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WWW.SITO.WOW

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Navigando in Internet a caso mi capita spesso di inciampare, anche senza StumbleUpon, in siti aziendali di ogni specie… abbaglianti, bellissimi, interessanti, brutti, noiosi, dalla grafica antidiluviana, labirintici, che mi chiedono di scaricare Flash, che mi aprono subito un bel pop–up e quelli che sempre più spesso si propongono di risolvere tutti i problemi della mia vita e avanzano il loro aiuto  con una certa aggressività, come se io potessi mai avere dei dubbi sull’efficacia immediata dei mezzi che mi offrono a fronte di una modica spesa.
Ma lasciamo perdere le divagazioni e torniamo ai siti che mi stupiscono.

Resto di stucco quando, navigando siti dalla grafica curata,  finisco a scorrere le news e scopro che la più recente risale al settembre del 2010. Mi informa che l’azienda sarà presente a una fiera internazionale di lì a quindici giorni. Appena sotto la news precedente mi dice che anche nel 2009 era successa la stessa cosa… 

Mi sorprendono i siti che preventivamente aprono una pagina di benvenuto con un’animazione fantastica e mi chiedono di scegliere la lingua che più mi aggrada tra le cinque o sei a disposizione. La cosa che mi sorprende di più è l’icona che prima di ogni altra cosa mi chiede di scaricare Flash Player per poter accedere alla splendida animazione di cui si parlava prima. Tutti i dispositivi Apple non vedono Flash perché tra le altre cose dicono… “Avere Flash Player installato è un invito ad entrare rivolto ai malviventi di tutto il mondo.”

Mi lasciano così… così… quei siti che al pulsante CHI SIAMO mi raccontano un sacco di cose tranne… CHI SIAMO.
Poi ci sono siti dai testi copia incolla, dai testi buttati lì, pieni di errori, dai testi che se non c’erano i testi era meglio. Internet e google in particolare amano le cose scritte in modo comprensibile e non copiaincollate.
Una parte del mio lavoro consiste nello scrivere per il web… se serve son qua!

Un sacco di aziende hanno siti realizzati agli albori di questo millennio, intendo molto prima del 2010. Se da una parte è un bel modo per dire – noi siamo stati i primi –  ora questi siti non danno un’immagine particolarmente innovativa dell’azienda e soprattutto non sono molto funzionali.
Rispetto a vent’anni fa realizzare un sito costa dieci volte di meno però guarderei ancora con sospetto a chi butta là offerte 3×1, sconti 70% o… incredibili TUTTO GRATIS. In genere davanti a queste cose mi vien sempre da chiedermi – dov’è il trucco? – Poi mi capita di guardarci dentro e capisco.

10 FONT IRRINUNCIABILI

10-font-irrinunciabiliScrivere un testo qualsiasi e pensare di mostrarlo, in una pubblicazione digitale o cartacea non fa differenza, vuol dire pensare ad un carattere tipografico, ad un font che lo renda leggibile, gli dia letteralmente “carattere”. Un font che interpreti al meglio il messaggio contenuto nel testo.

Senza tanti preamboli vi mostro 10 font che mi piacciono, che per un motivo o per l’altro vale la pena usare.
Alla fine… sorpresa!

 


Irrinunciabile! Quello che risolve sempre tutto e non stanca mai. Dal bold all’ultralight per dare chiarezza, forza, eleganza e…


Ha fatto la storia della tipografia. Prendete un libro qualsiasi, novanta su cento è scritto in Garamond.


Modernissimo da sempre, ha una precisione geometrica che lo colloca tra i caratteri senza tempo.


Lo dice il suo nome, è il font perfetto per comporre i titoli, per alzare la voce… senza perdere il controllo!


Elegante, con una vena retrò, sfoggia le sue grazie appena accennate sugli schermi cinematografici di tutto il mondo dando forma ai titoli di tutti i film di Woody Allen. E se l’ha scelto lui…


Altro carattere che ha fatto la storia della tipografia, con quell’alternarsi di tratti sottili e segni più marcati non è il massimo della leggibilità ma come un profumo di classe si riconosce subito.


