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i luoghi del lavoro

Diciamocelo gli spazi del lavoro per lo più, quando va bene, sono progettati perchè siano funzionali all’attività che dovranno contenere. Raramente ci si pone quesiti d’ordine estetico ed emozionale. 
Niente di più sbagliato.
In primo luogo perchè non avere una visione estetica significa non avere nessuna visione. Quasi sempre vuol dire non porsi nessun tipo di domanda o porsela male, senza ipotizzare soluzioni davvero utili a realizzare ambienti dove si possa lavorare bene. Perchè è questo l’obiettivo minimo: stare in un luogo in cui sia “piacevole” lavorare. Mettere vicine due parole come piacere e lavoro non dovrebbe essere un’utopia. Utopia è il luogo che non esiste – ū’ = ‘non’ e ‘tópos’ = ‘luogo’ – un non luogo. Fatemi vedere dei luoghi brutti dove è possibile lavorare bene, dove gli spazi sono organizzati bene, dove le persone sono produttive. Se un luogo non è bello non funziona bene. Fabbrica, negozio, abitazione, discoteca, ospedale… 
Se poi uno degli obiettivi della nostra attività è creare valore, fare branding, marketing o come caspita si voglia chiamare quell’attività totalizzante il cui obiettivo alla fine è farsi conoscere ed apprezzare per quello che siamo, diciamo, crediamo, produciamo, vendiamo… Se il nostro obiettivo è questo e non pensiamo alla bellezza degli spazi in cui lavoriamo siamo fregati in partenza. 
Immagina un luogo che sappia emozionare.
Creiamo insieme gli spazi del tuo lavoro.

l’imperfezione è bellezza!

Amo sempre di più l’imperfezione.
L’imperfezione che distingue l’azione dell’uomo dal prodotto delle macchine.

Mi piacciono divani di pelle segnati dagli anni.

Amo le tavole graffiate dal tempo.

Metto volentieri maglioni sformati ancora morbidi e caldi fatti apposta per i miei jeans rattoppati.

Bevo volentieri certi rossi ancora quasi grezzi che sanno di legno e terra.

Cerco gioielli con pietre segnate da inclusioni e fratture.

Bello camminare su vecchi pavimenti di marmo in cui piccole crepe giocano con le venature.

Faccio volentieri immagini mosse, slavate, dai colori improbabili, rigate e sfocate. È una faticaccia lottare contro la perfezione degli smartphone ma si fa.

Inutile cercare giustificazioni, i nostri sensi persi nel deserto della perfezione delle macchine ci chiedono superfici vissute da toccare, immagini dense di segni da guardare, suoni rauchi carichi di emozioni da sentire, cibi dai sapori ogni volta nuovi che sappiano della terra da cui sono venuti.

I segni spesso impercettibili dell’imperfezione rendono la nostra esperienza quotidiana assolutamente personale.

L’imperfezione è bellezza!
Ricordiamocelo quando pensiamo alle produzioni, al packaging e alla comunicazione.

Inizia a comunicare dal design del prodotto

Si inizia a comunicare l’azienda a partire dal design del prodotto.
Con un prodotto fortemente riconoscibile é piú facile vendere.
Ma come si progetta un prodotto riconoscibile?

Qualche idea:

1. Cerca nuove tecnologie
Che permettano di produrre oggetti piú innovativi, piú efficaci, spesso piú economici e piú belli.

2. Usa materiali diversi
A volte basta un abbinamento insolito.

3. Ricicliamo
Il design del riuso è sempre un’avventura creativa densa di contenuti da comunicare, moltiplica il valore dei materiali, delle forme e delle idee.

4. Cambiamo colore
Il colore è una delle qualità che aiutano maggiormente a vendere un prodotto e a renderlo riconoscibile. L’importante è che esca dal coro e si faccia ricordare.

5. Inventiamo forme nuove
L’intuizione in cui forma e sostanza si uniscono a creare una sorta di totem segna un momento creativo felicemente raro.

6. Lavoriamo con persone diverse
Avvalersi di creativi con competenze anche molto diverse dalle proprie può essere un’arma vincente per abbattere il muro dell’ovvietà!

7. Teniamo a bada la creatività
Attenzione a produrre invenzioni formali come se piovesse. Troppa creatività finisce per annullarsi. 

8. Pensiamo da subito alla confezione
Progettiamo il packaging insieme al prodotto, migliorerà entrambi e li renderà più originali.

