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Wow! Meglio un asino volante che un cavallo da corsa

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Ci sono oggetti fantastici, elaborati grafici perfetti, sistemi espositivi che funzionano davvero e packaging che sembrano fatti apposta per contenere il loro prodotto. Eppure in pochi si accorgono di tanta perfezione. Forse sono così buoni proprio perché nessuno se ne accorge.
Non mi piacciono.
Amo le esagerazioni che si fanno notare. Mi piacciono quei difetti che fanno esclamare – Wow! Si vede che  dietro a questa cosa c’è un’idea… c’è un progetto… –
Ogni cosa esiste sempre su due piani.
Il primo è quello funzionale in cui si soddisfano tutte le richieste e il nostro prodotto assolve al suo compito. L’impaginato è coerente e leggibile, la vetrina mostra e il packaging contiene correttamente e protegge. Su questo primo piano avrò già infilato di sicuro anche cose che non hanno nulla di funzionale. Avrò scelto una forma anziché un’altra che avrebbe potuto funzionare ugualmente, deciso un colore o un font che mi piacevano più di altri, e così via in modo più o meno consapevole, facendo attenzione che tutto alla fine funzionasse.
Il secondo piano è quello delle emozioni, della comunicazione.
Ho sempre pensato che se si vuole comunicare un prodotto, raggiungere un pubblico, sarebbe meglio iniziare a pensarci subito. Creare oggetti che oltre a rispondere a tutti i requisiti funzionali richiesti sappiano attrarre l’attenzione ed emozionare. Oggetti che in qualche modo si vendano da soli o che comunque aiutino molto a farlo.
Per riuscirci spesso bisogna tornare sul piano funzionale e distruggere qualcosa di quella perfezione che ci soddisfaceva così tanto. Qualche volta occorre mandare in malora tutto. Ci sono invenzioni formali, idee, forme estetiche così emozionanti che portano a distruggere anche il progetto più curato, quello che ci aveva impegnati e ci aveva soddisfatto. Non importa. Non se ne accorgerà nessuno.
Davanti ad un oggetto, una forma, una qualsiasi cosa che emoziona non ci facciamo mai domande. Quando compriamo una cosa che ci piace davvero e ci emoziona facciamo passare in secondo piano tutte le nostre aspettative funzionali. Sappiamo già che con quella caffettiera non faremo mai il caffè ma la compriamo lo stesso, felici di tenerla come una scultura in libreria. Siamo certi che non ci siederemo mai su quella poltroncina che pure ci darà una strana emozione quando l’accarezzeremo con lo sguardo passando nell’ingresso di casa.
Gli acquisti più gratificanti sono sempre quelli che non servono a niente.
Oggetti inutili, che da soli salvano un brand, che da soli riescono ad occupare le pagine dei giornali e le stanze delle nostre case.
Meglio un asino volante che un cavallo da corsa!

non lo faccio mai…

NON-LO-FACCIO-MAI

 

Non lo faccio mai…
ma forse ogni tanto meglio farlo
intendo promuovere direttamente il mio lavoro, così senza tanti preamboli, di solito preferisco raccontare di design, grafica, fotografia, web, interior design, packaging, exhibition design, scrittura… e un po’ tutto quello che interessa o capita a me che di lavoro vendo idee, progetto e creo materiali per aiutare le aziende a migliorare i propri prodotti e a comunicarli.
Chi sono, ed esattamente cosa faccio?
Di me continuo a dire che sono un architetto e un maratoneta, o viceversa, come preferite, continuo a dirlo nonostante le mie corsette siano diventate sempre più rare e lente. Mi piace lo spirito della corsa di lunga e lunghissima distanza, la determinazione un po’ folle necessaria ad arrivare in fondo. Una voglia di fare sempre meglio, di trarre motivazione da ogni sfida che aiuta anche nel lavoro. Dipingo, scrivo, fotografo anche solo per passione. Appena laureato ho fatto l’architetto, quello che progetta le case e i piani urbanistici, poi il caso mi ha portato dentro la fabbrica. Una fabbrica di gioielli che avevo progettato io. Dentro l’azienda ho fatto tutto quello che un creativo può fare, ho disegnato collezioni e pezzi unici, gioielli innovativi e altri sulle tracce della tradizione, immaginato campagne stampa, seguito shooting fotografici, impaginato cataloghi, inventato slogan, montato video, progettato corner in negozi prestigiosi e inventato stand e vetrine per le Fiere più importanti. Ho vissuto l’arrivo di internet come una grande opportunità per tutti portandoci l’immagine aziendale, scrivendo newsletter, scattando foto e creando i materiali da condividere sui social network.
Quasi dieci anni fa, ho deciso di allargare il mio raggio d’azione mettendo al servizio di ogni tipo di azienda  l’esperienza maturata dall’interno del mondo produttivo. Da allora ho disegnato mobili e ceramiche, accessori d’argento, oggetti di plastica, di marmo e di metallo, disegni per tessuti, tanti LOGO, la grafica istituzionale e l’immagine coordinata per aziende molto diverse tra loro.
Dico sempre che il mio lavoro vale solo la metà del risultato finale, l’altra metà ce la mettete voi condividendo idee, informazioni e stimoli senza i quali non sarebbe mai possibile dare forma e valore al vostro lavoro e comunicare un’immagine forte e coerente della vostra impresa.