Un font che mi ricorda la vecchia macchina da scrivere di mio padre. I tasti rotondi, neri, lucidi con le lettere in bianco, il rumore secco di una fucilata ad ogni battuta, la carta quasi bucata dai martelletti trattiene quel poco di inchiostro che arriva dai caratteri metallici consumati…


Ha un grande successo sul web, soprattutto sui social.  Dal sapore vagamente Hipster, mi piace nella sua versione light. Esistono solo i caratteri maiuscoli.


Il font della mia giovinezza! Adesso lo guardo con qualche perplessità e con indulgente malinconia. Ricorda i trasferibili della Letraset o quelli più economici della R41. Quando comporre un volantino decente era un lavoraccio! Trasferibili??? Beati voi se non sapete cosa sono!


Uno dei migliori font “script”. Attenzione: da usare esclusivamente nella versione minuscola. Come tutti i font decorativi e simili  meglio usarli con attenzione e parsimonia.

La sorpresa?
Facciamoci un font tutto nostro? Con la nostra scrittura, così da scrivere al computer esattamente come quando scriviamo a mano con la vecchia stilografica del nonno?
Presto fatto! Andiamo al link qui sotto, seguiamo le semplici istruzioni e in un amen avremo installato il nostro personalissimo font.

www.yourfonts.com

METTIAMOCI LA FACCIA

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Quante volte ci è capitato di guardare un biglietto da visita tornato a galla dal fondo di un cassetto e non ricordare assolutamente nulla del titolare. Leggere Dottor Tal Dei tali, Azienda, Telefono, e–mail e… Niente! Nessun ricordo… Nulla!
A questo punto ci sarà venuto il dubbio che possa essere successa la stessa cosa a tanti altri con la nostra targhetta ormai divenuta evanescente.
Anche voi avrete pensato, come me, che il modo migliore per farsi ricordare meglio è quello di metterci la faccia! Magari poi non l’avete mai fatta quella foto e il vostro biglietto rischia ancora di finire nel limbo fumoso dei ricordi perduti.

Ecco allora 10 idee per farla finalmente la foto!

1 – la fototessera della patente non va bene. Però come per i documenti manteniamo uno sfondo uniforme e bianco. Un bel muro andrà benissimo e sarà più facile impaginarla.

2 – Una luce di lato che dia tridimensionalità sarà perfetta… e non importa se mezzo viso rischierà di finire troppo in ombra.

3 – Un bel sorriso, uno sguardo pensieroso o un’espressione strana, andrà bene tutto, purchè non sia banale come un santino funebre… e allora via con linguacce, occhi che guardano la punta del naso, smorfie, ammiccamenti e sguardi languidi.

4 – Bello il bianco e nero ma vanno benissimo anche i colori purchè lo sfondo resti neutro. Meglio esagerare con colori sgargianti e neri profondi o grigi quasi impercettibili, posterizzazioni e tutti i filtri di Photoshop sperando alla fine di essere ancora riconoscibili.

5 – Il primissimo piano va benissimo, anche il mezzo busto funziona, evitiamo però di allargare l’inquadratura fino alla punta delle scarpe.

6 – Gli occhi sono il focus di tutto. Sono loro che anticiperanno la nostra stretta di mano.

7 – Un modo divertente di osare inquadrature poco ortodosse sarà quello di giocare con le mani davanti al nostro viso.  Un saluto militare fuori ordinanza, un pollice alzato, una mano aperta  da cui far capolino… Sono infiniti i modi in cui le mani possono parlare per noi.

8 – Quasi dimenticavo l’abbigliamento. Va bene quello che ci rappresenta meglio, camicia, giacca, t–shirt… Evitiamo di vestirci di bianco per non rischiare l’effetto testa appoggiata ad un collo che fluttua nel vuoto.

