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Siediti! 10 sgabelli originali

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Gli sgabelli sono pezzi d’arredo che mi hanno sempre attratto.
Un oggetto strano, fuori scala, in genere non molto comodo, in cui non ci si siede mai completamente ma con mezza chiappa fuori e le ginocchia che sfiorano il pavimento.
Gli sgabelli funzionano a metà. Metà sedute e metà giocattoli, metà seggiola e metà scaletta e… metà contenitore e… metà chissà quante cose!
Coloratissimi, griffati, preziosi o assolutamente anonimi sono oggetti che si prestano ad un regalo importante. Non per il prezzo, che magari quello da due lire è fantastico, ma perché sono oggetti che resistono ai traslochi, alle intemperie della vita e capita che il nipote stia seduto sullo stesso sgabello che aveva usato il nonno che ora gli sta raccontando la storia.

Ho scelto 10 sgabelli dalle forme strane, progettati da designer più o meno famosi, che potrebbero diventare presenze familiari, ironiche, divertenti o rassicuranti vagando tra le stanze delle nostre case… Trovando l’ ambiente giusto soprattutto nelle camerette dei bimbi… su cui, mi auguro, appoggeranno i piedi da vecchi.

Nota: ho volutamente omesso i nomi delle aziende produttrici e dei progettisti… è tutta gente già troppo famosa per soffrirne… e comunque, se vi interessa dateci una gugglata e siete a posto.

1 – MEZZADRO – Non poteva che essere lui ad aprire la serie. Una icona del design italiano. Una scultura moderna.
Il sedile da trattore finito nei salotti buoni di mezzo mondo.

2 – SELLA – Stesso padre, stesso produttore, buona per una telefonata e… per farsi guardare.
Dedicata a chi piace essere sempre… in sella!

3 – VASI/SGABELLI – Coloratissimi vasi doppio uso. Dedicati da una grande azienda ad un grande designer… indovinate! Per decorare la casa e metterci un fiore!

4 – HUG – Un tronco e una fune colorata per trasportarlo come fosse una borsa. Funziona anche da fermaporta e all’occorrenza da oggetto contundente.
Perfetto per il prato davanti casa.

5 – STOOL – Un altro di quelli davvero famosi. In legno di betulla, dalla Finlandia con furore!

6 – BUBU – Divertente come il suo nome. Oltre le apparenze nasconde un pancione capiente.

7 – BENT BUTTERFLY – Della celebre Madame condivide anche la provenienza. Le linee morbide delle sue poetiche ali sono in noce.

8 – SIEDI–TEE – Giocherellone già nel nome! Come sedersi su una pallina da golf…

9 – SEDILSASSO – Un ossimoro, artificialmente naturali, visivamente macigni, morbidi e leggerissimi al tatto.
Però il mio grosso, rotondo sasso del Brenta è un’altra cosa!

10 – THE END – Non si poteva finire diversamente.
Morbida lapide concettuale.
Per sedersi, meditare e fumarsi un’ultima cicca… alla faccia!

NUOVE IDEE PER I TUOI ALLESTIMENTI???

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Le due anime della creatività

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Avete una personalità creativa?
Annamaria  Testa ci scrive su Nuovo e Utile citando studi interessanti che mettono in fila  le caratteristiche  che distinguono quelli più creativi da quelli meno.
Prendiamo le 10 doti/difetti che individuano i creativi secondo uno di questi studi. (quello di Fast Company  che  utilizza le ricerche di Mihaly Csikszentmihalyi – si pronuncia più o meno Cisemihàli) e guardiamoli assieme:

1) Grande energia fisica ma propensione alla quiete e al riposo.

2) Acutezza e candore.

3) Giocosità e disciplina, responsabilità e irresponsabilità.

4) Immaginazione e fantasia alternate a un radicato senso della realtà.

5) Estroversione e introversione, simultaneamente

6) Compresenza di umiltà e orgoglio

7) Tendenza a uscire dagli stereotipi di genere (uomini più femminili,  donne più maschili)

8) Conservazione (nel senso del radicamento in una cultura) e ribellione.

