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La linea curva, la retta e la fretta.

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Il progetto? Sta tutto nel primo scarabocchio!
Disegnare un anello o un orecchino e da lì inventare una nuova collezione. Progettare una seduta imbottita, un divano, una sedia… una lampada, un tavolo, una borsa,  e da lì definire l’immagine dell’azienda che in quel prodotto si manifesta.
Il processo del design inizia nella folgorazione di un’immagine, prosegue nello scartabellare tra tutto quello che abbiamo letto, ascoltato, discusso, nell’attingere a tutto il nostro background culturale e si manifesta in uno striscio di matita per fare poi ancora un sacco di strada tra esecutivi, prove, prototipi, marketing, ecc…
Ma è quella prima linea di matita che dovrebbe dirci in che direzione stiamo andando.
Una linea curva tutta morbidezza e sensualità o la pulizia minimal di una retta?!
Purtroppo la questione è un filo più complessa.
Esistono curve meravigliose ed altre assolutamente sgraziate, rette che danno senso ad un oggetto e altre che lo rendono spigoloso e repellente.
La sensibilità visiva se uno non ce l’ha non se la può inventare. E’ come per la musica, c’è chi ha orecchio e chi no e –  c’è chi ha occhio e chi no. Poi certo tutto si può affinare, si può studiare e migliorare. Un consiglio, nell’iniziare a pensare ad un nuovo prodotto, al disegno di un oggetto che metteremo in produzione, vale la pena avvalersi di chi ha confidenza con la matita, di chi riesce a rendere piacevole anche uno scarabocchio.
Ok! La sensibilità è importante, ci sono cose difficili da spiegare a parole ma un bravo designer dovrebbe essere sempre in grado di dirvi il perché di una linea curva e di farvi cogliere la necessità di una linea retta.
Infine ci sono gli errori, tutti possono commetterne. Il designer capace saprà individuarli e se avrà il tempo correggerli. Perciò non mettiamoci troppa fretta! Anche l’occhio più allenato a volte ha bisogno un po’ di tempo per accorgersi di una stonatura. Tutti i progetti meritano di sedimentare per un po’ sotto il nostro sguardo prima di diventare esecutivi.

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Il design del riuso in mostra a Padova

Nel weekend appena trascorso si è conclusa a Padova la mostra SCRAPOUT: UPCYCLING EXPO. Un’esposizione collettiva di opere di designer, artisti e artigiani provenienti da tutta Italia, collocate nell’ex macello in via Cornaro e patrocinata dall’associazione “La Mente Comune”. Devo confessare d’essere stato attratto più dall’edificio che non avevo mai visto che dalle opere pur interessanti ed esposte in modo ordinato e piacevole. Forse mi resta la vaga delusione di aver percepito una presenza forte della mano di artigiani e artisti bravissimi piuttosto che progetti di designer capaci di stimolare al riuso e al recupero il mondo imprenditoriale. Una percezione personale, nulla più, dettata dalla mia necessità di trasferire design, creatività, innovazione e spirito sociale dagli spazi chiusi delle mostre a quelli più ampi ma anche più duri della produzione industriale e del mercato. SCRAPOUT: UPCYCLING EXPO resta un importante momento di confronto sulle tematiche del riuso, un bel progetto che immagino saprà crescere nelle prossime edizioni.
lamentecomune.it
progettoscrap.it
padova/ex-macello

Design, comunicare con i sensi.

_comunicare_sensi_634x400Gioielli da mangiare, carte profumate, pareti di ghiaccio, lampade ipnotiche o rilassanti, poltrone dalle superfici incredibili da toccare, oggetti sonori…
Vista, tatto, gusto, udito e olfatto. Qualche volta ci dimentichiamo di come siamo fatti, di quanto siamo complessi, dell’infinita varietà di sensazioni che siamo capaci di provare.
Dal design del prodotto, una sedia, un gioiello, una lampada, un contenitore, fino alla grafica, all’ architettura, ai progetti espositivi… non possiamo dimenticarci di solleticare tutti i sensi. Il colore, la forma, superfici lisce, ruvide, morbide, calde, secche, rugose… il suono che produce la percussione, il profumo dei materiali che scende fino a titillare le papille gustative. L’estasi, il piacere, il disgusto, lo schifo, indifferenza, desiderio, repulsione, quanti stati d’animo diversi può provocare un oggetto, il contenuto di un testo, un video. Comunicare la marca significa prima di tutto decidere  quali saranno i nostri sapori, i nostri profumi, la nostra musica, che superfici avranno gli arredi dei nostri punti vendita, i colori, la temperatura, le immagini. La definizione di tutti questi aspetti ci permetterà di comunicare chi siamo al nostro pubblico utilizzando per ciascuno il canale sensoriale a cui è maggiormente sensibile. Coinvolgiamo chi ci ascolta, ci guarda, tocca, annusa e assapora ciò che offriamo nel gioco coinvolgente della comunicazione totale.
Fortunatamente il nostro istinto animale è ancora vivo. Abbiamo mille antenne, infinite capacità di apprezzare anche le sfumature sensoriali più sottili. Qualche anno fa immaginavo di creare un gioiello-regalo che comunicasse fortemente i sentimenti d’amore, d’amicizia, di stima del latore dell’oggetto. Il progetto, pensando ad un oggetto dai costi molto contenuti, percorse ogni possibile manifestazione simbolica e si concentrò sulle possibilità di personalizzazione, così che ognuno potesse mettere qualcosa di suo, di intimo da regalare. Fu un bel successo! Comunicare emozioni ripaga sempre.

