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STRATEGIE CREATIVE

 

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Vi ho già parlato qualche tempo fa delle strategie creative di Brian Eno, quelle che lui definì “oblique”.

Il grande musicista inglese padre della “musica ambient”  nel 1975 in collaborazione con l’artista Peter Schmidt  creò un mazzo di 113 carte su ciascuna delle quali aveva appuntato un’indicazione, un consiglio, una trovata, un’esclamazione… che interpretata a dovere sarebbe servita a togliere dall’impasse creativo, a fornire una nuova chiave di lettura.
Proviamo ad usarle se stiamo creando qualcosa o siamo alle prese con un progetto ingarbugliato oppure vogliamo solo divertirci a pensare ad una via di fuga, ad una strada mai presa…

Ecco 10 delle “Oblique Strategies” che mi hanno più solleticato:

Esamina attentamente i dettagli più imbarazzanti e amplificali.

Sottrai gli elementi in ordine di irrilevanza apparente.

Fa’ una lista esauriente di tutto ciò che potresti fare ed esegui l’ultima cosa che vi si trova.

Non lasciarti intimorire dalle cose solo perché sono facili a farsi.

Compi un’azione  improvvisa, distruttiva e imprevedibile.

Scopri le ricette di cui ti servi e abbandonale.

Valorizza uno spazio vergine collocandolo entro una cornice raffinata.

Osserva l’ordine in cui fai le cose.

Che errori hai commesso la volta scorsa ?

Definisci un territorio “sicuro” e servitene come un’ancora.

 

Fatti aiutare dal fato! Scrivi queste frasi su dei foglietti, piegali e scegline uno a caso.

Spero che qualcuna di queste strategie creative dall’aria misteriosa e un po’ criptica ti possa aiutare oggi.

Se vuoi acquistare lo splendido cofanetto con tutte le  “Oblique Strategies” ecco il link:

ObliqueStrategies

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IL NOME GIUSTO

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Quando sono nato, il nome giusto per me si era già deciso da un pezzo, o meglio l’aveva deciso mia nonna, mi sarei chiamato Maurilio, come il vescovo di Torino di allora. Sennonché all’Ospedale Maggiore di Novara poche settimane prima della mia nascita era sorto il sospetto, con relative denunce, che fossero avvenuti scambi di neonati. La direzione dell’Ospedale per rassicurare la gente si era inventata di scrivere il nome immediatamente dopo il parto sulla pancia del neonato con un pennarellone indelebile. E fu proprio nell’istante in cui mia madre avrebbe dovuto dire Maurilio con piglio sicuro che le uscí un flebile Paolo che l’ostetrica andò a stamparmi addosso per sempre. Con buona pace per mia nonna!

É una storia che raccontavo sempre ai miei figli quando erano piccoli, mostrando la pancia e invitandoli a cercare il segno leggero dell’indelebile che secondo me si vedeva ancora benissimo!

Dare un nome alle persone, alle aziende o alle cose é sempre un’avventura.

Dare il nome giusto ad un prodotto, a un’idea, a un personaggio, a un’azienda, è l’azione piú creativa che si possa compiere. 

Senza un nome le cose, le persone, le idee non esistono.

Ci sono nomi di prodotti,di personaggi, di istituzioni che tutti conosciamo. Nutella, Nike, Algida, Aspirina, Coca–Cola, Greenpeace… e poi Marilyn, Gilda…
Alcuni sono diventati famosi per le casualità della vita, altri sono stati creati per diventare famosi.
Un nome per attirare l’attenzione, per comunicare qualcosa deve suscitare delle emozioni, evocare, creare un qualche effetto.
Nella scena del film “Bianca” di Nanni Moretti che interpreta un prof. di matematica, lui arriva nella sua nuova scuola e appare il tipico edificio scolastico e lentamente la cinepresa svela l’intestazione  –  SCUOLA MEDIA STATALE MARILYN MONROE – qui l’effetto spaesamento è immediato e totale.
Come per qualsiasi tipo di progetto di comunicazione, anche per inventare un nome è fondamentale giocare con gli stereotipi – quelle immagini così fortemente codificate, rigide e largamente condivise all’interno di gruppi omogenei – tali che negandole, travisandole, ribaltandole ecc… si ottengono effetti immediati ed eclatanti.