9) passione e contemporanea obiettività sul proprio lavoro

10) Apertura e sensibilità, che generano molta pena e molta gioia.

Ecco! La cosa  fondamentale, si direbbe, è che per essere creativi davvero si dovrebbe essere angeli e demoni contemporaneamente.
Mi piace molto questa cosa.
E’ bello sapere che qualcuno dopo studi approfonditi su campioni significativi sia giunto alla conclusione che le persone più creative soffrono e gioiscono di più perché sono più sensibili.
Le persone più creative sono mosse dalla passione e nonostante ciò cercano di essere obiettive per dare giudizi severi innanzitutto sul proprio lavoro.
E’ gente che ama  il proprio paese, le tradizioni, i propri spazi, la propria cultura ma che vorrebbe trasformarli continuamente e non ha paura di innovare.
Sono uomini che accarezzano la propria  femminilità e donne capaci di affermare la propria mascolinità.
Sono orgogliosi del proprio lavoro, delle proprie creazioni, persone che guardano con umiltà a quanta strada c’è ancora da fare a che poca cosa sia in fondo quello che hanno fatto rispetto ai maestri, rispetto a quello che si può ancora fare.
Sono introversi e riflessivi, per lo più timidi, gente che esplode nel creare e nel comunicare.
Sono quelli che sanno  trovare le soluzioni più fantasiose e le sanno applicare alla realtà, quelli che usano l’immaginazione per trasformare le cose concretamente.
E’ bello pensare che l’energia della creatività possa essere un quieto fluire tra gioco e rigore, un triplo salto mortale tra l’acutezza del ragionamento e il candore della sorpresa:

Ho l’impressione che tutti abbiamo questo mix esplosivo dentro.
Chi si è abituato a convivere con le sue due anime, con le proprie contraddizioni, con la possibilità di essere ora molto felice e poi molto triste. Gli altri che hanno cancellato  il lato più debole della propria personalità e hanno gonfiato quello più forte così da essere più sicuri e più tranquilli.
Sarebbe bellissimo saper apprezzare i lati positivi di ciascuno, fantasia e concretezza, capacità di immaginare e di creare senza giocare inutilmente a chi è più bravo.

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Della bellezza, della verità e di altre scemenze!

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La bellezza è verità, senza  verità non c’è bellezza!
Questo è un pensiero molto semplice che mi gira per la testa da sempre.
Non me ne frega niente delle teorie  e degli aforismi di letterati e filosofi più o meno colti.
Non passa secondo che ci si scontri con post, articoli di giornale, trasmissioni TV in cui si parla di bellezza. Bellezza femminile, l’unica contemplata dai mezzi nazionalpopolari e anche dagli altri. Roba da estetiste, da parrucchiere, da giornalisti di femminili, da chirurghi plastici.
Della  bellezza  delle nostre case, degli oggetti di cui sono piene, dei giardini che le circondano, delle auto e perfino della nostra anima si occupano riviste di settore che sviscerano con chirurgica competenza ogni aspetto delle tecniche con cui si costruisce la  bellezza.

Artifici, trazioni, coperture, sfumature, sovrapposizioni, mascherature, aggiunte, dissimulazioni… Un armamentario causa di sfaceli ovunque. Se torniamo per un attimo al consumato tema della  bellezza femminile troviamo decine di esempi di bellissime donne che per inseguire l’archetipo di una bellezza  inesistente si sono trasformate in mascheroni inguardabili.

La finzione, il tentativo idiota di riprodurre un qualche concetto astratto di perfezione produce sempre inesorabilmente sfaceli grotteschi.

Così per la bellezza che attribuiamo alle persone, come per tutto il resto… architetture, oggetti, paesaggi, libri, film, sentimenti…
La bellezza non è aggiungere ma  togliere.
Togliere  il superfluo, pulire dall’inutile, far riemergere l’originalità, isolare, decontestualizzare.
In questo modo si esaltano le forme, si dà forza.

