Non vendiamo prodotti, merce, roba, tempo
Prodotti, merce… sono parole che dovremmo abituarci a sostituire con quelle che identificano gli oggetti che produciamo, i servizi che diamo.
Sono parole comode ma dovremmo imparare a non usarle.
Non vendiamo “prodotti”, vendiamo gioielli, sedie, scarpe, borse, libri, tappeti, vini, lampade, biciclette, vasi, ceramiche, canzoni, vetri, giocattoli, fiori, vestiti, software, mele, dolci, cosmetici, occhiali, viaggi, tende, elettrodomestici, ferramenta, idee, cure, sicurezza, emozioni, istruzione, case, decorazioni, informazioni, cornici…
E un altro milione e mezzo di oggetti, servizi, consulenze che vengono definite da una parola precisa che quasi sempre merita ancora altri termini di specificazione. Parole che definiscono e aumentano il valore del nostro lavoro.
Impegniamo energie, creatività, soldi per dare maggior spessore a quello che facciamo, ai servizi e agli oggetti che vendiamo, per descriverli accuratamente, per distinguerli e dare loro il giusto valore. Poi nella routine quotidiana capita di appiattire tutto con termini generici, comodi, veloci.
Tutto diventa merce, prodotto, roba, o si assimila al contenitore, scatole, bottiglie, sacchi, rotoli, bancali… o al tempo di produzione, di lavorazione, di impegno, ore, giorni, mesi…
Sono normali semplificazioni del linguaggio che però, un po’ alla volta, usate in continuazione, appiattiscono e sminuiscono il valore di quello che facciamo riducendo tutto all’attimo dello scambio oggetto-denaro, servizio-denaro, merce-denaro.
Le abitudini sono subdole,
non ce ne accorgiamo.
Da una parte chi vende mette in luce tutte le qualità di ciò che offre e ne giustifica il prezzo, dall’altra invece chi compra usa il linguaggio piatto della quotidianità ponendo la nostra offerta al livello di merce, senza requisiti che la differenzino, e tende ad abbassarne il prezzo.
Un buon proposito per il nuovo anno dovrebbe essere quello di abituarci a chiamare gli oggetti del nostro lavoro con le stesse parole che usiamo nella vendita. Ovunque, nel linguaggio corrente, sul web, nei social, in listini, cataloghi, depliant… sempre, senza permettere a chi vuole acquistare di usare un linguaggio che sminuisca quello che facciamo.
Per non sminuirci da soli, per non mandare a puttane tutto il lavoro e i soldi spesi per dare valore al nostro lavoro.