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Una parola magica: NUOVO.

NUOVO_2NUOVO era una bellissima rivista di pubblicità stampata tra gli anni ’70’ e ’80. Giustamente l’editore aveva innalzato questa parola a totem, insegna di un intero settore. Nuovo è  un aggettivo che si appioppa a ogni oggetto di design e sicuramente una delle parole più usate nel marketing. Quando un’azienda passa di mano alle nuove generazioni spesso non si trova niente di meglio che aggiungere al vecchio nome questo aggettivo palingenico (che fa nascere di nuovo). Qualche volta ciò che viene bollato come nuovo, nel marketing, nel design, nella comunicazione televisiva, al cinema, nella moda e un po’ dappertutto di nuovo non ha proprio nulla. Ma c’è di peggio! Anche quando la creatività partorisce un’idea davvero innovativa non sempre questa viene usata bene e avvantaggia l’azienda che  ha speso tempo e soldi per darle vita. Spesso il NUOVO ha poco a che fare con l’identità aziendale, con il pubblico che ha fatto la fortuna di quell’azienda. E’ nuovo e tanto basta! Uno specchietto per le allodole. La magica novità non produce sempre gli agognati risultati sui fatturati. C’è da dire che questo effetto di abbagliamento, di ricerca compulsiva del nuovo design, del nuovo packaging, della nuova grafica, di una nuova idea è spesso appannaggio di aziende piccole e sprovvedute che accecate dal luccichio della novità si dimenticano di tenere ben saldo il timone sulla rotta prefissata  e segnata dalle stelle dei principi qualificanti della propria identità, dai suoi valori, dalle parole chiave che le danno significato. Non è facile definire l’ambito in cui sciogliere le briglie alla fantasia perchè il risultato alla fine esalti e valorizzi il proprio marchio. Meglio farsi aiutare da chi è abituato a gestire la propria creatività verso obiettivi precisi. Non sempre NUOVO è bello e utile.

T–shirt personalizzate

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T–shirt personalizzate da YR Store in Boxpark il grande centro commerciale di Londra dove è possibile acquistare e disegnare la propria t–shirt stampando le immagini che più ci piacciono, creandole lì direttamente sui grandi schermi touch screen con applicazioni di grafica a disposizione nel negozio, oppure elaborando con calma le immagini da casa per poi portarsele in negozio con una chiavetta USB o via e–mail. Le nostre immagini verranno stampate in pochi minuti su magliette di qualità che ci porteremo a casa con sole 20 sterline.
Un gioco da ragazzi per t–shirt personalizzate con stampe di qualità.
Ancora una volta è il caso di riflettere su come la tecnologia digitale ci stia permettendo sempre più facilmente di creare nuovi oggetti (stampanti 3d) o di personalizzarne di esistenti (stampanti a sublimazione) in quantità molto limitate a costi più che ragionevoli, impensabili fino a qualche tempo fa quando per abbattere i costi di avviamento ed avere prezzi unitari decenti era necessario prevedere la produzione di grandi quantità di oggetti uguali. Ora invece sono diventati concreti i concetti di personalizzazione e le piccolissime campionature a basso costo.
Queste sono le nuove frontiere della creatività e dell’arte. 

 

Quando il design sorprende


trasformisti_oggetti-che-si-trasformano_634Da sempre il design sorprende con la polifunzionalità.
Gli oggetti capaci di trasformarsi in qualcos’altro o che offrono diverse possibilità d’uso emanano una forte attrattiva verso il pubblico. Inoltre proprio grazie alla loro versatilità permettono alle aziende che li hanno creati di comunicare efficacemente. Il divano–letto con meccanismi magici, la scala che all’occorrenza diventa libreria, tavoli che si allungano, si allargano e cambiano geometria, lo straccetto che da gonna diventa giacca, la collana che si trasforma in bracciale e l’anello che diventa orecchino. Dietro tutti i “trasformisti” c’è un ufficio creativo, ci sono designer con un obiettivo preciso: sorprendere! Quando una persona ci  sorprende non la dimentichiamo, qualche volta ce ne innamoriamo, spesso ne rimaniamo affascinati. Così per gli oggetti e per le aziende che questi rappresentano.
Ma attenzione non è facile. Quando si vuole sorprendere con un colpo di teatro il grosso rischio che si corre è quello di risultare ridicoli o, quando va meglio, di lasciare perplesso il nostro pubblico. Per evitare di far la figura del cioccolatino è fondamentale seguire due regole essenziali: semplicità e funzionalità.
La trasformazione deve avvenire come per magia, in un amen! Non ci devono essere istruzioni complicate da seguire, dovrà sembrare tutto facile e divertente come un gioco. L’oggetto che ha una sua funzione precisa, una volta trasformato magicamente, dovrà soddisfare con la stessa precisa funzionalità ad un’altra necessità. Non dovremo trovarci davanti a qualcosa che sì… forse… dai… è vero… ci assomiglia!
Dovrà far sorridere e pensare, che bello!
Accidenti era così facile, perché non l’ho inventato io! Allora il design sorprende!