La nudità di un corpo, la pulizia diun muro, un prato, sono in sé belli. Tragicamente spesso non li sappiamo guardare, non riconosciamo la loro bellezza e i nostri tentativi di trasformarli in qualcosa di “bello” spesso ne fanno disastri.
Come apprendisti stregoni pasticcioni, incapaci di isolare e ammirare la bellezza esistente, pretendiamo di modellarla e la incrostiamo di ceroni, intonaci, vernici e, croste.

Non che sia proibita qualsiasi azione creativa, persino decorativa, ma  dobbiamo coltivare la consapevolezza  della nostre azioni.

Il decoro potrà essere essenza del progetto, un unicum, in cui tutti gli elementi sono elementi decorativi e funzionali al tempo stesso. Pensiamo alle auto sportive in cui il vento disegna l’aerodinamica e scolpisce delle forme bellissime.

Oppure gli interventi estetici decorativi potranno essere tra le varie opzioni con cui l’oggetto sarà presentato sul mercato.

L’importante sarà far trasparire la chiarezza del progetto…
La verità della bellezza!

Progettiamo insieme una nuova collezione?

Creativo (sostantivo) VS creativo (aggettivo)

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“Creativo” è un aggettivo non un sostantivo, almeno così dovrebbe essere.
Sono uno che ha sempre pensato che chi si loda si imbroda per cui in genere ho preferito volare basso tenendo a bada un ego ballerino e lasciando che fossero gli altri a dirmi se il mio lavoro valesse qualcosa, se vi fosse un qualche contenuto che meritasse l’aggettivo “creativo”.

Invece tornando alla lapidaria affermazione iniziale dovrei nascondermi per sottrarmi al giudizio universale.
Se dovessi mettere in fila tutte le volte che mi sono attribuito l’etichetta di “Creativo” (sostantivo) la riga sottile di questa parolina rossa (di vergogna) arriverebbe in capo al mondo.

Provo a rimediare, a giustificarmi, a fare chiarezza…

Di certo sono un architetto visto che lo IUAV (l’Istituto Universitario di Venezia) una trentina di anni fa mi ha conferito il titolo cum magna laude, bacio accademico e piccola pubblicazione.
Ma poi cosa vuol dire essere un architetto? Quanti sono gli architetti che veramente possono dire di saper svolgere tutte le funzioni inerenti il loro mestiere?
Io no di sicuro. Come architetto mi sono quasi sempre occupato soltanto di tipologie distributive, di composizione, degli aspetti estetici e della rappresentazione del progetto. Tanta grafica, fotografia, costruzione di modelli, disegni, disegni e disegni usando tutte le tecniche immaginabili. Allora cos’ero? Un esperto di sistemi distributivi? Un grafico? Un prototipista? Un fotografo o un pittore?
Un po’ di tutto questo e tanto altro ma mi etichettavo semplicemente come architetto, anche perché la cosa rassicurava me e i miei clienti.
Alla fine intervenivo nella scelta dei materiali, delle finiture, dei colori… intonaci, pietre, vetri, legni, tessuti… degli arredi, dei corpi illuminanti.  Allora cos’ero? Un arredatore?
Boh! Qualche volta vi diró mi sentivo creativo (aggettivo) davvero.
Qualche volta soltanto neh!
Poi la mia attivitá principale è diventata quella di disegnare gioielli e altri oggetti di produzione industriale, progettarli, rappresentarli, seguirne l’industrializzazione e la  produzione vera e propria e alla fine del processo produttivo pensare a come vestirli, esporli e comunicarli.
Cosa sono allora? Un designer? Qualche volta faccio il modellista, il grafico, lo scenografo, il copywriter. Sì, Alla fine sempre piú scrittura, piú immagini, piú emozioni che oggetti.
Qualche volta sono creativo… Ogni tanto mi capita di fare cose creative davvero.
Eppure non é per questo che tante volte rispondendo alla richiesta di indicare cosa faccio rispondo imperterrito – il creativo – senza darci troppo peso, senza gongolare e senza vergognarmene troppo.
Scrivo creativo su qualche profilo che mi tocca compilare,  cosí, tanto per riassumere, per non privilegiare un aspetto rispetto ad un altro della mia attivitá.
Il più delle volte scrivo architetto, come sulla carta d’identitá, o art director che fa piú figo e corrisponde in gran parte a quello che faccio.
Allora confesso, sono un architetto, un designer, un grafico spesso, tante volte un copy, un direttore creativo e un sacco di altre cose che provo a fare nel migliore dei modi facendomi aiutare da un sacco di gente e… qualche volta sono perfino creativo (aggettivo).