Senza stereotipi sarebbe dura!

E’ grazie agli stereotipi che otteniamo l’effetto di sorprendere e far ridere se chiamiamo Fufi un mastino napoletano o Thor un chihuahua.
Dare il nome ad un’azienda significa far volare la fantasia, sentire qual è la sua essenza, analizzare il mondo in cui si muove e fare attenzione a poche semplici regole.

– EVITIAMO NOMI TROPPO LUNGHI
–  A meno di poterli sintetizzare in un acronimo, una sigla, che diventa il vero nome. Fabbrica Italiana Automobili Torino avrebbe dato qualche problema in più di FIAT. Tanto più oggi che deve diventare il nome di un sito, di un indirizzo e–mail, di un blog…

– ACCERTIAMOCI CHE IL DOMINIO SIA LIBERO – E’ una cosa che si fa in dieci secondi sui siti specializzati nella registrazione di domini. Inutile innamorarsi di un nome che non si potrà mai usare nel web.

– NIENTE NOMI CHE SUONINO MALE – Sembra ovvio ma non lo é. Ricordiamoci che i “Baci” Perugina, nome azzeccatissimo, in origine erano stati commercializzati come “Cazzotti”.

– ESSERE ORIGINALI – NON COPIARE – Utilizzare il nome di un brand famoso magari aggiungendo una vocale o una consonante all’inizio o alla fine piú che illegale é ridicolo!

Essere originali ci dá la possibilitá di investire sul nostro marchio senza temere di veder spazzare via tutto sul piú bello da rivalse legali.
É importante trovare il nome giusto, che suoni bene, magari con una bella storia cucita addosso. Aiuta di sicuro! Sia per creare un nuovo brand, una nuova attivitá, che per dare personalitá e riconoscibilitá ad un nuovo prodotto.

Ci sono mille modi per trovare spunto ed inventare il nome di un marchio con le carte in regola per avere successo ma quello che paga veramente é immaginare il mondo che sta intorno a quel nome, la storia che lo origina, una motivazione che vada al di lá del bello e del brutto!

DIECI REGALI DESIGN

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Dieci oggetti divertenti, ultranoti, davvero belli da regalare in qualsiasi occasione per farsi ricordare, se poi a qualcuno previdente viene in mente che fra tre mesi è natale!

ECCO DIECI REGALI DESIGN:

– LUCELLINO TISCH  – Ingo Maurer
Un filo esile, una normalissima lampadina e le alucce di un uccellino messe insieme dal guru delle lampade Ingo Maurer.

– JUICY – Philip Stark per Alessi
Lo spremiagrumi scultura che ha reso famoso l’archistar francese – un bellissimo oggetto.

– CUBO – Bruno Munari per Danese Milano
Un posacenere non sarà proprio corretto, bon ton, come regalo, ma Munari ha disegnato un cubo semplicissimo… soprattutto da pulire.

– CUBOLED – F. Bettonica e M. Melocchi per Cini&Nils
La lampada da comodino perfetta, si alza il coperchio si accende, si chiude, si spegne.

 TOLOMEO  Michele De Lucchi per  Artemide
Lampada da scrivania in alluminio molto tech.

– ANNA G. – A. Mendini per Alessi
Cavatappi  antropomorfo molto simpatico, dal fondatore di Menphis.

– LOVELY RITA – Ron Arad per Kartell
Libreria scultura capace di cambiare ogni ambiente.

–  SERVO MUTO – Achille Castiglioni per Zanotta
Tavolino, svuota tasche, comodino, tutto quello che si vuole, servo muto appunto!

