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L’IMPORTANTE È FINIRE

Quando inizio un disegno so più o meno quello che voglio realizzare ma non so quando finirò. Magari bastano due linee che non avevo previsto e tutto finisce lì, certe volte invece tocca tratteggiare per ore come zappare la terra o mescolare colori e sembra non finire mai.
Quando si finisce un’opera creativa?
Non necessariamente un’opera d’arte ma un fare di cui non si sa tutto, la ricerca di un equilibrio o al contrario di una provocazione o peggio di una cosa che non sappiamo bene come sia. Quando finisce?
Quando lo decidiamo noi, quando non c’è più tempo, quando il cliente dice basta. Una cosa è certa, l’importante è finire. Senza la parola fine non c’è niente.

Fare un’opera d’arte o molto più semplicemente impaginare un catalogo, scrivere due righe di un post, progettare uno stand, dar vita ad un nuovo prodotto,  sono azioni creative che necessitano di una conclusione. C’è sempre un momento in cui l’artista, il creativo, il grafico, il designer, ma anche l’imprenditore, il cuoco, lo scrittore devono chiudere, firmare, passare ad altre mani e dire basta, per me è finito.

C’è chi va diritto al punto e chi la mena all’infinito.
Chi pensa che la perfezione non sia di questo mondo e chi invece è convinto abiti al piano di sotto. Chi è felice di quello che fa e termina il suo lavoro per iniziarne uno nuovo e chi sta lì a girarci intorno pensando che prima o poi accadrà qualcosa e solo allora  sarà tutto perfetto.

Per parte mia, amo l’ansia della scadenza.
Quando il tempo diventa sottile e bisogna presentare il tanto o il poco, il bello o il brutto che si è fatto.
Poi faremo un altro disegno, un altro progetto, comporremo altre musiche, scriveremo altre cose, immagineremo altre imprese, produrremo altro… ma adesso basta, l’importante è finire. 

regali per i clienti

Anche quest’anno in questo periodo, per fortuna c’è chi lo fa molto prima, eccoci qui a pensare ai regali, ai gadget, a piccoli e grandi doni che ogni anno rivolgiamo ai clienti.
Io qui a ripetere le stesse importanti cose di sempre come fosse l’evento del millennio.

Chiamiamoli come vogliamo, sono quei gesti che mostrano ai nostri clienti l’attenzione che abbiamo per loro. Piccole o grandi cose per farci ricordare, per definire ancora un po’ la nostra immagine.

Possiamo inventarci quello che vogliamo. Raramente potremmo usare la fantasia così, senza limiti, e invece la sola parola, regali, ci ingabbia in strutture mentali rigide portandoci a ripetere, ripetere, ripetere…

Le solite cose buone, magari dolci. Sapori della tradizione, profumo di cioccolato, zenzero e canditi.  La differenza la fa il packaging.
Prendete tutta la tradizione di cui siete capaci e mettetela in confezioni che non c’entrino niente. Palle nere, sacchi avana, tubi di pelo fucsia…

Piccole trasgressioni. Roba dal design incomprensibile, arte, moda, piccoli oggetti dalle superfici lisce, cose dal significato ambiguo e dalla funzione incerta.
Diamo spazio alla comunicazione visiva. Contenitori essenziali e decorazioni creative.

Amo le matite e odio la diabolica penna a sfera che resta il gadget per eccellenza. Evitiamola come la peste. Se invece proprio non sappiamo resistere, va benissimo una Bic Cristal o una Montegrappa, dipende dal badget.
La personalizzazione può cambiare tutto.

Ricordiamoci che il packaging è il regalo. 
Quello che si vede subito. Nasconde e annuncia la sorpresa. Fa provare il primo piacere alla vista e al tatto. Racconta il tempo impiegato, la dedizione, la cultura e il gusto. 

È il pensiero quello che conta.
Non è un abusato modo di dire. È proprio vero che il pensiero è quello che conta. Per questo dobbiamo renderlo visibile.
Scriverlo è il modo più semplice per comunicarlo ma non è l’unico.
Gaber diceva che un’idea per essere vera bisognerebbe poterla mangiare. Proviamo a far sentire come sono vere le cose che scriviamo.

Perché il nostro regalo serva a qualcosa. Magari a tante cose.
Anche a farci ricordare con un sorriso.

Esporre senza emozionare

IMPERFEZIONI – “La vita ha più gusto quando la bevi cruda.”