9 – Si può giocare con accessori che sottolineino la nostra personalità. Occhiali da cecati o solo per far scena, perfino scuri o a specchio, indossati sulla punta del naso o appoggiati alle labbra… cappelli di ogni foggia, cravatte, foulard…

10 – Anche il nostro cane o il gatto potrebbero entrare con successo nell’inquadratura. Perfino il nostro pappagallo, il camaleonte di casa o l’allegro serpentello che ci aspetta sempre sul divano darebbero un tocco unico al nostro profilo.

L’obiettivo è quello di farsi ricordare, di legare la nostra faccia alla nostra attività in modo che l’espressione del nostro viso dica chi siamo e anticipi il nostro saluto cordiale.

INVITARE AGLI EVENTI

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Chiamare a raccolta il pubblico dei nostri eventi, cene,  fiere, presentazioni, feste, degustazioni, inaugurazioni e… chi più ne ha più ne metta… non è un’azione banale come sembra.

Anche l’invito, se fatto bene, aumenterà il successo della nostra manifestazione.

Cosa fare?

Inventiamo un titolo stuzzicante. Dipenderà dal tipo di appuntamento, di cui dovrà sottolineare il tono. Scriviamolo in grande che sia immediatamente leggibile.

Scegliamo un’immagine che dica già tutto… o viceversa un segno che stupisca o incuriosisca.

Titolo e immagine saranno gli stessi per tutte le azioni di comunicazione, anzi, parleremo di vera e propria immagine coordinata dell’evento. Un’immagine che dovrà rispettare e richiamare l’identità di chi lo promuove.

Ricordiamoci di scrivere le cose essenziali. Oltre al titolo, la località precisa con via e numero civico, visto che oggi ci arriviamo tutti col navigatore o portati dallo smartphone. L’indirizzo e–mail e il numero di telefono sono indispensabili se chiediamo conferma della partecipazione aggiungendo a piè di pagina RSVP (Répondez, s’il vous plaît)

Per comporre il nostro invito, come per il manifesto e il resto, non useremo più di due Font, possibilmente semplici e leggibili.

Due modi per inviare l’invito e due mondi con variabili pressoché infinite: per posta dentro una bella busta di carta o via email…  i piccioni viaggiatori e la posta pneumatica non contano.
Tralascio di affrontare le infinite variabili cartacee, tutte bellissime e molto più costose. Se inviamo l’invito via email possiamo arrangiarci con il nostro programma di posta, oppure affidarci a programmi di email marketing nel caso di una mailing–list affollata come piazza del duomo e la necessità di avere un formato più professionale.

Se ci arrangiamo con google o altro programma di posta dovremo far attenzione alla qualità e al peso delle immagini che alleghiamo. Inutile dire che più sono leggere e meglio è, in ogni caso cerchiamo di non superare il megabyte.
Per quanto riguarda la qualità, se l’immagine contiene del testo, scegliamo i formati PDF o PNG che consentono una lettura più nitida degli elementi grafici rispetto al più usato formato JPEG.

Ci sono tanti altri modi di invitare amici e clienti o potenziali clienti ai nostri eventi. Anche modi meno formali e più veloci. Google ci mette a disposizione Calendar  e Facebook ci dà la possibilità di creare il nostro evento, di pubblicizzarlo e di invitare chi vogliamo. Possiamo creare un gruppo su  whatsapp e inviare ad ogni membro un’immagine o un  piccolo video.

Se la nostra manifestazione avrà un tono molto formale dovremo usare dei toni sobri, che non vuol dire  non si possa essere anche molto originali.
Se vorremo dare un tono esclusivo al nostro evento non ci affideremo ai social per pubblicizzarlo e invieremo gli inviti in forma cartacea per posta. A questi affiancheremo eleganti inviti digitali inviati via email.

Se invece vorremo dare la massima visibilità possibile invieremo inviti via email e useremo tutti i canali social per pubblicizzare l’evento.

In ogni caso il nostro invito dovrà avere carattere ed essere chiaro.