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Bello! Brutto! Simmetrico!

La simmetria è un concetto che ha a che fare con la geometria e con la matematica ma anche con l’estetica. Soprattutto nell’arte la simmetria è sempre stata sinonimo di bello. Una figura simmetrica è considerata esteticamente perfetta perché armoniosa e regolare. Questo particolare concetto di bello che si basa sulla simmetria è ancora vivo ai giorni nostri e ha radici lontane: la simmetria è infatti un fattore di selezione sessuale. Gli uomini sono istintivamente attratti dalle forme regolari piuttosto che da quelle asimmetriche. Addirittura c’è chi afferma che la regolarità fisica non sia semplicemente un fattore estetico ma anche un elemento indicativo della nostra salute (focus, marzo 2006). Ecco il mio autoritratto supersimmetrico qui sopra indurrebbe a dubitare dell’automatismo simmetrico–bello. Vi invito a non ironizzare sulle qualità estetiche del modello di partenza, anche i bellissimi non otterrebbero risultati apprezzabili dalla trasformazione perfettamente simmetrica dei loro faccioni!
Questo scherzo solo per introdurre una riflessione, il germe del dubbio sulla simmetria, sulla sua bellezza… e sulla sua bruttezza… e sui suoi aspetti “clinici” di cui tornerò a parlare presto.

Lo stand, spazio aperto o chiuso?

Le aziende che partecipano come espositrici alle fiere nel mondo devono aver coscienza della propria identità. Prima dei propri prodotti espongono se stesse. La forma, il profumo dello stand mette in mostra il carattere del marchio. Sono tante le domande che rimbalzano tra la dirigenza aziendale e  chi ha il compito di proporre con coerenza l’immagine del marchio progettando un nuovo spazio espositivo.

Tra le tante questioni: APERTO o CHIUSO? Ricorre spesso e ne sottintende tante altre.

Popolarità o esclusività. Immediatezza o mistero. Necessità di mostrare il prodotto o possibilità di evocarlo solamente. Raramente le aziende fanno scelte radicali di totale chiusura o completa apertura verso il pubblico e quando la fanno quest’ultima è sicuramente prevalente. Pochi si possono permettere di non esporre il prodotto, di comunicare solo l’essenza del marchio. Esistono però una serie infinita di gradazioni tra lo stand chiuso/chiuso e lo stand aperto/aperto, ci sono mille modi di progettare uno stand cercando di dare un’immagine forte, essenziale, scultorea del marchio senza rinunciare a dare il giusto risalto al prodotto e a facilitare il contatto tra operatori e clienti. Tra le tante strade percorribili sicuramente una delle più interessanti è quella che impone di dividere nettamente le due questioni. Un luogo del prodotto e uno spazio dell’immagine. Anche nello stand più piccolo sarà sempre possibile identificare queste due aree. Magari questi spazi tenderanno a sovrapporsi ma dovranno mantenere una propria  peculiarità. Infine, facciamo attenzione a non sovraccaricare di segni il nostro allestimento espositivo. Meglio comunicare ed esporre poche cose con efficacia e chiarezza piuttosto che ottenere l’effetto risotto per l’incapacità di scegliere.

