliere niente se non guardando alla sua forma.
Come il sacerdote di una religione severa non ammetteva scappatoie, incoerenze, trasgressioni leggere, insignificanti stramberie.

Molti anni dopo avevo capito cosa non andava nel castello teorico che mi ero bevuto come acqua fresca e che gli studi avevano modificato pochissimo.
Ero dovuto diventare anch’io, mio malgrado, uno dei tanti celebranti delle liturgie del design prima di accorgermi del lato ridicolo della cosa e finalmente scoppiassi a ridere.

Solo allora avevo imparato a non prendere più troppo sul serio gli slogan lapidari del moderno salmodiati dai suoi chierici.

Così adesso mi diverto a riempire fogli immensi di ghirigori e a disporre specchi sbilenchi.

Metto le cose fuoriposto.

Guardo di traverso quelli che non hanno mai visto una matita ma – tira un po’ di qua, un po’ più su, riduci un attimo…– e alla fine non hanno dubbi  – …adesso sì che è bello! –

Ammiro chi conosce le regole e ci sa giocare. Chi butta all’aria le carte e cerca strade nuove.

Alla fine della fiera mi ritrovo ad essere tutto e il contrario di tutto.
Mi piacciono i muri, quelli rotti.  Le regole del bello stanno dentro labirinti da cui è più divertente uscire con un salto.

IMPERFEZIONI – “La vita ha più gusto quando la bevi cruda.”

I testi impaginati alla viva il parroco!
Pazienza il web, dove il responsive ormai fa quello che vuole, ma la stampa no! Pagine giustificate senza giustificazioni, parole lasciate sole alla fine di un paragrafo, righe abbandonate sulla pagina bianca come spazzatura. Capisco che non è obbligatorio sapere di “vedove” e di “orfane”, vabbè ma basta solo un’occhiata per evitare certe schifezze.

Il design tanto per fare.
Forme strane  che non c’entrano niente, incrostazioni per coprire, decorazioni buttate lì. Invenzioni inutili, brutte, fatte solo per stupire che rendono gli oggetti vecchi ancora prima di essere prodotti.
Non me ne frega niente della funzione. Esageriamo, stupiamo! Ma con un minimo di stile.

Le imperfezioni di progetti cretini.
Guarnizioni che saltano via, incavi impossibili da pulire, lampadine insostituibili, materiali del piffero… Fotografie tagliate con la roncola e impaginate da ubriachi.

Le mie imperfezioni, quelle peggiori.
Puntini di sospensione come se piovesse, ripetizioni a go-go che quando tocca fare in fretta restano lì a futura memoria.  “La vita ha più gusto quando la bevi cruda.” Prendere al volo slogan che passano alle due di notte anche se non c’entrano niente e scriverli dove capita come avesse telefonato la Testa per dirmi di infilarceli.

Chiamiamole imperfezioni…

SALVE! PAROLE SPAZZATURA

SALVE-parole-spazzaturaSalve!
Eh! Salve… che saluto viscido!
No! Non per la parola che è un bel saluto…  in fondo si augura buona salute…
– Salve – mi capita di dirlo troppo spesso, senza pensarci e mi fa schifo.

La butto lì col vicino di casa e mi esce  –  Sao –  sì – Sao! –
perchè proprio mentre io gli sto dicendo –  Salve –
lui mi dice – ciao –
Cerco di correggere il tiro proprio a metà parola mentre sto cercando di  farla sparire e esce un  – Sao –  ridicolo.

Facciamo così anche nelle email di lavoro.

Salve… Ufff!!!

Qualche decennio fa decisi di buttare via –  cordiali saluti –  non se ne poteva più.
Ero stufo di vederli alla fine di tutte le email che ricevevo e mi dissi che non potevo fare lo stesso.
Ho iniziato a salutare con – a presto –.

Mi sembrava fico, diverso…  Adesso, dopo aver consumato qualche milionata di – a presto – non ne sono più tanto sicuro.