BELLO è UTILE

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Quante volte abbiamo sentito la frase – l’importante è che sia utile, funzionale, non è importante che sia bello! –
Invece il bello è utile, vantaggioso economicamente e assolutamente indispensabile per comunicare l’azienda.

– Fa parlare di sé e si fa vedere.

– Emoziona e fa innamorare.

– É innovativo e stupisce.

– Ha tante cose da raccontare.

– Non è banale.

– Trasmette le capacità dell’azienda,

– e i suoi valori 

– É semplice

– Fa vendere

Realizzare un bel oggetto, un bel logo, un bel depliant o un bel catalogo, un bel sito internet, delle belle fotografie, un bel testo per il blog, per face book o per la tua newsletter… fare le cose bene e far sì che siano belle non costa di più e soprattutto tuoi investimenti in design e comunicazione non saranno controproducenti.

La creatività deve mostrare il progetto che la ispira!

Progettiamo insieme delle cose belle!

IL PRODOTTO DA GIOVANI

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Il prodotto da giovani non esiste!
Mi capita tutti i giorni di discutere del pubblico a cui è diretto un certo prodotto. Per semplificare, oggetto di lusso, della tradizione, fattura artigianale, prezzo elevato… il target è tra i quaranta e i sessanta, viceversa easy, modaiolo, di fattura industriale, slegato dai valori della tradizione, prezzo contenuto…  sarà un prodotto rivolto ad un target tra i 18 e i trenta/quarant’anni.
Troppo semplice!

Il ragionamento appena fatto sembra lapalissiano ma non lo è per niente. Il dato anagrafico oggi coincide solo marginalmente con le capacità di spesa e con i valori di riferimento. C’è un gran rimescolamento di ruoli, di valori, di necessità da appagare.
A prescindere dal portafogli, infatti per ogni fascia di mercato le logiche si ripetono, dalla fine degli anni sessanta la “giovinezza”, l’essere, l’apparire o l’essere considerati “giovani” è diventato un valore assoluto che se ne abbia consapevolezza o meno.
Figli tra i 18 e i trent’anni e genitori con venti trent’anni di più, frequentiamo gli stessi locali, ci vestiamo allo stesso modo, mangiamo e beviamo le stesse cose, facciamo vacanze simili.
Addirittura negli ultimi dieci anni ci siamo scambiati di posto. I ragazzini arcistufi di condividere jeans stracciati e scarpe da ginnastica con papà e mamma hanno iniziato a vestirsi e ad atteggiarsi come gli idoli dei nonni riempiendo le strade di cloni di Audrey Hepburn e Gregory Peck  sullo sfondo di una rediviva filosofia/moda/cultura hipster e rimescolando tutto.
Noi genitori non ci siamo lasciati spiazzare. In un secondo ci siamo buttati in questo tritamode prendendo quello che piaceva di più, le cose più facili… barbe, ciuffi e andandoci a riprendere le camicie a quadri sottratte dai nostri figli ai nostri genitori  appena l’altro ieri.
Poveri ragazzi, tutto inutile. Vogliamo essere sempre giovani. Qualsiasi nuova moda inventiate o riesumiate dalle nostre cassepanche sarà immediatamente anche la nostra.
Cari stilisti, designer, chef stellati, inventori di carabattole e artigiani inarrivabili…  Sia che s’inventi un aggeggio di plastica fluo o che si lavorino materiali nobilissimi con perizia manuale eccelsa l’obiettivo dovrà essere lo stesso:  farci sentire tutti… ggggiovani!
Quindi non esiste il “prodotto da giovani”.
O forse sì!
Di certo sono quelli comprati dagli ultracinquantenni.

Per disegnare e comunicare i valori del tuo prodotto occorre riflettere sull’identità della tua azienda, sui tuoi valori. Occorre essere veri.
Se vuoi, possiamo lavorarci insieme.

IL VUOTO DA NON PERDERE

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Il vuoto, lo spazio dilatato, è segno di importanza!