Per lavorare insieme serve un feeling senza il quale non si fa niente,
chiamami
Paolo Marangon
335 496048

Chi sono?

Chi-sono

 

Chi sono?!
A volte mi vengono dei seri dubbi che la gente sappia rispondere ad una domanda così semplice.
Quando do un’occhiata al sito di un’azienda, a quello di qualche professionista o al sito di una qualsiasi società di servizi, la prima cosa che vado a vedere è… Chi sono.
La fregatura é che la maggior parte delle volte quando clicco sul pulsante del menù principale – Chi sono – o – About – o – Chi siamo – trovo un’altra cosa. Trovo quello che la gente fa. Come se avessi cliccato il pulsante cosa faccio, cosa facciamo. In realtà la maggior parte delle volte lo so già benissimo cosa si fa in quel sito. Perché se sto navigando un sito di giardinaggio so che probabilmente il titolare farà il giardiniere, se guardo un sito di consulenze so di sicuro che i titolari fanno i consulenti. Insomma so sempre cosa si fa sui siti che vedo. Il più delle volte invece è difficile sapere chi sono le persone che svolgono quelle attività.
È un peccato perché a me interessa molto chi sono, il più delle volte mi interessa più di quello che fanno. Credo che tantissima gente voglia sapere con chi ha a che fare. Penso ci siano infiniti modi per dirlo, per presentarsi, mostrando tanto o poco di sé, dicendo cose apparentemente futili o fatti essenziali, l’importante secondo me è provarci.  Mettere una foto, dire quello che ci piace, svelare un sogno… cose semplici, senza preoccuparsi troppo. É come allungare una mano e dire – Piacere, eccomi! –
Io ci ho provato, magari non dicendo tutto quello che il visitatore del mio sito vorrebbe sapere, però ho messo lì quello che sono, forse quello che ero. Adesso dovrei già cambiare, aggiungere, togliere.
Ho raccontato i miei gusti e siccome i gusti cambiano sarebbe ora di aggiornarli. Sarebbe ora di cambiare la foto, che non può rimanere come un’icona quella per sempre. Il nostro sito internet dovrà avere certamente un aspetto più istituzionale dei profili social su cui pubblichiamo il nostro quotidiano ma sarà meglio evitare il deposito della polvere.
È Pasqua, è iniziata una nuova stagione e forse è il momento di dare una bella rassettata anche al nostro sito.
Se serve una mano sono qua!

ha ancora senso?