Questo post mi é venuto di getto dopo la lettura di un articolo di Annamaria Testa la Creativa più creativa d’Italia sul suo sito nuovoeutile.it
Lei sì, merita l’etichetta, non l’unica. (Sperando non si offenda e la accetti di buon grado)

Ispirazione. Cos’è? Cosa c’entra con il design?

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Ispirazione roba strana. Da poeti ottocenteschi con la tisi.
Ma da dove viene la mia ispirazione?
Le cose che disegno, siano gioielli, sedie, bricchi d’argento o flaconi spray, vengono dalle mie mani e dalla pancia, qualche volta vengono dalla pioggia, dal fuoco e dal vento.
Se immagino una nuova seggiola, un tavolo, una lampada o una borsa insolita, l’odore dei materiali, la consistenza delle loro superfici, sia cuoio, ferro o legno, si mescolano con l’umore della giornata, il suono e le parole di una canzone, il riflesso di uno specchio, l’immagine di una donna… e poi negli oggetti che ho intorno, qualcuno perfetto, come un puntapanni di legno, una forbice, un rotolo di nastro adesivo…
Ma lo sapete quanti tipi di forbici esistono? Decine e decine di forme per compiere lo stesso gesto su materiali e in modi diversi.
Accorgersi che sarebbe possibile trasformare una forbice per farle tagliare in un modo diverso  un qualche nuovo materiale… è ispirazione.
Il mio è un lavoro che non ha pause, non finisce la sera alle otto, quell’immagine perfetta può presentarsi in qualunque momento.
Qualcuno la chiama ispirazione e ne ha un’idea strana. Quella di un personaggio perso con la testa tra le nuvole che aspetta la rivelazione… Cazzate!!!
Sì, qualche volta sembra avvenga così ma vi giuro che se non state almeno otto ore al giorno a disegnare, cercare, costruire, modellare, provare, scartabellare, discutere… inutile sperare, non vi apparirà nulla.
Bisogna accumulare, accumulare e accumulare informazioni, immagini, sensazioni e informazioni tecniche, sperimentare forme e gesti, scoprire e capire le forme delle cose che assomigliano all’idea dell’oggetto che vorremmo creare. Andare a guardare cosa hanno fatto quelli bravi, quei designer, quegli architetti che amiamo da sempre, gente che è stata capace di dare forma a dei mondi. Padri che ci sono capitati  addosso e altri che ci siamo scelti.
Per quel che mi riguarda, Carlo Scarpa, come ogni architetto veneto che si rispetti. Un mago della materia, delle forme, della poesia della natura, un artigiano colto. Rituale, ogni anno, la visita alla tomba Brion e alla sua. Poi Aldo Rossi, mio professore negli ultimi esami di composizione architettonica che mi hanno accompagnato alla laurea. Un padre scelto per il suo insegnamento rigoroso e la capacità di indicare le strade della trasgressione. Ho amato alla follia i suoi disegni, i suoi plastici, la sacralità del suo studio a Milano vicino alla torre Velasca. La caffettiera Conica resta il mio fermacarte preferito.
Ecco! Un grande a cui ho avuto la fortuna di stare vicino. Un Pritzker Prize (l’oscar dell’architettura) morto troppo presto, quando avrebbe potuto darci ancora così tanto.
Design ricerca e ispirazione per me sono fatti anche di questo, di gente che ha lasciato un segno, perché incontrata davvero o incontrata sui libri o nelle cose che hanno fatto.
Poi si cancella tutto e resta quel che resta, roba solo mia.
Un segno, un ricordo, la forza di uno scarabocchio, la lucentezza di una superficie, la trasgressione di un taglio, la banalità di una simmetria.
Piccoli segni e progetti che si accumulano e diventano la caratteristica di uno stile, il segno di una personalità.
Metto a disposizione tutto questo mondo a chi voglia fare ricerca e sviluppare idee. Decenni a cercare di capire cos’è bello e cos’è brutto, cosa funziona e cosa no, le cose che mi piacciono e quelle che non sopporto  e soprattutto perché. Un modo di mettermi ad ascoltare le necessità, i sogni, le ambizioni, i progetti, farli miei e sapere dove andare a far nascere l’ispirazione.
Alla fine, mescolando tutto, l’esperienza e la sensibilità di artigiani e imprenditori con le mia storia creativa, mettendo insieme la mia e la loro ispirazione, dopo un bel match di solito vengono fuori idee interessanti.
Cose che funzionano davvero.