Tutta questa tirata su – Salve – ciao – buongiorno – cordialmente, tanti saluti e a presto… Per dire che le parole si consumano come le gomme della macchina.

Le gomme le cambiamo perché ad un certo punto ci viene paura di andare a sbattere. Continuiamo invece ad usare sempre le stesse parole anche se un po’ alla volta finiscono per non servire più a niente.
Continuiamo a dirle imperterriti e diventiamo trasparenti, invisibili…  inutili anche noi…

Scriviamo presentazioni sul nostro sito aziendale che sembrano indirizzate a qualche ufficio UCAS sperduto nel deserto.
Mandiamo email tutte uguali.

Bisognerebbe essere veri, dire delle cose che ci riguardino davvero… nelle email come nei contatti reali, faccia a faccia, di tutti i giorni.

Non c’è differenza.

La posta elettronica, whatsapp, il blog, il sito web aziendale e tutti i social sono solo dei mezzi  di comunicazione che ci danno più opportunità di contattare la gente, parlarci, magari vendere più di quanto non fosse possibile fare solo col telefono e con la posta tradizionale qualche decennio fa.

Non sono gli strumenti, la differenza la fanno le parole, quelle vere che ancora incidono, non quelle che ripetiamo tutti senza nemmeno pensare a quello che diciamo…

Anche tu hai parole da buttare via?
Quali sono le tue parole consumate?

SCEGLIERE, AFFERMARE LA PROPRIA IDENTITÁ

scegliere

Aiuto le Aziende a comunicare.
A mostrare nel modo migliore il loro lavoro. Le aiuto a vendere i loro prodotti e se stesse, a mostrare la loro capacità innovativa e la loro organizzazione.

Aiuto le Aziende a scegliere.

Parola importante SCEGLIERE.
Parola che ha a che fare con la propria IDENTITÁ.

Scelgo le parole.
Quelle che rappresentano i valori, il pubblico e il mercato delle aziende per cui lavoro. Cerco di parlare al cuore e alla mente delle persone.

Scelgo la carta su cui stampare.
Leggera, pesante, ruvida, liscia, goffrata, ecologica.
Scelgo il formato e il layout dell’impaginato.

Scelgo le funzionalità e i contenuti di siti Internet semplici ed emozionali. Pagine web visualizzabili su pc, smartphone e tablet per le loro avanzate caratteristiche responsive.

Scelgo le immagini, la luce, il taglio… il ritmo e l’originalità del montaggio dei video che raccontano le persone, il lavoro e i prodotti.

Scelgo colori, materiali, luci per esporre e mostrarsi. Progetto gli spazi di stand e locali  commerciali. Scelgo forme, funzioni, profumi, suoni, emozioni…

Scelgo le forme dei prodotti e la grafica del packaging che li conterrà.

Il prodotto e la sua comunicazione nascono assieme. Le forme scelte per il prodotto evocano già le parole che lo racconteranno.

C’è sempre una scelta da fare, scegliere è il mio lavoro.

APRITI SESAMO! Formule magiche e parole chiave

APRITI-SESAMO

 

Ognuno di noi, nel suo lavoro, sa che certe parole aprono le porte al pubblico, lo catturano e aiutano a vendere. 
Non  sto parlando di formule magiche buone per vendere ghiaccioli agli esquimesi, neanche delle parole che avvicinano, creano complicità, sembrano risolvere ogni problema e soddisfare ogni richiesta. Splendidi passpartout che però non sono parole legate solo al nostro lavoro.
Ognuno di noi ha le sue parole chiave. Parole che attirano e conquistano proprio le persone interessate ai nostri prodotti.

Se produco e vendo mobili di qualità una di queste parole sarà “legno”, altre saranno “solido” “durevole”, “caldo”, “comodo”. Parole che in parte saranno più importanti di “bello” e più attraenti di “economico”.