– LAMPADINA – Achille Castiglioni per Flos
Una lampadina a incandescenza bella grande con satinata una papalina e cpme base la bobina di un 16 mm. Il cinema che illumina?!

– TOAST – Gae Aulenti per Trabo
Tostapane dalla forma allungata e dalla scritta inequivocabile!

–  THE END – Maurizio Cattelan e Pierpaolo Ferrari per Gufram
Per finire! Così come pensava di finire la propria attività GUFRAM… ma poi…

 

 

Dormire fa bene alla creativitá!

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Dormire fa bene alla creativitá!
A dire il vero il mito racconta di creativi dediti a scrivere, dipingere e progettare nel pieno della notte. Anch’io spesso ho ceduto a questo insano cliché.
Una cosa é certa: non funziona!
Lo attestano studi recenti che spiegano la connessione diretta tra un buon sonno e la capacitá di avere una visione chiara delle cose, di stabilire relazioni non banali, di essere creativi.
Nel sonno si sedimentano i ricordi, si riordinano le idee.
Dormire e sognare sono essenziali per capire, organizzare e ricordare meglio.
Insomma, dormire fa bene alla creatività e allora proviamo a vedere come si puó dormire meglio, trasformando il sonno in un’azione creativa.
Ecco dieci consigli (scopiazzati qua e lá) per dormire meglio e svegliarsi con almeno un’idea nuova:

1 – Fare attiivitá fisica abbastanza intensa durante il giorno.

2 – Seguire una routine, coricarsi e alzarsi piú o meno alla stessa ora anche durante il week-end.

3 – Spegnere le luci ed eliminare ogni strumento elettronico dalla stanza, soprattutto radio, pc, telefonini e tv.

4 – Bere una bella tisana calda rilassante prima di andare a dormire.

5 – Pensare al progetto in corso, ripercorrere i momenti creativi della giornata mentre ci si sta addormentando.

6 – Iniziare ad immaginare quello che si vorrá sognare aspettando di addormentarsi.

7 – Provare ad imparare il sogno ad occhi aperti, la trance, i viaggi al di fuori del corpo (www.lucidity.com)

8 – Il letto serve solo per dormire e… al più, a fare sesso, non per telefonare, scrivere, navigare in internet, mangiare o altro.

9 – Ascolta della musica rilassante, ognuno ha la propria, ma Brian Eno il padre della musica ambient ne ha per tutti.

10 – Ricordiamoci che fare un’attivitá creativa é un lavoro come un’altro, serve rigore e luciditá.

Ok, sono quasi tutti consigli della nonna,  però magari funzionano, potremo sfruttare il prossimo mese vacanzaiolo per provarli e vedere se è vero che dormire fa bene alla creatività.
Buone Vacanze e lunghi sonni creativi!

 

CORRERE FA BENE ALLA CREATIVITA’