Nell’immagine: elaborazione grafica della collana “trasformista” di NANIS

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Raccontare storie per vendere sogni…

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Tutte le aziende hanno la necessità di descrivere la loro attività, di raccontare quello che fanno, di promuovere i loro prodotti. Nel tempo del web 2.0 la scrittura è diventata uno strumento ancora più importante. Ma raccontare una storia per vendere un prodotto significa trasformare il prodotto nel protagonista della storia. Il più grande spot pubblicitario a cui abbia assistito è stato il film del 2001 Cast Away di R. Zemeckis con Tom Hanks. La storia racconta di un dipendente di Fed-ex disperso su di un’isola deserta dopo la caduta dell’aereo della compagnia di spedizioni su cui viaggiava. All’inizio è il rapporto totalizzante tra il dirigente e la sua azienda. Quanto è grande, bella e buona Fed-Ex, com’è efficiente Fed-Ex. Poi l’aereo precipita e lui, l’unico superstite, raccoglie tutti i pacchi Fed-Ex che il mare restituisce. Tra questi tutti ricorderanno, spot nello spot, il mitico pallone della Wilson, che una volta macchiato con l’impronta insanguinata del palmo della mano si trasformerà nell’unico amico sull’isola deserta, il Signor Wilson appunto. Così mentre per due anni Tom Hanks culla la speranza del ritorno alla vita civile su tutto giganteggia l’aura invisibile di Fed-Ex e il pacco con il logo dalle ali dorate come ancora di salvezza. Sull’aereo durante il sospirato ritorno altro spot nello spot a favore della gazzosa Dr Pepper buttata lì per vedere chi la ricordava come bevanda preferita da Forrest Gump (il personaggio da Oscar di Tom Hanks).

Ecco qua! Niente di meglio di una bella storia per raccontare un prodotto. Un orologio, una pietra preziosa, una località turistica, una bibita analcolica, una marca di aerei o di automobili… Chi non ricorda l’alfa rossa spider, star de “Il laureato” con Dustin Hoffman del ’67, e la vespa di “Vacanze Romane” di W. Wyler del ‘53 con Audrey Hepburn. Il cinema è sempre stato il mezzo per comunicare il prodotto importante, meglio se di lusso. Bulgari cresce e diventa “BULGARI” grazie anche a Cinecittà, alla dolce vita e… al David di Donatello, inteso come premio cinematografico.
Il cinema dunque, ma non solo, c’è una grande richiesta di scrittura creativa, di racconti, storie, romanzi che facciano rivivere le emozioni contenute nel rombo di un motore, in un gioiello, in una grande casa di moda, ”Il diavolo veste Prada” prima di diventare il film che tanti hanno visto è stato un romanzo scritto da Lauren Weisberger. Ovviamente non sto parlando di fare grande cinema, di fare letteratura ma di far conoscere un prodotto, di farlo desiderare, di renderlo “simpatico”, fare marketing narrativo e vendere.
Le aziende però, specialmente quelle più piccole, ­­­sono spesso frenate di fronte alla prospettiva di romanzare un pezzettino della loro attività. C’è bisogno di una personalità forte e di strumenti affilati per esibirsi o far esibire la propria azienda al di fuori dell’agone classico del mercato, sul terreno molto più scivoloso della narrazione di fantasia.

Chi volesse approfondire:
MARKETING NARRATIVO
Usare lo storytelling nel marketing contemporaneo.
A. Fontana, J. Sassoon, R. Soranzo
Ed. Franco Angeli­­

 

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Fotografia tra arte passione e gioco.

C’è stato un periodo quando avevo 16, 17 anni in cui la fotografia era quasi tutto. Pellicola medio formato 6×6 o 6×9, tassativamente bianco e nero, bagno trasformato in camera oscura, pellicole e foto stese ad asciugare come biancheria fresca di bucato. Si sperimentavano i trucchi dei fotografi famosi, il flou che allora dilagava grazie a David Hamilton e ancor di più alle sue fanciulle in fiore… poi mi ero vergognato di un giochetto così commercialmente abusato e avevo trovato nei bianchi e neri perfetti di Mapplethorpe una nuova ispirazione e il riscatto creativo. Sognavo di possedere una irraggiungibile Hasselblad e di fotografare Lysa Lion.
Oggi che la fotografia, le immagini, sono un pezzo importante del mio lavoro ho un miliardo di certezze in meno e più voglia di sperimentare di allora. Ammiro tanti artisti ma nessuno mi affascina più come accadeva a metà degli anni settanta. Apprezzo la qualità infinita del grande formato ma trovo divertente e infinitamente creativa la possibilità di usare la macchina fotografica dello smartphone in qualsiasi momento, per un appunto, per raccontare una cosa su facebook o twitter, per raccogliere un’immagine, una luce che non rivedrò più. Trovo idiota la demonizzazione, da parte di tanti fighetti, della moltiplicazione popolare delle possibilità espressive. Spero si diffondano presto insieme alle sempre maggiori possibilità creative anche una maggiore cultura artistica e una nuova coscienza estetica per cambiare questo cesso di mondo!

Nell’immagine sopra – Robert Mapplethorpe, Ken Moody, 1983

www.mapplethorpe.org

Il design del riuso in mostra a Padova

Nel weekend appena trascorso si è conclusa a Padova la mostra SCRAPOUT: UPCYCLING EXPO. Un’esposizione collettiva di opere di designer, artisti e artigiani provenienti da tutta Italia, collocate nell’ex macello in via Cornaro e patrocinata dall’associazione “La Mente Comune”. Devo confessare d’essere stato attratto più dall’edificio che non avevo mai visto che dalle opere pur interessanti ed esposte in modo ordinato e piacevole. Forse mi resta la vaga delusione di aver percepito una presenza forte della mano di artigiani e artisti bravissimi piuttosto che progetti di designer capaci di stimolare al riuso e al recupero il mondo imprenditoriale. Una percezione personale, nulla più, dettata dalla mia necessità di trasferire design, creatività, innovazione e spirito sociale dagli spazi chiusi delle mostre a quelli più ampi ma anche più duri della produzione industriale e del mercato. SCRAPOUT: UPCYCLING EXPO resta un importante momento di confronto sulle tematiche del riuso, un bel progetto che immagino saprà crescere nelle prossime edizioni.
lamentecomune.it
progettoscrap.it
padova/ex-macello

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