Sto impaginando un giornale aziendale. Ho scelto un formato quadrato, grande, da piegare in quattro. Non è la prima volta che uso questo formato ma adesso voglio lasciare vuoto almeno metá dello spazio che ho a disposizione in modo che le immagini e i testi occupino le pagine come personaggi su di un palcoscenico.

Tante pagine, quattro volte più grandi di un A4, e un sacco di spazio.

Un paragrafo viene evidenziato dalle righe vuote che lo incorniciano, la pagina bianca mette in risalto l’inizio di un nuovo capitolo. Più grande è il vuoto più i segni grafici sono forti e pieni pathos. Una foto isolata a cui giustapporre un blocco di testo giustificato a sinistra e nient’altro.

Lo spazio vuoto dà importanza a tutto.
ECCO DIECI VUOTI DA NON PERDERE:

– IL VUOTO IN VETRINA
L’esposizione in qualsiasi ambiente e per soddisfare qualsiasi richiesta necessita di superfici omogenee, di spazi dilatati, di oggetti isolati.

– IL VUOTO NEL DEPLIANT
La grafica del nostro depliant deve avere spazi vuoti, pagine bianche, grandi immagini isolate.
Ciò che mostriamo e vogliamo comunicare è importante e merita di non soffocare.

– IL VUOTO NELLE IMMAGINI
I nostri prodotti e la nostra azienda devono avere tutto lo spazio che meritano nelle immagini con cui comunichiamo. Scegliamo sfondi omogenei ed evitiamo come la peste i sovraffollamenti.

– IL VUOTO DA ABITARE
Se ne abbiamo la possibilità scandiamo con vuoti gli spazi che abitiamo, la casa e i luoghi del lavoro.

– IL VUOTO COME SILENZIO
Il silenzio è il vuoto per eccellenza, infatti nel vuoto non si propaga nessun rumore.
Togliamo le musiche di sottofondo che non hanno motivo d’essere e immaginiamo la forza del silenzio.

– IL VUOTO DELLA FORMA
Disegnare un oggetto significa trovare un equilibrio di forme. Tutto ciò è assenza più che moltiplicazioni di segni.
Isoliamo la curva sinuosa che abbiamo disegnato per lo schienale della sedia, per il manico del bricco o per l’elemento clou della nostra ultima collezione di gioielli.

– IL VUOTO COME ESSENZA
Il nostro logo dovrà parlare di noi alla prima occhiata.
Liberiamolo da tutto ciò che non serve.

– IL VUOTO COME ASSENZA
L’assenza di sovrastrutture, di coperture, di mascherature… il vuoto come assenza del superfluo.

– IL VUOTO NEL WEB
Abbiamo paura che la home page del nostro sito sia troppo vuota?
Proviamo invece a pensarla quasi vuota davvero.
In mezzo al surplus di immagini e parole che inondano tutti forse sarebbe più visibile e utile.

– IL VUOTO COME BUIO
Un negozio buio? Emozionante e difficile!
Il buio dovrebbe essere usato così come dovremmo usare la luce. Con attenzione e consapevolezza.

Il buio, la luce, il vuoto e il pieno, la rarefazione e l’affollamento, il silenzio e il rumore o la musica… sono tutti elementi indispensabili per progettare gli spazi e gli oggetti e per presentare e comunicare le idee e i prodotti.
Dobbiamo ricordarci di usarli e imparare a calibrarli.

ATTENZIONE!
Prima di fare il silenzio e il vuoto, prima di creare spazio intorno a qualcosa, assicuriamoci che quella sia esattamente la cosa che vogliamo comunicare e far vedere. Accertiamoci che meriti davvero tutta questa attenzione e vestiamola come si deve.

STRATEGIE OBLIQUE E PENSIERO LATERALE

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Delle “Obliques Strategies”–  strategie oblique di Brian Eno e Peter Schmidt ho già parlato tante volte ma una in più credo non guasti.