Nell’immagine  –  anello Crumple – Paolo Marangon design for NANIS
(la sinuosità e la sensualità delle curve – l’archetipo femminile)

Guarda CRUMPLE RING

Eclettico, versatile, curioso… elettrico!

 

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Quando penso alla parola eclettico mi saltano subito alla mente due nomi: Sister Act e Leonardo Da Vinci. Forse è difficile individuare due personaggi più distanti l’uno dall’altro quanto la vulcanica finta suora interpretata da Whoopi Goldberg ed il genio rinascimentale dell’autore della Gioconda, ma è proprio l’aggettivo eclettico ad unirli in una (insolita) libera associazione. In una scena di Sister Act 2 infatti Sister Act, alla prese con una classe di adolescenti ribelli definisce così uno dei ragazzi, che però non conosce la parola. Un altro cerca di spiegargliela con sufficienza, ma viene subito deriso dal gruppo, perchè ne ha confuso il significato con quello di “elettrico”. E mi ha sempre fatto sorridere questo piccolo brano, perché l’eclettismo in effetti è davvero elettrico; è qualcosa che ti dà la scossa, che trasmette un sacco di energia.

A proposito di energia, nonostante i secoli che ci separano, pochi personaggi storici riescono a trasmettermi la stessa infaticabile energia creativa e quasi demiurgica del genio versatile ed eclettico di Leonardo Da Vinci: pittore, scultore, ingegnere, esoterista e molto altro.

Mai come oggi è stato necessario essere versatili ed elastici, apprendere costantemente nuove tecniche e tecnologie (software di disegno, strumenti hardware e software eccetera). Servono nuovi linguaggi di comunicazione sul web, nuove forme espressive in grado di catturare l’attenzione del nostro pubblico distinguendosi nel rumore bianco del costante iperflusso di informazioni che ci bombarda incessantemente.

A chi si occupa di comunicazione non è più concessa la specializzazione professionale: a tutti è richiesto di sapere un po’ di tutto, bene o così così non ha davvero troppa importanza, basta che costi il giusto e sia… subito!

L’eclettismo è una cosa meravigliosa: per un direttore creativo è fondamentale, perchè ci consente di tenere sotto controllo tutti gli aspetti della comunicazione, nessuno escluso, e di valutare se e quando avvalersi di un professionista specializzato, e quali indicazioni fornirgli per guidarne il lavoro.

Penso alla direzione artistica di un servizio fotografico, solo per fare un esempio. Avere nozioni di fotografia, di illuminazione, di composizione dell’immagine mi permette di guidare meglio il fotografo nella realizzazione del tipo di immagine che ho in mente. Sapere quale testo accompagnerà l’immagine, in quale layout grafico verrà inserita, che sia un catalogo o un poster nello stand fieristico mi aiuta a scegliere il cosiddetto mood, l’atmosfera degli scatti.

Eclettismo non significa tuttologia, ma versatilità. Io sono innamorato del cinema, mi interessano la fotografia, la scrittura, la moda, la letteratura, l’architettura “classica” (gli architetti di una volta progettavano case, no?) il design industriale, la gioielleria, il social media marketing, il packaging design, la pop art ed il barocco, le brocche ed i ritratti, l’action painting e un sacco di altre cose e correnti ed idee che forse ancora non ho scoperto.