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Correre fa bene alla creatività!
Ieri mattina mi ero alzato più presto del solito con l’idea di mettermi a scrivere la newsletter di questa settimana, ma niente, dopo dieci minuti avevo già capito che non c’era trippa per gatti e non sarebbe bastato il piano editoriale più ferreo per ritrovare lo spunto giusto. Mi sono infilato le vecchie mizuno e sono uscito a correre. Non è un bel periodo nel mio rapporto con la corsa, dopo un infortunio ho messo su un sacco di chili e le gambe non girano. Adesso corricchio solo un paio di volte a settimana con tempi sempre ben al di sopra dei 5 minuti canonici al chilometro che separano un ritmo di corsa accettabile dal ciabattare.
Sarà stata l’aria fresca delle sei, sarà stato il primo lungo tratto di discesa che mi consentiva un discreto ritmo, sarà che avevo lasciato a casa l’iphone con l’applicazione che interrompe la musica ogni chilometro per dirmi quanta strada ho fatto, quanto ci ho messo, chiedermi se voglio un applauso d’incoraggiamento dai miei amici su facebook, sarà che correvo e basta pensando che correre fa bene alla creatività, sarà che annusavo l’aria di luglio, sarà stato così che ad un certo punto la spina si è staccata e me ne sono andato a fare un giro tra progetti, idee lasciate lì a metà, immagini e foto ritoccate e no, l’aria in faccia e pensieri strani e poi più niente.
Mi succede sempre più raramente di andare in trance correndo.
Peccato perchè è una bella sensazione, la mente si ripulisce, le idee vanno al loro posto e tutto diventa più leggero.
Scrivere, progettare, disegnare, cercare di mettere insieme qualcosa di innovativo, provarci almeno, avere a che fare tutti i giorni per lavoro con la propria creatività è pericoloso.
E’ una lotta contro le anse buie della quotidianità, dell’ovvietà.
Diventa indispensabile eliminare le tossine che finiscono per incrostare le sinapsi così come le articolazioni delle ginocchia.
Mi sono svegliato che correvo lungo il mio solito torrente, l’Agno ancora pieno d’acqua a metà luglio, inghiottito di colpo da una schiera di ciclisti irriconoscibili dietro ai caschi e alle lenti a specchio mentre una bella ragazza con un body da triathlon arancione mi superava e volava via.
Correre fa bene alla creatività!
Fatevi un regalo nei prossimi giorni di vacanza, e poi tutti i giorni dell’anno, provate a correre, non importa se lo faremo tutti un po’ da tapascioni, l’importante sarà respirare e pulire la mente e magari andare ancora in trance e svegliarsi pronti a fare ancora mille corse lungo i sentieri della creatività che percorriamo insieme tutti i giorni.

CREATIVITA’ E PERFEZIONISMO PATOLOGICO

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Il perfezionismo patologico puó essere il peggiore dei mali per un creativo. Blocca, ingessa, distrugge.

Chiunque produca qualcosa di creativo, nel lavoro delle imprese, nell’artigianato, nel lavoro dei campi o in officina, preparando cibi speciali, vini naturali e abiti splendidi o solo divertenti e ancor di più chi fa della creatività tout court il suo lavoro, tutti sappiamo che spaccare il capello in quattro è da stupidi!
Non che fare le cose per bene sia sbagliato. Anzi! In mezzo ad un mare di pressappochismo un po’ di determinazione a cercare il risultato migliore possibile fa la differenza.
Ma appunto, fare il meglio possibile.
Non inseguire la perfezione assoluta.
Se sto disegnando una sedia é normale che sotto sotto ho voglia di disegnare la sedia più bella del mondo, quella più semplice da costruire, che costi niente e sembri fatta d’oro. Sciocchezze!
Mi scorrono davanti tutte le sedie piú belle del mondo: la Superleggera di Ponti, la Plia di Piretti, quelle della Castelli per Kartel, e via così passando per Stam, Breuer, Mies, Le Corbusier, Rietveld…
Per fortuna non mi capita più di imbambolarmi a pensare a tutte le meraviglie inarrivabili del design del novecento. Sono guarito dal perfezionismo patologico. Forse è normale lasciarsi intrappolare a vent’anni ma poi passa.
La fregatura più grossa è aver sempre paura di sbagliare visto che senza sbagliare non si fa un passo oltre il proprio naso e non si produce niente di nuovo.
Il tempo è la medicina contro il perfezionismo patologico.
Tempo per fare esperienza, per crescere, per conoscersi, per limitare la presunzione.
Il Tempo che pone il limite da rispettare oltre il quale non si può andare.
Il toccasana per la creativitá sono i tempi ben definiti, le scadenze, i clienti incalzanti che definiscono i limiti.
Troppo spesso il meglio é nemico del bene! Senza porsi limiti di tempo si finisce per pretendere di far sempre meglio e non si fa mai niente.
La creativitá ha bisogno di scadenze precise, di lavoro notturno, se necessario di ansia. La creatività ha bisogno di esercizi conclusi, di opere finite, abbandonate al giudizio del pubblico per andare oltre e ricominciare con qualcosa di nuovo.