Ha-ancora-senso

Mi hanno appena dato due  bellissimi biglietti da visita. Di quelli importanti, si vede dalla carta, dal nome, da tutto, ma…
Ha ancora senso?
Intendo… scegliere un cartoncino bello, di qualità, impaginato e stampato da Dio che il nostro interlocutore depositerà direttamente tra la carta riciclabile appena ci saremo girati.
Non abbiamo neanche il rituale giapponese della presentazione a due mani che dal cuore si aprono a vassoio, gesto sottolineato da un impercettibile inchino. Ci scambiamo i riferimenti necessari alle nostre relazioni d’affari come non ce ne fregasse niente.
I biglietti da visita non ci servono neanche come pretesto per marcare con un gesto l’inizio di una relazione.
Ha ancora senso?
Appena arriva una email da uno sconosciuto google o chi per esso lo cataloga tra i nostri contatti in bell’ordine a disposizione sul nostro smartphone, sul tablet e su un paio di nuvolette digitali raggiungibili anche da un’isoletta sperduta.
Ha ancora senso stampare quintali di cataloghi dalle copertine di seta che inevitabilmente  in percentuali altissime andranno al macero?
Non fraintendetemi, mi piace la carta stampata, ho speso un sacco di soldi in libri, le tipografie, le librerie sono posti bellissimi. Ma è una battaglia persa, potremo provare a boicottare tutta la produzione e la distribuzione di testi in formato digitale ma saremo spazzati via come nuovi ridicoli luddisti.
Io ho già tradito, ho saltato la barricata da un pezzo. Compro ancora di nascosto qualche libro fatto di carta solo per mantenere il vizio, per riprodurre un piacere imparato da bambino. I nostri figli saranno gli ultimi e poi basta.
Le biblioteche resisteranno ancora un po’ poi tutto si scioglierà come tavolette di cera.
Solo le parole. I pensieri, le storie non finiranno mai, si moltiplicheranno all’infinito, e avranno sempre bisogno di una forma, una composizione, un ritmo. La grafica digitale ha altre leggi, altre frontiere, infiniti mezzi di diffusione che un po’ alla volta ci conquisteranno diventando abituali.
Nel frattempo godiamoci il fantastico tramonto dell’era della carta stampata. Scegliamo carte meravigliose, innalziamo monumenti a Fedrigoni… Stampiamo biglietti da visita dello spessore di un tramezzo e cataloghi mescolando tutte le carte del mondo.
Vi chiedo solo una cosa, facciamola finita subito con i fax!

ho fatto un sogno

Ho fatto un sogno…
Stanotte ho sognato un tavolo… nero, bianco o di rovere chiaro
Come ali che si piegano in volo
sottile e solido
un tavolo fatto di sei lastre tenute insieme solo dal loro peso
un grande tavolo da pranzo quadrato… lungo… stretto…  o rotondo
un tavolo da poter riporre in soli 5 cm di spessore
Un tavolo pesante e un tavolo leggero
Era solo un sogno di lavoro.
Del resto c’è chi fa cene di lavoro, meeting e viaggi di lavoro.
Io ho solo disegnato un tavolo in un sogno di lavoro.
Non è che volessi per forza fare un tavolo da sogno
Ma era un sogno, solo un sogno

Mi sono svegliato, ho tirato tre righe, fatto due conti e quasi,
quasi va a finire che i sogni si realizzano
A qualcuno interessa realizzare un sogno?!

I sogni li realizzo con gli occhi ben aperti e in genere sono i vostri sogni.
Un tavolo di legno o d’acciaio, un flacone di plastica, gioielli da sogno…

L’immagine della tua azienda e i tuoi progetti di comunicazione
sono sogni da realizzare.

PERSONALIZZARE IL PRODOTTO

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Mai avuta voglia di un tatuaggio?
Così tanto per personalizzare il bicipite o la caviglia. Quando ci abbiamo pensato, a prescindere dalla localizzazione, quello che più ci interessava era la sua unicità.
Un disegno che fosse solo nostro.
Magari il tatuaggio poi non l’abbiamo fatto ma riversiamo continuamente la nostra voglia di identità su tutto quello che compriamo. È una mania!
Una voglia di affermazione dell’ego che avevano anche le nostre nonne quando ricamavano baulate di corredo con le iniziali di famiglia. Adesso… altro che iniziali sulle camicie, che tra l’altro non sono mai passate di moda.

La tendenza alla personalizzazione investe tutto il product-design.