Non significa affatto che io sappia fare tutto, o che lo sappia fare in modo sempre e comunque eccellente, ma possedere una mente eclettica, curiosa e sempre assetata di nuovi stimoli è una risorsa fondamentale per il mio lavoro di designer, ma anche quando nel (pochissimo) tempo libero mi dedico a ciò che mi appassiona di più, ovvero l’arte.

E in questo periodo, oltre a tutto il lavoro di consulenza e progettazione per i miei clienti, l’arte sta riprendendo il posto che le spetta nella mia vita, contaminando tutto il resto in modi che spesso sorprendono (positivamente) me e soprattutto i miei committenti.

Nuovi progetti stanno nascendo, e crescono rapidamente.
Sono eclettico, e sono elettrico. È una bella sensazione.

Ancora sulla creatività, ovvero l’arte di scegliere.

 

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Mi fa sempre sorridere la famosa citazione di Henry Ford a proposito della sua celeberrima T Model, di cui diceva che:

Ogni cliente può ottenere un’auto colorata di qualunque colore desideri, purché sia nero.

Se penso a quante infinite combinazioni di scelte dobbiamo compiere ogni giorno, mi viene quasi spontaneo chiedermi se sarebbe più semplice avere meno opportunità, meno opzioni, meno decisioni da prendere cercando di intuire quale possa essere la più vantaggiosa, la più efficace, la migliore.
Mica facile, saperlo prima, no?
Eppure a volte tra i campioni e i progetti, tra le mazzette di colori e di materiali, tra colori e gli schizzi leggo nello sguardo dei miei clienti un briciolo di esasperazione, e so già che cosa stanno per dirmi: “Ci pensi lei, faccia lei la scelta migliore”.

In altre occasioni, invece, mi accade di lavorare con clienti più consapevoli dell’identità del brand, delle scelte stilistiche che concorrono a determinare l’immagine aziendale nei vari ambiti di comunicazione in cui il progetto a cui stiamo collaborando verrà declinato. Può essere una brochure, un catalogo, uno stand fieristico oppure il design di una nuova collezione di prodotti, o molto altro ancora, ma anche in questo caso lo stile dell’azione comunicativa è il risultato di una serie di scelte: il mio compito è quello di selezionare le opportunità coerenti ed adatte all’identità del mio cliente, alle tendenze del settore di riferimento, ma anche alle sue esigenze sia tecniche che economiche.

Non è detto che le cose belle debbano per forza costare tanto: spesso la mia esperienza professionale e la costante attenzione alle tendenze mi hanno permesso di sfruttare al massimo budget contenuti per ottenere risultati sorprendenti. Minima spesa, massima resa è un imperativo categorico più che mai attuale, e anche questo aspetto della creatività dipende dal tipo di scelte che operiamo con e per i nostri clienti.

Un creativo dunque è soprattutto qualcuno che ti aiuta a compiere la scelta migliore, adottando un punto di vista magari insolito e originale, proponendoti idee e soluzioni a cui non avevi pensato o che non sapevi esistessero: è il gusto di stupire prima il mio cliente e poi il suo pubblico a rendere appassionante ed intenso il mio lavoro.

Sia che io stia scrivendo un testo per la tua comunicazione, che ti stia proponendo una soluzione di packaging o che stia realizzando il layout grafico della nuova campagna pubblicitaria, la parte più importante del mio lavoro consiste proprio in una serie di scelte consapevoli. Penso ad esempio al carattere da usare, al colore giusto, al tipo di illuminazione o al taglio fotografico da indicare al fotografo per uno shooting, alle texture di arredamento per lo sviluppo di un concept store, e via dicendo.

Il creativo non è mai solo colui che sceglie al posto tuo, ma quello che ti assiste, ti guida e ti supporta, mettendoti nelle condizioni di avere tutti gli elementi per fare la scelta migliore possibile.

A te spetterà l’ultima parola su tutto, naturalmente, e sono certo che ti sarà molto più semplice scegliere dopo che avremo eliminato insieme le opzioni inutili e “sbagliate” rispetto alle tue necessità di quel momento (senza dimenticare di ragionare in un’ottica a medio e lungo termine quando le circostanze lo richiedano).