Se produco e vendo gioielli importanti in oro e diamanti, eseguiti a mano, ovviamente piuttosto cari, una delle mie parole chiave sarà “valore” e poi “oro” e poi ancora “eseguito a mano” e altre ancora…

Se invece produco complementi di arredo dalle forme ricercate realizzati in metallo e materie plastiche parlerò di “design” “ricerca”, “tendenza”, “colore”, “emozioni”…

Così se produco e vendo ottimi vini o carpenteria metallica, formaggi o pentole… divani o lampade…
Ognuno conosce bene le parole che fanno la differenza.
Basterà cambiare di poco la tipologia dei nostri prodotti e cambieranno decisamente il pubblico e le parole giuste per attrarlo.

Individuiamo il nostro pubblico e parliamogli con le parole che apprezza.

scrivere con carattere

Quando scriviamo ci concentriamo sui contenuti, su quello che vogliamo dire. Quasi simultaneamente cominciamo a dar forma al nostro testo.

Forma, intendo proprio forma.
Un bel blocco di sette o otto righe compatte con una lunga descrizione. Un testo tutto seghettato con frasi brevi che vanno subito a capo per riportare un dialogo veloce o un elenco di idee flash. Un grassetto magari tutto maiuscolo per una citazione importante.

Il testo si fa leggere in prima battuta dagli occhi e ci parla già,  senza bisogno di farsi comprendere. Va da sé che un testo può essere brutto o bellissimo, può attrarre o respingere, può essere frivolo o serio e tutto ciò per come abbiamo sistemato le parole. Possiamo farle fluire o interromperle continuamente, ritmarle, lasciare righe semivuote o riempire le nostre pagine minuziosamente.

Evitiamo come la peste le vedove e le orfane.
Si chiamano così la prima e l’ultima riga di un paragrafo abbandonate all’inizio e alla fine delle pagine, separandole dal loro paragrafo. Fatto questo possiamo comporre il nostro testo “quasi” come vogliamo.
È un peccato che nel web vedove e orfane abbondino. Tutto deve essere responsive e i testi si adattano in un lampo ai dispositivi che usiamo fregandosene dell’estetica.

Prima di stampare o pubblicare sul web tocca la scelta più importante.
Decidere il carattere, il font.
“Carattere” dice già tutto. È il font che dá davvero carattere ai nostri testi. Scegliere lettere disegnate in modo semplice e lineare come i “bastoni” mostra un certo carattere, scegliere lettere aggraziate ne mostra un altro, prendere uno degli infiniti font di fantasia mostra altri caratteri ancora.
Ci sono molte migliaia di font a cui attingere per dare carattere ai nostri testi ma in realtà quelli che funzionano davvero sono molti di meno.

Un consiglio semplice, semplice al limite del banale.
Non usate font strani.
Mille volte meglio sembrare privi di fantasia che comporre una pagina inguardabile o illeggibile.
Certi padri nobili della grafica mi hanno accusato di usare troppo l’Helvetica Extralight. Hanno ragione! Amo l’iPhone solo perché Paul Ive, il capo dei designer di Apple ha scelto l’Helvetica Extralight per rilanciare il melafonino. Ma hanno ragione. L’extralight è davvero troppo sottile e qualche volta non si legge proprio. A malincuore meglio il più leggibile light anche se meno bello.

Mi piacciono i caratteri storici che sono passati direttamente dal piombo al web, come i Bodoni, i Garamond, i Times, I Futura… e poco altro.
Tutta roba che si fa leggere.

Scegliamo font che ci piacciono e che siano facili da gestire.
Gruppi di font completi di Bold, Italic, Condensed, Outline, Light e di quel po’ di extra che serve sempre. Scegliamo i nostri “Bastoni” e le nostre “Grazie” e prima di cambiare con qualcos’altro pensiamoci.