Se stiamo pensando ad un progetto, mentre cerchiamo di realizzare un’idea, o stiamo esprimendo la nostra creatività in un campo qualsiasi, capitano momenti in cui ognuno di noi non sa più che pesci prendere.A volte non solo non abbiamo risposte, ma qualche volta non riusciamo nemmeno a formulare le domande, oppure sono domande così banali da meritare solo risposte ovvie.

In questi momenti è fondamentale cambiare completamente lo scenario, uscire dalle logiche e dalle regole preconfezionate che sono sì belle comode ma finiscono per portarci sempre ai soliti risultati.

Facile a dirsi, più complicato a farsi.

In un momento così  possono venirci in soccorso  le “strategie oblique” di Eno e Schmidt per sturare la nostra mente intasata.

Per farsi un’idea di cosa sono date un’occhiata qui e se vi piacciono compratele.
Sentite bene, non si tratta di prenderle alla lettera, ma di lasciarsi ispirare…
Intanto prendo qualche carta a caso… e speriamo bene!

Ecco:

1 – Abbiamo bisogno di buchi?
I buchi si possono mettere dappertutto, si può bucare un oggetto, lasciare uno spazio, chiedersi se sono proprio necessari quelli che abbiamo fatto col trapano o… con l’immaginazione…

2 – Scopri le tue formule e abbandonale.
Basta con il solito formato quadrato! Landscape, landscape, landscape…

3 – Osserva l’ordine in cui fai le cose.
Cominciamo col scegliere un materiale mai usato prima…

4 – Sii stravagante.
Accidenti! Pensavo già di esserlo fin troppo!
Ok! In copertina metterò un pesce verde… qualunque sia il tema.

5 – Onora il tuo errore come un’intenzione nascosta.
Se il post non vi piace sappiate che lo stavo cancellando… ma poi ho letto questa!

6 – Pensa alla radio.
La radio? La scatola con la musica, le interferenze, i canali, la libertà di cambiare, di spegnere…

7 – Il principio della contraddizione.
L’elogio della semplicità scritto con caratteri Scratchy

8 – Usa persone “non qualificate”.
Le foto del mio prossimo profilo le faccio scattare a mio figlio di 6 anni.

9 – Cosa farebbe il tuo amico più caro?
Urca! Pignolo com’è per prima cosa cercherebbe un righello o un dizionario.

10 – Sei un ingegnere.
No! Impossibile… passo alla carta successiva!

11 – Accentua i difetti.
Questo post è troppo lungo… vabbè…   toccherà sorbirvelo ancora.
Le gambe di quel letto mi sembrano troppo corte? Le tolgo del tutto.

12 – Lavora ad una velocità diversa.
Provo a dilatare i tempi… oppure vado a scrivere sul Frecciarossa.

13 – Domanda al tuo corpo.
Ergonomia, ergonomia… ma anche sensualità, forza, morbidezza.
Se disegnate un tavolo mi raccomando, l’altezza è sempre 72 cm eh!

14 – Rendi ciò che è perfetto più umano.
La perfezione è il peggior difetto che esista perciò il tavolo di prima lasciamolo a 72 cm che va benissimo ma rendiamo ancora più irregolare la sua superficie e che nessuno dei suoi quattro lati sia uguale all’altro.
Ah! Se trovate errori in giro… era per rendere questo testo più umano!

15 – Non cambiare nulla e continua con compattezza immacolata.
Qualsiasi sia il lavoro andiamo avanti a testa bassa!
Oppure rendiamo tutto compatto e bianco.
Oppure ancora, guardiamo al nostro lavoro con sguardo ingenuo.

16 – Ascolta la voce quieta.
Tiriamo fuori il nostro lato contemplativo, smussiamo i toni…

17 – Usa una vecchia idea.
Qualcosa di simile l’abbiamo già fatto di sicuro.
Come me ora che scrivo ancora di strategie oblique!

18 – Cosa aumentare? Cosa ridurre?
Aumentiamo le quantità e riduciamo i costi… troppo ovvio!
Riduciamo le superfici e aumentiamo gli spessori.
Aumentiamo la dimensione del font e riduciamo il testo.
Riduciamo la curvatura e aumentiamo la trasparenza.