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La creatività per lavoro

Quando mi chiedono che lavoro faccio rispondo che sono un creativo… ok, mi dicono, ma in pratica cosa fai? C’è stato un periodo in cui rispondevo “sono un architetto…” , era più semplice ma non definiva esattamente la mia attività. Chi si occupa di creatività e innovazione nel mondo della produzione artigianale o industriale, chi lavora all’immagine delle aziende o dei fornitori di servizi o di chiunque abbia la necessità di definire la propria identità, in realtà fa un sacco di lavori. Mi piace quando il rapporto con una nuova azienda nasce intorno al progetto di un nuovo prodotto. Allora di solito c’è il tempo per conoscersi, per sperimentare il rapporto tra progettista e committente, il tempo per scambiarsi conoscenze, opinioni, per discutere. Senza questo scambio non si costruisce niente di buono. E’ impensabile che un designer per quanto preparato, sensibile e attento possa dar vita al progetto giusto senza un coinvolgimento profondo nell’attività produttiva e commerciale dell’azienda. Gli stessi meccanismi si devono mettere in moto per comunicare il prodotto e l’anima dell’azienda. Tra titolare e progettista ci deve essere una grande capacità di ascolto. L’obiettivo è capirsi, capire qual è il percorso che insieme si vuole seguire. Se non ci si intende meglio lasciar perdere!

Già nel progetto di un nuovo prodotto dovranno essere chiari gli elementi che ne permetteranno una comunicazione chiara, coerente con l’immagine aziendale. Mentre si progetta un oggetto non ci si occupa solo di design industriale, in realtà si sta mettendo in moto una vasta direzione artistica che coinvolgerà attività come grafica, fotografia, scrittura tecnica e creativa, packaging, la definizione degli strumenti di formazione della rete vendita, l’ideazione della comunicazione pubblicitaria, la progettazione degli allestimenti fieristici e del punto vendita… una galassia di tecniche e strumenti con cui l’azienda affermerà la propria identità. Mi occupo di tutte queste cose, quando è possibile tutte insieme, dando vita ad un concept forte di cui l’azienda beneficerà per anni , altrimenti intervenendo con progetti parziali all’interno di concept preesistenti condivisi. Spesso dopo aver spiegato tutto questo qualcuno mi chiede ancora: “…ma cosa vuol dire davvero fare il creativo?!”  Do sempre la stessa risposta: “Significa saper scegliere!” …aiutare a scartare quello che non serve, spiegare quando è il caso di rinunciare a soluzioni che a prima vista sembrano perfette e invece… Per me fare il  consulente creativo o l’art director che dir si voglia significa saper tenere a bada la mia creatività perché vada a vantaggio dell’azienda.

Gioielli ricchi e poveri

Mi piacciono i gioielli realizzati con materiali poveri! Legni qualsiasi, chiodi arrugginiti, plastiche colorate,  fili di ferro, carte e cartoni, ritagli di stoffa, scarti di vetro, sassi, piume… palline da ping-pong, come gli anelli della foto e tutto quello che può capitare in mano e far nascere idee brillanti o semplicemente comporre forme interessanti. Chiaro che l’uso di materiali di nessun valore deve far sviluppare la creatività. Non è necessario inventare chissà cosa, a volte basta proprio pochissimo, basta saper vedere al di là della quotidianità. Se invece delle cianfrusaglie mi tocca proprio usare l’oro, anche il metallo prezioso per eccellenza mi piace grezzo, senza tante lucidature e lavorazioni superficiali aggiuntive, se è un po’ macchiato, slabbrato, strisciato…  meglio. E’ bello mescolare materiali poveri e materiali nobili, spesso dal contrasto ne guadagnano entrambi. La creatività, i pensieri, le idee sono i veri gioielli! Capaci di trasformare tutte le cose in amuleti magici!

Grafica e lettering tridimensionale

Se si parla di grafica pensiamo automaticamente allo spazio bidimensionale. Alla composizione di immagini fotografiche, disegni e caratteri tipografici messi insieme in mille modi. E’ meno immediato pensare alla grafica in termini tridimensionali, a meno che il progetto non riguardi insegne stradali, totem, grandi insegne luminose, normalmente il nostro esercizio si limita alla superficie del foglio stampato. Per questo è davvero interessante il percorso circolare che lo studio di grafica spagnolo Lo Siento imprime a molti dei propri progetti. Una ricerca tridimensionale del lettering costruita intorno a microsculture a volte impensabili che attraverso la fotografia ritorna all’immagine bidimensionale. Un esercizio che invoglia all’uso dei materiali più strani e ci indica la strada verso esercizi spericolati.
www.losiento.net/lettering 

Fuorisalone è già il secondo giorno!

Secondo giorno di fuorisalone e ancora non sono riuscito a metterci piede.
Ci vediamo tra pochissimo!
Intanto scaricata l’app ufficiale per girarlo meglio! Bella e funzionale come sempre.
fuorisalone.it

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