Mi piace concludere questa breve riflessione con la citazione di una frase del filosofo tedesco T.W. Adorno:

La libertà non sta nello scegliere tra bianco e nero, ma nel sottrarsi a questa scelta prescritta.

Di cosa parliamo quando parliamo di storytelling

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Chi si laureava in lettere fino a dieci anni fa spesso sognava di trasformare il romanzo che teneva nel cassetto in un classico della letteratura, e intanto pagava le bollette facendo il copywriter per qualche agenzia di pubblicità. Chi si laurea oggi lavora già da anni come content writer, storyteller, web content editor.
Tutto il resto del mondo annuisce con convinzione chiedendosi mentalmente che cosa voglia poi dire.

Il “caro, vecchio” copywriting, quello di Mad Men, quello di What Women Want e di tutte le rom-com sulle agenzie pubblicitarie, consiste nel compito a volte esaltante e molto più spesso ingrato di scrivere i testi di accompagnamento delle campagne pubblicitarie. Questo comprende l’Headline, cioè il titolo principale, il body-copy, che è il breve testo esplicativo lungo poche righe che eventualmente lo accompagna, ed il payoff, cioè la frase che conclude e firma la campagna. Se questa prevede più soggetti, il payoff rimane lo stesso, e scolpisce l’identità del brand. Celeberrimo è l’esempio del Just do it che non ha neppure bisogno del segno grafico per farci immediatamente pensare “Nike.”

Così come l’ADV tradizionale, la “pubblicità”, insomma, il copywriting continua a rivestire un ruolo fondamentale nella comunicazione, e nella maggior parte dei casi è determinante per il successo di una campagna. Allo stesso modo della pubblicità “tradizionale”, però, nell’epoca del cosiddetto Web 2.0 non basta più. Serve un approccio diverso, che integri e sviluppi il percorso delineato dal copywriting tradizionale trasformandolo in un’azione molto più ampia e strutturata.

La brand identity oggi si costruisce attraverso lo storytelling, letteralmente “raccontare storie”: la comunicazione unidirezionale della pagina pubblicitaria è stata sostituita dalla costruzione di racconti, di storie, attraverso testi ma anche e soprattutto video ed immagini in grado di costruire conversazioni con il pubblico.

Lo scopo di chi usa lo storytelling e di chi costruisce narrative, cioè sistemi di senso – che diventano racconti su di sé, sui propri marchi o i propri prodotti – è instaurare una relazione profonda con il proprio pubblico: non lo si vuole solo informare, lo si vuole coinvolgere attivamente. In questo tipo di attività gioca un ruolo fondamentale la cosiddetta “scrittura creativa”, o creative writing, di cui parleremo presto.

PS: il titolo di questo post è un libero adattamento da quello di “Di che cosa parliamo quando parliamo d’amore”, un libro di Raymond Carver, uno dei maggiori maestri di scrittura creativa, autore della fondamentale raccolta di saggi “Il mestiere di scrivere.”

DIREZIONE CREATIVA, DIREZIONE ARTISTICA, DESIGN E STRATEGIA

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La direzione creativa è la funzione in cui la direzione artistica ed il design si intersecano con la strategia.

Ehm… cerchiamo di spiegarci meglio.

La direzione artistica riguarda soprattutto il feeling che un determinato lavoro riesce a trasmettere; nel caso ad esempio di un sito internet, dipende dal direttore artistico il fatto che sia elegante, oppure vagamente retro, o ancora ipertecnologico e futuristico. Si può dire che la direzione artistica riguarda soprattutto l’aspetto di qualcosa, ma anche il cosiddetto mood, ovvero lo stato d’animo che si vuole trasmettere a chi ne fruisce. Il direttore artistico è presente in fase di shooting fotografico, ad esempio, per dare indicazioni al fotografo circa l’atmosfera da creare nel set, la scelta di luci più morbide o contrasti più decisi, e così via.

Il design riguarda gli aspetti più tecnici di un lavoro, prendiamo ad esempio una pagina pubblicitaria: dopo che la direzione artistica ha stabilito il mood, il design si assicura che i testi siano allineati, che i colori abbiano il giusto livello di saturazione e contrasto, che l’immagine abbia la risoluzione adeguata per la stampa, che ci siano ordine ed equilibrio grafico sulla pagina.