I testi impaginati alla viva il parroco!
Pazienza il web, dove il responsive ormai fa quello che vuole, ma la stampa no! Pagine giustificate senza giustificazioni, parole lasciate sole alla fine di un paragrafo, righe abbandonate sulla pagina bianca come spazzatura. Capisco che non è obbligatorio sapere di “vedove” e di “orfane”, vabbè ma basta solo un’occhiata per evitare certe schifezze.

Il design tanto per fare.
Forme strane  che non c’entrano niente, incrostazioni per coprire, decorazioni buttate lì. Invenzioni inutili, brutte, fatte solo per stupire che rendono gli oggetti vecchi ancora prima di essere prodotti.
Non me ne frega niente della funzione. Esageriamo, stupiamo! Ma con un minimo di stile.

Le imperfezioni di progetti cretini.
Guarnizioni che saltano via, incavi impossibili da pulire, lampadine insostituibili, materiali del piffero… Fotografie tagliate con la roncola e impaginate da ubriachi.

Le mie imperfezioni, quelle peggiori.
Puntini di sospensione come se piovesse, ripetizioni a go-go che quando tocca fare in fretta restano lì a futura memoria.  “La vita ha più gusto quando la bevi cruda.” Prendere al volo slogan che passano alle due di notte anche se non c’entrano niente e scriverli dove capita come avesse telefonato la Testa per dirmi di infilarceli.

Chiamiamole imperfezioni…

La scena del prodotto

Ecco qualche idea … e ricordiamoci sempre che tutte le regole sono fatte per essere trasgredite.

Pensiamo di essere a teatro, l’ho già detta mille volte ma non mi pare  sia passata ‘sta cosa del teatro.

Isoliamo il protagonista
La poltrona, il tubo di crema,  la collana, la bottiglia di grappa, la lamiera…  e usiamo la sua ombra stagliandola su di una scena bianca o facendola perdere nel buio. Un attore solo deve saper  tenere la scena, essere un mattatore…  ma ce l’abbiamo tutti un golden boy da schiaffare in prima pagina.

Uno… due… tre… quattro… protagonisti
Abbiamo diversi prodotti importanti? Isoliamoli  tutti come nel teatro dell’assurdo. Distanziamoli in spazi uguali, in fila. Separiamo lo spazio con la luce. Oppure disponiamoli secondo una geometria nota solo a noi, che risponda solo a canoni estetici. Oggetti inquietanti che non si parlano, che si voltano le spalle…

Mettiamoci il coro
Come il coro sulla scena del teatro greco antico mettiamo un gruppo di prodotti omogenei che faccia da contraltare ai protagonisti, li sorregga e li accompagni. Un po’ di spazio tra  gli uni e gli altri e luci diverse.

Un grande gruppo, un’orchestra
Valido per grandi gruppi di cose relativamente piccole.
C’è il direttore d’orchestra, il primo violino, l’arpa… e poi  tenori, soprani, contralti e stuoli di voci bianche…
Una composizione quasi sempre piramidale per non impallare nessuno, ma non per forza a simmetria centrale. Possiamo spostare il focus a tre quarti, tutto a destra o a sinistra. Se invece vogliamo proprio costruire l’altare… Esageriamo! Facciamolo verticale, alto, simmetrico fino all’inverosimile, senza un capello fuori posto. La luce cadrà al centro e sembrerà sparire ai bordi della nostra composizione.

Teatro sperimentale d’avanguardia
Della serie..  facciamo casino che tutti ci guardino!
Unica regola, la più dura, non avere regole.  Buttiamo le nostre cose come fossero messe a caso. Ci metteremo tre giorni ma non importa. Il risultato deve lasciare a bocca aperta… comunque.

Postilla
Evitiamo quelle cose da vigilia di Natale, i fiori se non facciamo i fioristi…  vetrine, stand, foto bellissime ma dove il prodotto non si vede. A meno che l’obiettivo non sia un altro, vendere il brand non il prodotto.
In genere sono due lavori diversi…

SALVE! PAROLE SPAZZATURA

SALVE-parole-spazzaturaSalve!
Eh! Salve… che saluto viscido!
No! Non per la parola che è un bel saluto…  in fondo si augura buona salute…
– Salve – mi capita di dirlo troppo spesso, senza pensarci e mi fa schifo.

La butto lì col vicino di casa e mi esce  –  Sao –  sì – Sao! –
perchè proprio mentre io gli sto dicendo –  Salve –
lui mi dice – ciao –
Cerco di correggere il tiro proprio a metà parola mentre sto cercando di  farla sparire e esce un  – Sao –  ridicolo.

Facciamo così anche nelle email di lavoro.

Salve… Ufff!!!