19 – Ci sono sezioni? Considera transizioni.
Il nostro lavoro è diviso in più parti? Layer, capitoli, paragrafi, partiture, materiali, componenti…
Proviamo tutte le relazioni possibili: interruzioni brusche, sfumature, dissolvenze, flashback, incastri, contaminazioni…

20 – Solo un elemento per ogni tipo.
Ogni riga un carattere diverso?
Ogni finestra una forma diversa.
Le gambe del solito tavolo alto 72, una barocca, una liberty, una country e l’altra blu.
Depliant fatto di pagine con carte diverse, formati diversi, grafiche diverse, e…

Non so se sono stato fortunato estraendo queste carte. Nelle altre 88 Strategie Oblique (nell’edizione del 2013 sono 106 + 2 di istruzioni) forse era nascosta qualche ispirazione più utile… chissà!

Il sapore dei caratteri

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I caratteri tipografici hanno proprio del carattere, così che a ciascuno di noi ne piacciono alcuni e altri no.
Succede come con le persone. Ci si sta simpatici o antipatici a pelle, ci si innamora e ci si odia.
Oppure come per i cibi, chi ama la polenta col brasato e chi solo cruditè, così per i font (dal latino fondere – fondere i caratteri in piombo come succedeva con la linotype solo fino a una trentina d’anni fa) i caratteri appunto, a chi piacciono belli grassottelli  e a chi smilzi, chi ama font eterei e aggraziati e chi tosti e tutti spigolosi, a chi dritti e puliti e a chi ondivaghi e arzigogolati.
Tutto ciò a prescindere dal fatto che se ne abbia più o meno confidenza, che si faccia il grafico di professione  o che tocchi scegliere il carattere solo una volta nella vita per scrivere le partecipazioni di nozze, o ancora, come accade sempre più spesso per mille inviti, seri e goliardici, per scritte da apporre in ogni dove, da – SIETE TUTTI INVITATI ALLA MIA FESTA DI COMPLEANNO … – a – PARCHEGGIO RISERVATO AI RESIDENTI – e poi non parliamo del milione e mezzo di scritte che ogni azienda, dotata o meno del professionista di turno o dell’anima pia piena di buona volontà, tocca mettere su Facebook, su Instagram e Pinterest, sul maxiposter… eccetera… eccetera…  e…
Sarah Hyndman ha scritto un libro  – The type taster  –  in cui pubblica i risultati dei suoi esperimenti su come l’identificare una persona, un cibo o altro con un carattere tipografico muti l’approccio a quella persona o a quel cibo e come, in fin dei conti, il font rappresenti in modo simbolico le qualità di quella persona o di quel cibo.
In uno di questi esperimenti venivano date da mangiare delle lettere commestibili e si valutava come venisse percepito diversamente il gusto al cambiare del carattere con cui era composta la lettera.
In un altro esperimento durante un evento di speedy dating  ai partecipanti veniva chiesto di scegliere un carattere che li rappresentasse e si vedeva poi quali tipologie di caratteri/persone si attraessero.
Bello no!

La Hyndman era felice di notare quanto interesse ci fosse per questo tema da parte dei non addetti ai lavori, tanto da cambiare la percezione della tipografia, ora non più…“la meno attraente tra le discipline grafiche”.

Una nota personale, io sono grato a Jonathan Ive, “deus ex machina”  di Apple per aver scelto l’Helvetica Neue, il font più elegante, leggero ed esile  che esista,  per identificare iPhone  e farsi imitare da un milione di grafici rendendo così  più bello il mondo. Amo la sua versione ultra light quasi illeggibile e spesso pure difficile da stampare con quei fili sottili come capelli biondi.
Ecco se dovessi decidere di farmi rappresentare da un font sceglierei proprio l’Helvetica Neue, accostando bold e ultralight… forza, decisione e leggibilità uniti alla leggerezza impalpabile di un respiro.
Il gioco funziona anche con tanti altri caratteri.