10 IDEE PER ARREDARE

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10 idee per comporre lo spazio in cui ci muoviamo (per arredare casa, ufficio, negozio, show-room, stand, albergo, bar, ristorante…) senza ripetere continuamente la stessa orribile cosa.

Ideona uno – Andiamo da un professionista serio! No, ok, scherzavo… iniziamo davvero adesso…

1    Vietato appoggiare i mobili ai muri. Devono stare ben in mezzo alle stanze.

2    Ruotiamo ogni cosa evitando ogni possibile  ortogonalità.

3    Vietata ogni simmetria!

4    Decontestualizziamo! Parolaccia! La libreria va in cucina e il letto in soggiorno vicino al forno, se il bagno è grande potremmo metterci un tavolo per 12, tipo “La Grande Bouffe”. 

5    Coloriamo! Una stanza tutta rossa e una tutta nera. Una verde e l’altra blu. E quando ci gira mescoliamo tutto!

6    Usiamo una gran quantità di specchi, roba da sembrare al lunapark. Ma può essere la cosa più seria del mondo!

7    Illuminiamo in modo creativo, troppo e troppo poco. Finestre immense e feritoie da vedetta. Chiarori lattei e lame taglienti. Letti e tavoli bianchi dentro stanze buie squarciati da fendenti di sole. Specchi, acqua, riflessi in continuo movimento. Schermi tv b/n abbandonati per caso in corridoio.

8    Decontestualizziamo di nuovo! Rubiamo panchine semidustrutte e iper-graffite dai giardini pubblici e mettiamole nella nostra sala d’attesa da avvocati penalisti. Asfaltiamo lo studio! Tiriamo righe bianche che ci aiutino ad attraversare il soggiorno. Freghiamoci una fontanella di ghisa finto ‘800 della Neri da infilare in un angolo della cucina hi-tec.

9    Compriamo 100 o 200 tavolini LACK da 5 euro All’IKEA. Dieci o venti per ogni colore e componiamo tutto quello che ci viene, scaffalature immense, tavoli, sedute, letti, banconi, trincee, passerelle, espositori, lampade…

10   Seguiamo pari pari i consigli dell’architetto pubblicati su BravaCasa di ottobre 1962 o di aprile ’84. bisogna cercare i pezzi originali e fare una stanza anni ’30 e una tutte plastiche, l’altra marmi e legni, una decò e l’altra post-modern, un’altra…

Ovviamente è necessario seguire le 10 idee alla lettera perché funzionino. Meglio se tutte assieme.

In caso di contrarietà o dubbi chiamare per una consulenza gratuita.

Si vende che è una bellezza

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Un prodotto curato, ben vestito si vende che è una bellezza!
Tutti abbiamo qualcosa da vendere tutti i giorni. Se siamo aziende produttrici le nostre merci ai negozi, se siamo negozianti una certa gamma di prodotti, se siamo artigiani la nostra manualità e la nostra esperienza, servizi se offriamo servizi, se siamo professionisti le nostre competenze.
Tutti vendiamo noi stessi.