L’arredamento, soprattutto nel contract, è un tripudio di personalizzazioni ad hoc. Il logo e i colori dell’hotel o dell’azienda occhieggiano dalle cerniere delle ante, dalle corsie dei cassetti  per esplodere ovunque su letti, specchi, tavoli e poltrone direzionali. Borse, scarpe e accessori non sono certo da meno nell’offrirci tutte le possibili variabili tra cui scegliere come identificarci. Siano pezzi extralusso, fashion o sportivissimi non mancherà mai la possibilità di aggiungere quel quid che dirà a tutti la sua appartenenza. Certo la si potrà urlare come sui barattoli della Nutella, sulle sinuose forme delle Coca–Cola e sulle fasce colorate ai bordi delle nostre Nike o si potrà più discretamente solo accennare scegliendo un dettaglio seminascosto ma bisogna poter dire…
“Questo è mio!”

Biciclette, occhiali, computer, smartphone, tutto deve avere un nostro segno inequivocabile. Le cover dei telefonini stravolgono il lavoro di designer geniali con chili di glitter, colori fluo, e le immagini di introvabili manga giapponesi esibiti più dei gioiellini tecnologici che nascondono.

PERSONALIZZARE, PERSONALIZZARE, PERSONALIZZARE!!!
È un imperativo categorico.
Gioielli che si adattano agli stati d’animo e al look di chi li indossa. Incredibili creazioni da usare in tanti modi diversi. Oggetti che il cliente può comporre come crede rendendoli di fatto unici e assolutamente personali.

Ma è proprio vero che il cliente vuole sempre poter trasformare a sua immagine e somiglianza abiti, gioielli, mobili, scarpe da ginnastica e posate d’argento?!
Qualche volta val la pena riflettere sulla paura diffusa di dover essere creativi a tutti i costi e trovare il modo di rendere semplice al cliente l’affermazione della propria identità e dei proprio gusti.

Chiamami che ne discutiamo insieme.

AUGURI BANALI

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Lo so, gli auguri sono banali!

È  quasi Natale, tra un attimo è Capodanno e tutti stiamo inviando regali e gadget, cesti natalizi e biglietti d’auguri o semplicemente e–mail a tutti, sms e whatsapp e messenger e segnali di fumo con tanti, tanti auguri.
La banalità è in agguato!
Noi, attenti e abilissimi, la schiviamo con mossa d’anca da twist e ci ritroviamo a inventare frasi strampalate e battute originali che neanche i polli…  L’originalità a buon mercato gioca in tandem con la banalità e dove l’una viene saltata l’altra entra a piè pari sugli stinchi.
Se scrivere le solite frasi di circostanza fa capire ai nostri destinatari quanto poco ci interessi di loro, sostituire la banalità con  eccentricità gratuite e invenzioni di bassa lega aggiunge soltanto al disinteresse l’ingombrante e fastidiosa ombra del nostro ego smisurato.

E allora?!

Saltiamo a piè pari auguri Natalizi e carabattole di contorno rischiando di passare per menefreghisti smemorati o addirittura per maleducati?
Direi di no e infatti sono qui a farveli gli auguri.
Proverò a non essere banale o stupidamente egocentrico.
Sto scrivendo alla maggior parte di voi che sanno di me solo per questa newsletter, a qualcuno che ho incontrato in azienda o  tra gli stand delle fiere e ai pochi che mi conoscono bene perché lavoriamo insieme da anni.

Per me è stato un anno duro come mai e da quel che ho visto in giro è stato così per molti. Il fatto di essere ancora in piedi e di lavorare con voi è già un gran bel risultato.
Si dice…  basta la salute! Ecco! Questa è una banalità che dico volentieri e spero condividerete con me.

Auguro a tutti di inventare un gioco nuovo ancora ogni giorno!  
Vorrei che fossimo così impegnati e seri da riuscire a non prenderci troppo sul serio!
Almeno durante le feste speriamo di riuscire a fare quel che ci pare, quello che ci piace.

Io spero di fare qualche corsa, di leggere, scrivere e dipingere, di fare un salto sulla neve in montagna con le persone a cui voglio bene.

Certo che le feste e le ricorrenze sono proprio banali!

È vero però  che sono proprio certe banalità a permetterci di sentire le stesse cose per poterle comunicare.

Allora…  AUGURI banali, previsti e aspettati a tutti.

SCEGLIERE

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Ero lì che non sapevo che pesci prendere, la scelta non era semplice e le opzioni si erano ridotte all’osso. Prendevo un materiale e spendevo una cifra o sceglievo l’altro con mille dubbi sulla reale resa in fase di lavorazione.