Prendiamo i caratteri di fantasia solo quando servono. 
Ce ne sono di splendidi per i “titoli”, per i “capolettera”, per la “grafica”.
Il resto è solo fantasia. La nostra.
Roba da maneggiare con attenzione.

Scrivere l’Azienda

È importante raccontare la propria attività. Soprattutto oggi, in internet non possiamo farne a meno.

Scrivere è il mio lavoro.

Scrivo per me e per aziende molto diverse tra loro: produttori di gioielleria, aziende agricole, produttori e rivenditori di mobili e oggetti di arredamento, concerie e aziende che lavorano il ferro e la plastica, Enti che offrono servizi…
Non mi pongo limiti settoriali.
Abbiamo tutti bisogno di creatività!
Racconto le aziende e la loro creatività.

Inviare NEWSLETTER come questa è uno dei modi più efficaci per farsi conoscere e per far capire cosa facciamo.
Qualche consiglio per raccontare bene la nostra azienda:

– Semplicità
La regola fondamentale è sempre quella: usare un linguaggio semplice e quanto più personale possibile.

– Senza banalità
Se vendiamo gioielli o vino o qualsiasi altra cosa, sará utile non parlare sempre e solo di quanto sono belli e buoni i nostri prodotti. L’oste dirá sempre che il suo vino è buono.
Diamo qualche consiglio mettendo a disposizione quello che sappiamo e che crediamo utile.
Manteniamo un tono leggero, spiritoso, se ne siamo capaci, evitando la sicumera del “so tutto mi”.

– Con che frequenza?
Non esiste una regola!
Se scriviamo cose interessanti, scritte bene e le inviamo al pubblico giusto, possiamo farci trovare nella posta anche due volte al giorno. Se inviamo scemenze presuntuose e scritte male anche una volta al mese sarà di troppo.

– La lunghezza dei testi.
Come sopra! Fatto salvo uno standard orientativo di 300 parole, se scrivo cose interessanti potró dilungarmi,  altrimenti  una riga sarà già troppo.

– Con personalità
Mettiamoci in gioco, tiriamo fuori la farina dal nostro sacco e mostriamo chi siamo e cosa pensiamo.

Genuinità e verità pagano sempre.

Wow! Meglio un asino volante che un cavallo da corsa

Wow!-Meglio-un-asino-volante-che-un-cavallo-da-corsa!

Ci sono oggetti fantastici, elaborati grafici perfetti, sistemi espositivi che funzionano davvero e packaging che sembrano fatti apposta per contenere il loro prodotto. Eppure in pochi si accorgono di tanta perfezione. Forse sono così buoni proprio perché nessuno se ne accorge.
Non mi piacciono.
Amo le esagerazioni che si fanno notare. Mi piacciono quei difetti che fanno esclamare – Wow! Si vede che  dietro a questa cosa c’è un’idea… c’è un progetto… –
Ogni cosa esiste sempre su due piani.
Il primo è quello funzionale in cui si soddisfano tutte le richieste e il nostro prodotto assolve al suo compito. L’impaginato è coerente e leggibile, la vetrina mostra e il packaging contiene correttamente e protegge. Su questo primo piano avrò già infilato di sicuro anche cose che non hanno nulla di funzionale. Avrò scelto una forma anziché un’altra che avrebbe potuto funzionare ugualmente, deciso un colore o un font che mi piacevano più di altri, e così via in modo più o meno consapevole, facendo attenzione che tutto alla fine funzionasse.
Il secondo piano è quello delle emozioni, della comunicazione.
Ho sempre pensato che se si vuole comunicare un prodotto, raggiungere un pubblico, sarebbe meglio iniziare a pensarci subito. Creare oggetti che oltre a rispondere a tutti i requisiti funzionali richiesti sappiano attrarre l’attenzione ed emozionare. Oggetti che in qualche modo si vendano da soli o che comunque aiutino molto a farlo.
Per riuscirci spesso bisogna tornare sul piano funzionale e distruggere qualcosa di quella perfezione che ci soddisfaceva così tanto. Qualche volta occorre mandare in malora tutto. Ci sono invenzioni formali, idee, forme estetiche così emozionanti che portano a distruggere anche il progetto più curato, quello che ci aveva impegnati e ci aveva soddisfatto. Non importa. Non se ne accorgerà nessuno.
Davanti ad un oggetto, una forma, una qualsiasi cosa che emoziona non ci facciamo mai domande. Quando compriamo una cosa che ci piace davvero e ci emoziona facciamo passare in secondo piano tutte le nostre aspettative funzionali. Sappiamo già che con quella caffettiera non faremo mai il caffè ma la compriamo lo stesso, felici di tenerla come una scultura in libreria. Siamo certi che non ci siederemo mai su quella poltroncina che pure ci darà una strana emozione quando l’accarezzeremo con lo sguardo passando nell’ingresso di casa.
Gli acquisti più gratificanti sono sempre quelli che non servono a niente.
Oggetti inutili, che da soli salvano un brand, che da soli riescono ad occupare le pagine dei giornali e le stanze delle nostre case.
Meglio un asino volante che un cavallo da corsa!