Qualche decennio fa decisi di buttare via –  cordiali saluti –  non se ne poteva più.
Ero stufo di vederli alla fine di tutte le email che ricevevo e mi dissi che non potevo fare lo stesso.
Ho iniziato a salutare con – a presto –.

Mi sembrava fico, diverso…  Adesso, dopo aver consumato qualche milionata di – a presto – non ne sono più tanto sicuro.

Tutta questa tirata su – Salve – ciao – buongiorno – cordialmente, tanti saluti e a presto… Per dire che le parole si consumano come le gomme della macchina.

Le gomme le cambiamo perché ad un certo punto ci viene paura di andare a sbattere. Continuiamo invece ad usare sempre le stesse parole anche se un po’ alla volta finiscono per non servire più a niente.
Continuiamo a dirle imperterriti e diventiamo trasparenti, invisibili…  inutili anche noi…

Scriviamo presentazioni sul nostro sito aziendale che sembrano indirizzate a qualche ufficio UCAS sperduto nel deserto.
Mandiamo email tutte uguali.

Bisognerebbe essere veri, dire delle cose che ci riguardino davvero… nelle email come nei contatti reali, faccia a faccia, di tutti i giorni.

Non c’è differenza.

La posta elettronica, whatsapp, il blog, il sito web aziendale e tutti i social sono solo dei mezzi  di comunicazione che ci danno più opportunità di contattare la gente, parlarci, magari vendere più di quanto non fosse possibile fare solo col telefono e con la posta tradizionale qualche decennio fa.

Non sono gli strumenti, la differenza la fanno le parole, quelle vere che ancora incidono, non quelle che ripetiamo tutti senza nemmeno pensare a quello che diciamo…

Anche tu hai parole da buttare via?
Quali sono le tue parole consumate?

IL PROGETTO DELL’IDENTITÁ

Il-progetto-dell'identità
Ieri ho pubblicato la  frase che mario nanni (con le iniziali minuscole come piace a lui), il progettista, l’inventore di Viabizzuno, l’importante azienda di sistemi di illuminazione, ha posto all’inizio del mattone bianco che è il catalogo delle sue lampade.
È un bellissimo oggetto. Mi è capitato in mano e ha acceso una lampadina da qualche parte nella mia testa.
Non per la frase in sé:
– I progetti rendono gli oggetti eterni, le mode li corrompono, gli imbecilli li copiano e li vendono agli ignoranti e ai deficienti. –
La denuncia del furto come regola, di un processo che abbandona ogni consapevolezza e diventa biecamente commerciale.
Per l’uso forte, chiaro delle parole.
Per l’identità inequivocabile che trasmette.
Mi piace Viabizzuno e tutto quello che è, che fa mario nanni.
È come un segno nero sottile su una parete.
Ho scoperto la magia della luce il giorno che l’ho vista entrare di traverso da una piccola finestra in una stanza bianca. Quando ho iniziato a fare le prime foto, ai tempi della scuola, tanti anni fa.
Volevo solo dirvelo.
Ci scegliamo perché ci piacciono le stesse cose.
Lo stesso spirito con cui fare le cose, anche quelle più diverse.

SCEGLIERE, AFFERMARE LA PROPRIA IDENTITÁ

scegliere

Aiuto le Aziende a comunicare.
A mostrare nel modo migliore il loro lavoro. Le aiuto a vendere i loro prodotti e se stesse, a mostrare la loro capacità innovativa e la loro organizzazione.

Aiuto le Aziende a scegliere.

Parola importante SCEGLIERE.
Parola che ha a che fare con la propria IDENTITÁ.

Scelgo le parole.
Quelle che rappresentano i valori, il pubblico e il mercato delle aziende per cui lavoro. Cerco di parlare al cuore e alla mente delle persone.

Scelgo la carta su cui stampare.
Leggera, pesante, ruvida, liscia, goffrata, ecologica.
Scelgo il formato e il layout dell’impaginato.

Scelgo le funzionalità e i contenuti di siti Internet semplici ed emozionali. Pagine web visualizzabili su pc, smartphone e tablet per le loro avanzate caratteristiche responsive.

Scelgo le immagini, la luce, il taglio… il ritmo e l’originalità del montaggio dei video che raccontano le persone, il lavoro e i prodotti.

Scelgo colori, materiali, luci per esporre e mostrarsi. Progetto gli spazi di stand e locali  commerciali. Scelgo forme, funzioni, profumi, suoni, emozioni…

Scelgo le forme dei prodotti e la grafica del packaging che li conterrà.

Il prodotto e la sua comunicazione nascono assieme. Le forme scelte per il prodotto evocano già le parole che lo racconteranno.

C’è sempre una scelta da fare, scegliere è il mio lavoro.

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