9. Impariamo a copiare
Prendiamo dagli altri quello che conta, il metodo, l’intuizione che magari nemmeno si vede nel prodotto che ci attrae e ci stupisce.

10. Chiamami
Se una di queste note ti è stata utile o ti ha fatto riflettere contattami.

Semplifica, semplifica, semplifica…

Semplifica, semplifica, semplifica…
Dovessi scegliere uno slogan sarebbe questo. 
C’é sempre una parola da togliere, una frase inutile, qualche stupido gioco di parole.
Quasi sempre bastano una pagina vuota, un muro bianco, un segno… 
Bello!
Ma il più delle volte non si può fare. Troppo forte. Qualche volta manca il coraggio al cliente. Qualche volta freno io perché l’anima dell’azienda é un’altra cosa. Poi scelgo la decorazione e non sento la contraddizione! Una bella texture può essere il segno giusto.
Basta semplificare!
Rinuncio a infilare in ogni cosa tutto quello che mi piace.
Dappertutto c’è sovrabbondanza di parole, di forme, di colori, di suoni, di immagini, un’affollamento soffocante, non mi resta che semplificare. Cercare una pausa di silenzio.

pregi dell’antico e del contemporaneo

Vecchio e nuovo, aggiustare, restaurare, recuperare, sono concetti semplici che nella pratica sfociano in due azioni molto diverse  –  ripristinare l’oggetto o l’edificio così com’era prima dell’invecchiamento o del danneggiamento  cercando per quanto possibile di rendere invisibile l’intervento  –  oppure ridare funzionalità a ciò che era stato danneggiato dal tempo o dall’incuria mettendo in evidenza, dando risalto all’intervento, usando materiali moderni in contrasto con quelli originari.
Queste poche righe sono solo brevi riflessioni personali senza alcuna presunzione di aggiungere nulla alla teoria del restauro.
Per me è assodato da molto tempo e credo che chiunque si occupi di restauro e di design condivida questa seconda prassi come l’unica corretta.
Dare evidenza ai pregi dell’antico e del contemporaneo. Prendere il danno come occasione, non per ripristinare, ma per andare oltre e creare qualcosa di nuovo che sommi le virtù dell’antico e del contemporaneo.
Questa prassi dovrebbe essere presa a prestito, con tutte le riflessioni e le varianti possibili, per la produzione artigianale o industriale (perché no?) di nuovi oggetti a partire dal riciclo di cose vecchie o usurate.
Nuovi oggetti che contengano il fascino dell’antico o semplicemente recuperino il vecchio, che esibiscano le loro imperfezioni come fregi preziosi ed esaltino il connubio tra materiali e gusti diversi in un emozionante e poetica riproposizione. 

l’immagine dei luoghi del lavoro

Sempre a proposito di Corporate Identity, anche i luoghi del nostro lavoro dovrebbero portare i segni che ci appartengono.
Ovvio che non tutti possono permettersi archistar e spese importanti ma varrebbe sempre la pena considerare il luogo dove svolgiamo la nostra attività come il primo biglietto da visita che mostriamo. Pensiamo anche solo alla targa, all’insegna, grande o piccola che sia. All’ingresso, ai luoghi di rappresentanza, sala riunioni, showroom.
Qualche idea.
– Ordine, semplicità, pochi segni inequivocabili che dicano quello che siamo.
– La corporate identity non può dimenticare l’edificio che mostra chi siamo. Ripeto, se non è un edificio importante sarà piccolo, magari sarà solo un muro, una vetrina, un cancello, una porta, la targhetta del campanello… facciamo vedere che teniamo ai dettagli.
– Quasi sempre val la pena togliere anzichè aggiungere. Spesso funziona ripulire da tutto e concentrare l’attenzione su di un solo elemento. Una grande immagine, una scultura, il logo 3d, un videowall, un quadro, una scritta.
– Facciamo attenzione ai colori, anche qui meglio ridurre che abbondare.
– Non sempre materiali costosi sono sinonimo di eleganza.
– L’illuminazione gioca un ruolo essenziale nel mostrare cura e stile. Dal taglio delle aperture all’illuminazione generale. Anche le luci mostrano quello che pensiamo.
Alla fine la cosa più importante è porsi la questione e tener presente che le risposte sono sempre molte di più di quello che in prima battuta pensiamo.

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