E la mattina prima di uscire di casa tutti ci diamo un’occhiata allo specchio per garantirci che la nostra immagine corrisponda a quello che vorremmo comunicare di noi, da Miss Mondo al Gobbo di Notre Dame funziona più o meno così per tutti.
A parità di prezzo e con le stesse qualità intrinseche, gli oggetti, i servizi, e le professionalità che si offrono in modo più curato o mostrando un’immagine più appropriata vendono molto di più.
Direte che è ovvio.
Mica vero!
Basta fare un giro tra le bancarelle del mercato per rendersi conto che questa consapevolezza non appartiene a tutti. Basta guardare le vetrine dei negozi, alcune curate in modo perfetto in cui il prodotto balza letteralmente fuori, altre disastrate che se non ci fossero sarebbe meglio.
Basta navigare tra i siti internet delle aziende per vederne di cotte e di crude. Tra i tantissimi siti ben fatti, aggiornati, dalle splendide immagini e dai contenuti allettanti, si incontrano reperti archeologici e grafiche traballanti, testi scritti come pensierini delle elementari ma con paroloni altisonanti, immagini come santini sbiaditi.
I prodotti poi sono vestiti in tutti i modi. Ci sono oggetti che vengono proposti in confezioni meravigliose e altri, della stessa categoria, che vengono buttati sul banco nudi e crudi, semiagonizzanti. 
Sappiamo tutti quanto sia importante un packaging appropriato, accattivante, che qualche volta addirittura ci sorprenda per l’invenzione, la grafica, i materiali inusuali, scatole, carte, shopper, etichette, foglietti delle garanzie con le istruzioni, nastri, velluti e rasi, cartoni speciali e plastiche stampate, estruse o soffiate.
Un bel packaging fa metà della vendita, conferma, esalta o distrugge le qualità dell’oggetto che contiene.
Così per l’immagine delle aziende.
Investire in design e comunicazione paga. E’ l’essenza dell’azienda se diamo per scontate le caratteristiche qualitative dei servizi e dei prodotti che si offrono.
Un prodotto funzionale, progettato bene, ricco di contenuti innovativi, dalle innegabili qualità estetiche si vende che è una bellezza! Se poi lo si comunica con cura, con testi e immagini appropriate vestendolo con un packaging che ne enfatizza il fascino ed infine esponendolo in uno spazio corretto e con la giusta luce, il gioco è fatto!
Meglio una cosa utile e bella che una inutile e brutta, diceva un noto personaggio televisivo di qualche anno fa.
Ovvio! Ma mica tanto!

 

QUESTIONE DI STILE

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Progettare un oggetto con una propria personalità è una questione di stile.
Cosa sará mai questo stile?! Lo stile é fatto di segni riconoscibili, di colori, di forme, di un insieme di simboli che appartengono ad un gruppo sociale, ad un territorio ad un certo periodo storico.
Barocco, Gotico, Rococó, Luigi XVI, Impero, Liberty, Biedermeier, Decó, Moderno, Pop, e poi chi piú ne ha piú ne metta, tutta questione di stile!
Non é architettura, non arte, neanche arredamento o design, non sono accessori o moda. Sono tutte queste cose messe insieme che in un certo momento assumono certe forme, una certa decorazione o nessuna decorazione, certi colori e certi materiali, un vento colorato gonfio di un profumo preciso che sparge ovunque certi segni riconoscibili.
Come sarebbe bello, tranquillizzante, semplice avere uno stile a cui attingere per disegnare case, divani, piatti, sedie, scarpe, abiti, gioielli, pettinature.
Ma ce l’abbiamo! La moda, no?!!! Ecco! Tutto quello che abbiamo é un venticello che ad ogni stagione cambia direzione, colore, forma.
Valori: zero!
Forme persistenti: zero!
Decorazioni condivise e riconoscibili: zero!
Il nostro stile é quello liquido e coloratissimo in cui tutto e il contrario di tutto vanno sempre benissimo!
Tutti possono inventarsi uno stile.
Renderlo esclusivo, personalissimo e affermarlo facendo spuntare ovunque imitatori. Basta crearsi delle forme, assumere dei colori, sposare un certo sapore, restare fedeli ad un mix preciso di segni che ci siamo scelti.

Ci vuole un progetto! Mai come in questi tempi liquidi vale la pena cercare di averne uno.