non lo faccio mai…

NON-LO-FACCIO-MAI

 

Non lo faccio mai…
ma forse ogni tanto meglio farlo
intendo promuovere direttamente il mio lavoro, così senza tanti preamboli, di solito preferisco raccontare di design, grafica, fotografia, web, interior design, packaging, exhibition design, scrittura… e un po’ tutto quello che interessa o capita a me che di lavoro vendo idee, progetto e creo materiali per aiutare le aziende a migliorare i propri prodotti e a comunicarli.
Chi sono, ed esattamente cosa faccio?
Di me continuo a dire che sono un architetto e un maratoneta, o viceversa, come preferite, continuo a dirlo nonostante le mie corsette siano diventate sempre più rare e lente. Mi piace lo spirito della corsa di lunga e lunghissima distanza, la determinazione un po’ folle necessaria ad arrivare in fondo. Una voglia di fare sempre meglio, di trarre motivazione da ogni sfida che aiuta anche nel lavoro. Dipingo, scrivo, fotografo anche solo per passione. Appena laureato ho fatto l’architetto, quello che progetta le case e i piani urbanistici, poi il caso mi ha portato dentro la fabbrica. Una fabbrica di gioielli che avevo progettato io. Dentro l’azienda ho fatto tutto quello che un creativo può fare, ho disegnato collezioni e pezzi unici, gioielli innovativi e altri sulle tracce della tradizione, immaginato campagne stampa, seguito shooting fotografici, impaginato cataloghi, inventato slogan, montato video, progettato corner in negozi prestigiosi e inventato stand e vetrine per le Fiere più importanti. Ho vissuto l’arrivo di internet come una grande opportunità per tutti portandoci l’immagine aziendale, scrivendo newsletter, scattando foto e creando i materiali da condividere sui social network.
Quasi dieci anni fa, ho deciso di allargare il mio raggio d’azione mettendo al servizio di ogni tipo di azienda  l’esperienza maturata dall’interno del mondo produttivo. Da allora ho disegnato mobili e ceramiche, accessori d’argento, oggetti di plastica, di marmo e di metallo, disegni per tessuti, tanti LOGO, la grafica istituzionale e l’immagine coordinata per aziende molto diverse tra loro.
Dico sempre che il mio lavoro vale solo la metà del risultato finale, l’altra metà ce la mettete voi condividendo idee, informazioni e stimoli senza i quali non sarebbe mai possibile dare forma e valore al vostro lavoro e comunicare un’immagine forte e coerente della vostra impresa.

Per lavorare insieme serve un feeling senza il quale non si fa niente,
chiamami
Paolo Marangon
335 496048

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