La strategia, infine riguarda il modo in cui raggiungere gli obiettivi condivisi con il cliente, i canali da utilizzare a seconda del target che si intende raggiungere e a cui ci si rivolge. Una campagna promozionale relativa ai fondi di investimento non verrà promossa in un social network come Tumblr, densamente popolato da adolescenti e giovani adulti, ma privilegerà campagne adsense su Google ed annunci su Facebook, che permette di selezionare età, interessi e posizione geografica del target a cui mostrare l’annuncio.

Il direttore creativo è il trait d’union tra tutte queste funzioni: ha una visione generale e competenze professionali abbastanza diversificate per assicurarsi che tutte le diverse funzioni necessarie vengano svolte nel modo migliore, e comunque secondo criteri di coerenza ed armonia. Ha la responsabilità finale su tutte le altre funzioni: ad esempio, se una pagina ADV (la cara, vecchia pubblicità) sembra avere un’ottima idea di base ma è priva di un buon design a livello visuale, la responsabilità è del direttore creativo, che funge da “collante” e soprattutto da coordinatore tra le varie funzioni.

In MARANGON DESIGN ci occupiamo di tutti questi aspetti con una visione strategica unitaria.

(contenuti adattati da: danielmall.com)

10 piccoli regali

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Manca un mese a Natale e vi propongo 10 piccoli regali.
Cose che costano davvero poco, nessuna supera i 50 euro e per lo più costano molto meno.
Piccoli regali, magari gadget aziendali, pensierini allegri e curiosi.
Questi piccoli oggetti d’uso comune però hanno tutti una peculiarità, mostrano in modo evidente la scintilla da cui sono nati, l’idea che ne ha fatto degli oggetti interessanti, diversi, facili da comunicare e da proporre. Dieci oggetti che dimostrano come sia importante il progetto del prodotto.
1 – ONION GOGGLES –  € 22,95
Gli occhiali per le cipolle.
Può sembrare una scemenza solo a chi non ha mai fatto il soffritto.
ideeregaloblog.it

2 – LUCETTA  € 25,00 
Meglio non pedalare a fari spenti nella notte!
Una luce bianca e una rossa, led calamitati da attaccare alla bicicletta.
Parcheggiata la due ruote si staccano, si riattaccano tra loro a formare un piccolo cilindro liscio e si mettono in tasca.
palomarweb.com

3 – SUN JAR  € 25
Una lampada racchiusa in un vaso da conserve.
SUN JAR durante il giorno cattura l’energia solare e al calar della notte, come la luna, il barattolo sprigiona una luce soft rilassante, gialla, blu o rosa.
Bellissimi da abbandonare nel prato davanti casa o sul davanzale.
www.suck.uk.com

4 – CONCEAL  € 13
La mensola invisibile, un trucco semplice per illudere che i libri se ne stiano sospesi nel nulla.
designxtutti.com

5 – ARROW  49 €
Appendiabito a forma di freccia con tre ganci per appendere il cappotto, la sciarpa ma anche la bicicletta.
Chiuso diventa un segno grafico che se moltiplicato può decorare e riempire di significati la parete anonima del corridoio.
madeindesign.it

6 – PORTA MONETE  10 €
Triangolare, lucidissimo e colorato.
wearunique.com

7 – WIRE PLUS  –  6 €
Un segno colorato per tenere in ordine le cuffiette senza che i fili si aggroviglino.
nottheusual.co.uk

8 – VERSODIVERSO di Viceversa  € 9,50
Un becco da avvitare alle bottiglie di plastica per trasformarle in innaffiatoio.
kikaustore.it

9 – APOSTROPHE  € 19.00
Lo sbuccia arance per realizzare decorazioni. Indispensabile per il food design.
Bellissimo in sé e per sé! Lo userei come fermacarte.
store.alessi.com

10 – DUE PAROLE  € 00.00
Due o mille, non costano nulla, ma trasformano tutti questi piccoli regali in qualcosa di importante!

Per gli auguri ci sentiamo tra un mese!

 

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