Una situazione che si ripete continuamente a fare il creativo di professione.

Sia che tocchi scegliere la carta per il nuovo depliant di un’azienda particolarmente sensibile ai temi della dell’ecologia, sia che si debba trovare il materiale giusto per il pavimento di uno stand fieristico o di un negozio.

Scegliere!  

Farlo velocemente tenendo conto di tutto.
Scegliere il template più adatto per quell’azienda che vuole realizzare il nuovo sito internet su WordPress. Scegliere il tavolo e le sedute più corrette per arredare la sala riunioni, le poltroncine della sala conferenze o della sala d’attesa.

Scegliere la luce giusta!
Prendere le lampade più adatte a ciò che si vuole illuminare e allo spazio che si vuole occupare.

Scegliere l’impostazione grafica che esprima meglio il messaggio che si vuole comunicare.
Le immagini, le parole,  i font, i grassetti e i corsivi, scegliere i colori e l’impaginazione.

Scegliere l’incipit di una storia, il ritmo di un video, il tono di una voce, lo sguardo di una modella, scegliere la musica che commenta le immagini o scegliere il silenzio.

Trovare il posto perfetto per scattare una foto o adattarsi alla solita location.

Usare  un materiale della tradizione o un composto mai visto prima? Innovare a tutti i costi o calibrare l’effetto per rassicurare?

Calibrare il disegno di una curva, disegnare la forma di un oggetto rispondendo alle esigenze ergonomiche, estetiche, economiche…

Ecco!
Scegliere in fretta il meglio tra tutto ciò che è possibile.

Serve esperienza e umiltà, averne provate tante e sapersi fidare di chi magari quella cosa la fa da sempre. Serve coraggio e intuizione per rischiare e innovare.

Bisogna scegliere!

PAZZA IDEA

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Che idea rubare il titolo a Patty Pravo!
L’idea è quella cosa che viene prima di tutto. Semplice no?!
Non ho nessuna intenzione di filosofeggiare, anzi sto parlando di una cosa molto concreta e utile.

La cosa più utile e necessaria per tutti quelli che hanno un’impresa, un’attività qualsiasi.

Quante idee abbiamo cercato nell’ultimo anno?
Almeno una di queste di sicuro.

Come si chiamerà la mia azienda, il mio bar, la mia società… e quale sarà il suo marchio? Non sembra ma abbiamo spalancato le porte a una valanga di altre domande.
Sarà un acronimo o un nome con un significato compiuto? Userò il mio nome o un nome di fantasia? E da qui un’altra infinita serie di domande su questioni quali l’originalità, il copywriting, l’uso del nome scelto nel web, la pronuncia e il significato in altre lingue… e altro ancora.

Dovendo poi scegliere il marchio, l’insegna, il logo… chiamatelo come volete, quel segno grafico normalmente composto da un disegno di lettere e immagini riconoscibili, ecco che tante altre domande ci affolleranno i pensieri. Colori, forme, coerenza,  la brevettazione, i risultati di stampa, le modalità d’uso sui vari mezzi e supporti…

Fatto che abbiamo risposto a queste domande l’altro ieri o cinquant’anni fa, queste tornano tutti i giorni a riproporsi investendo nel più profondo il nostro lavoro.

Mille domande sulla forma dei nostri prodotti, il famoso “design”, sui colori che scegliamo, sulle forme del packaging e le modalità di presentazione, sulla grafica del nostro catalogo, la carta, i font… e poi il sito web e le parole giuste per raccontarci. Sia che produciamo sedie o brioches… camicie, lampade o biciclette… che  abbiamo un bar o una tintoria, la storia non cambia.

Avete fatto caso che non sono tanto le risposte la cosa importante?
Difficile darsi risposte, a volte anche semplici, se non ci si pone la domanda giusta.

Torniamo allora all’uovo e alla gallina… alla nostra pazza idea che abbiamo dimenticato là all’inizio.

Non credete che sarebbe tutto molto più semplice, intendo porsi le domande e darsi le risposte, se avessimo una sorta di grande idea madre da cui discende tutto?