E  tu? Di che font sei?

Leggi anche – “Helvetica Neue, il nuovo font di iphone”

Eclettico, versatile, curioso… elettrico!

 

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Quando penso alla parola eclettico mi saltano subito alla mente due nomi: Sister Act e Leonardo Da Vinci. Forse è difficile individuare due personaggi più distanti l’uno dall’altro quanto la vulcanica finta suora interpretata da Whoopi Goldberg ed il genio rinascimentale dell’autore della Gioconda, ma è proprio l’aggettivo eclettico ad unirli in una (insolita) libera associazione. In una scena di Sister Act 2 infatti Sister Act, alla prese con una classe di adolescenti ribelli definisce così uno dei ragazzi, che però non conosce la parola. Un altro cerca di spiegargliela con sufficienza, ma viene subito deriso dal gruppo, perchè ne ha confuso il significato con quello di “elettrico”. E mi ha sempre fatto sorridere questo piccolo brano, perché l’eclettismo in effetti è davvero elettrico; è qualcosa che ti dà la scossa, che trasmette un sacco di energia.

A proposito di energia, nonostante i secoli che ci separano, pochi personaggi storici riescono a trasmettermi la stessa infaticabile energia creativa e quasi demiurgica del genio versatile ed eclettico di Leonardo Da Vinci: pittore, scultore, ingegnere, esoterista e molto altro.

Mai come oggi è stato necessario essere versatili ed elastici, apprendere costantemente nuove tecniche e tecnologie (software di disegno, strumenti hardware e software eccetera). Servono nuovi linguaggi di comunicazione sul web, nuove forme espressive in grado di catturare l’attenzione del nostro pubblico distinguendosi nel rumore bianco del costante iperflusso di informazioni che ci bombarda incessantemente.

A chi si occupa di comunicazione non è più concessa la specializzazione professionale: a tutti è richiesto di sapere un po’ di tutto, bene o così così non ha davvero troppa importanza, basta che costi il giusto e sia… subito!

L’eclettismo è una cosa meravigliosa: per un direttore creativo è fondamentale, perchè ci consente di tenere sotto controllo tutti gli aspetti della comunicazione, nessuno escluso, e di valutare se e quando avvalersi di un professionista specializzato, e quali indicazioni fornirgli per guidarne il lavoro.

Penso alla direzione artistica di un servizio fotografico, solo per fare un esempio. Avere nozioni di fotografia, di illuminazione, di composizione dell’immagine mi permette di guidare meglio il fotografo nella realizzazione del tipo di immagine che ho in mente. Sapere quale testo accompagnerà l’immagine, in quale layout grafico verrà inserita, che sia un catalogo o un poster nello stand fieristico mi aiuta a scegliere il cosiddetto mood, l’atmosfera degli scatti.

Eclettismo non significa tuttologia, ma versatilità. Io sono innamorato del cinema, mi interessano la fotografia, la scrittura, la moda, la letteratura, l’architettura “classica” (gli architetti di una volta progettavano case, no?) il design industriale, la gioielleria, il social media marketing, il packaging design, la pop art ed il barocco, le brocche ed i ritratti, l’action painting e un sacco di altre cose e correnti ed idee che forse ancora non ho scoperto.

Non significa affatto che io sappia fare tutto, o che lo sappia fare in modo sempre e comunque eccellente, ma possedere una mente eclettica, curiosa e sempre assetata di nuovi stimoli è una risorsa fondamentale per il mio lavoro di designer, ma anche quando nel (pochissimo) tempo libero mi dedico a ciò che mi appassiona di più, ovvero l’arte.

E in questo periodo, oltre a tutto il lavoro di consulenza e progettazione per i miei clienti, l’arte sta riprendendo il posto che le spetta nella mia vita, contaminando tutto il resto in modi che spesso sorprendono (positivamente) me e soprattutto i miei committenti.

Nuovi progetti stanno nascendo, e crescono rapidamente.
Sono eclettico, e sono elettrico. È una bella sensazione.

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