Rubare una copia sbagliata di una poltrona barocca e coprirla con una texture colorata presa da un paesaggio di Seurat, o con le geometrie di Mondrian.
Trasformare un orecchino Decò in un oggetto hi-tec o in un monocromo pop.
Fingere un’antica scrittura mesopotamica per decorare il piano di un tavolo.

Contaminazione! Questo è lo stile del nostro tempo.

Ci vuole cultura, coraggio, creatività, per mescolare il sacro con il profano, sensibilità lontane secoli e migliaia di chilometri. E’ una questione di stile nuova, che torna a investire i modi di vivere, uno stile fatto da un’infinità di microcosmi che si incontrano, si scambiano informazioni, si fondono dando vita a nuove filosofie, nuovi cibi, nuove sensibilità, creando oggetti mai visti prima.
Siamo un po’ allo sbando, persi in una fantastica discarica di tesori in disuso, un immenso patchwork in cui è impossibile individuare uno stile con le vecchie caratteristiche che ogni stile ha sempre avuto prima.
In questo oceano ondoso ogni azienda ha la necessità di mostrare un proprio stile, la forza di distinguersi nel grande patchwork, come una pezza un po’ più grande, o più colorata, o fatta di un materiale strano, o lucida, magari dalla superficie ispida, o con una forma diversa da tutte le altre. 
E’ molto più di una questione di stile!

Nell’immagine – Poltrona Proust di Alessandro Mendini: riedizione Geometrica.

W L’ITALIA, fare branding per l’italian style

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Altro che Italian Style!
Tiriamo fuori il tricolore e gridiamo W L’ITALIA ogni quattro anni solo quando arrivano i mondiali di calcio.
Anche le imprese che esportano la nostra produzione più raffinata sventolano la bandiera italiana piuttosto raramente, non mettono il simbolo dell’italianità in evidenza sui loro prodotti, sul packaging, sulla stampa, sui loro siti internet e francamente sembrano fregarsene di affermare il valore della creatività italiana nel mondo.
Nonostante il riconoscimento assoluto dei nostri marchi più prestigiosi, non siamo riusciti a creare un’aura commerciale intorno al  nostro tricolore.
Non un marchio del Made in Italy che già esiste e non ha nulla a che fare con la bandiera ma un uso creativo diffuso e diversificato del bianco, rosso e verde che esprima la gioiosa affermazione della creatività italiana e dell’italian style.
Ok, non è facile con un simbolo così poco grafico, così simile a tanti altri.
L’esempio più eclatante di un uso commerciale diffuso del vessillo nazionale è l’Union Jack, proprio la bandiera dei nostri avversari di domenica notte. La “perfida Albione” ha piantato la sua bandiera in tutto il mondo più con la musica dei Beatles e dei Rolling Stones che con le conquiste coloniali. La bandiera inglese è diventata un simbolo dissacrante di libertà e creatività negli anni sessanta diffondendo ovunque il rock esplosivo di Mick Jagger e la moda trasgressiva di Mary Quant. Anche la “Stars and Stripes” americana è diventata un simbolo grafico, un vero e proprio brand commerciale sull’onda dell’egemonia culturale dilagata in occidente dopo la seconda guerra mondiale.
Ora, con lo spostamento repentino del baricentro commerciale mondiale verso oriente, c’è una inaspettata richiesta di storia, di cultura, di un innato senso estetico, di un italian style di cui siamo immeritatamente portatori. I nostri brand storici come Ferrari, Armani… insieme alle giovani aziende emergenti dovrebbero usare più spesso il tricolore per identificare la creatività diffusa che ci contraddistingue.
Tricolore come impronta di cultura, storia e bellezza necessarie al mondo non come icona nazional–popolare autoreferenziale. Giochiamo con i nostri simboli, lasciamoceli rubare, facciamo sì che un’onda lunga di creatività tricolore affermi l’Italian Style inondando il mondo a partire ancora una volta da là dove sorge il sole e ci amano di più!

PS – Con l’Inghilterra vinciamo noi 2 a 0.

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