Se avessimo deciso per esempio che la nostra attività è “ECOLOGICA”diretta emanazione del ciclo vitale della natura, che i nostri colori sono i colori delle stagioni, che i nostri materiali saranno naturali, ecc…

Oppure amiamo da pazzi lo sport e allora ci viene bene scegliere i colori le forme e i linguaggi tra le mille opzioni offerte da quel mondo.

Oppure ancora, siamo innamorati della pulizia delle forme, del rigore, dell’essenza delle cose, abbiamo deciso che gli unici colori sopportabili sono il bianco e il nero possibilmente entro quadrati o cerchi.
Se adoriamo l’usurata sentenza di Mies Van Der Rohe “Less is More”, allora sarà facile fare scelte anche molto difficili.

In un mondo in cui per comunicare serve essere prima di tutto riconoscibili, non sarebbe male riflettere su chi e come dorremmo essere.
Così poi tutto diventa più semplice.
Non importa se stiamo appena iniziando a pensare alla nostra impresa o se invece stiamo progettando la nostra ennesima collezione.

COERENZA
Ecco!
Non proprio così semplice eh!
Fatta una scelta di campo, bianco rosso o nero che sia, sportiva, ecologica o minimal, tanto per usare parole ugualmente consumate dall’uso, non sarà una passeggiata scegliere sempre in modo coerente.

Nel caso servisse un aiuto sono qua.

Scrivere il profilo aziendale

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Il Profilo Aziendale o il Company Profile, come volete, è quella mezza pagina dove scriviamo sempre le stesse cose.
Una volta stava a pagina cinque della brochure cartonata, poi si è moltiplicata sui pieghevoli e sulle cartoline ed è esplosa sulle home dei siti di quasi tutte le aziende.

Nonno Evaristo nel lontano 1895 aprì bottega in un sottoscala di via Dei Cardatori a…
Niente male eh?! In una riga avremmo risposto a piú della metá delle famose “five W’s” come in un film americano.
Invece spesso iniziamo a scrivere… “Siamo un’azienda moderna, giovane e dinamica, integrata, dalla solida struttura manageriale, leader indiscussa nella creazione, produzione e distribuzione di baratelle e tirapacchi sia maschili che femminili…” E  continuiamo “…la soddisfazione del cliente sta alla base della nostra filosofia aziendale…” Insomma ci incensiamo e tiriamo a lucido senza dire le cose essenziali, senza presentarci davvero.

In pochi abbiamo il coraggio di metterci la faccia nonostante ovunque dilaghino i selfie e di sequestri di persona, per fortuna, non si senta più parlare.
In pochi abbiamo il coraggio di dire… Eccomi qua! Son mi el paròn! E mostrare con la faccia quel po’ di carattere che ha fatto l’impresa. Una faccia sorridente o arcigna, ironica o seriosa col telefono in mano… Una faccia che dica qualcosa!

Proviamo a tirar fuori cose non banali… Con una faccia che se piove e tira vento o ci sono quaranta gradi come oggi e l’aria condizionata é andata a ramengo é comunque la faccia di uno che racconta la sua storia. Di quando, dove, come e perché… Certo! Ma anche di tante altre cose… Che corriamo all’alba lungo il fiume (lasciate perdere che son fissato!) o che daremmo un anno di vita per cambiare tutto. Raccontiamo dei mille successi ma soprattutto di quell’unica sconfitta che poi conta piú di tutto.

Usiamo un linguaggio diretto, semplice, raccontiamo un aneddoto, rifacciamoci a una canzone, a un film , un libro… Parliamo dei mille prodotti bellissimi, importanti, dei brevetti e degli attestati, ma più di tutto raccontiamo di quel sogno che ancora teniamo nel cassetto e che sará una sorpresa, un regalo…
E sicuro… la moglie, il marito, i figli…. La famiglia… ma che non sia per forza mulino bianco.

Perchè non raccontare che é iniziato tutto con un gran colpo di fortuna, per un’intuizione geniale… e poi la fatica di un milione di notti in bianco quasi a doverseli far perdonare.

Scriviamo il Profilo Aziendale come un racconto vero, che ci renda credibili e faccia venir voglia di incontrarci.

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