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DESIGN E COMUNICAZIONE, TUTTO CAMBIA

 

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Design e comunicazione, tutto cambia.
Il design moderno, tutta la creatività moderna sono segnati dal rifiuto della decorazione.
Buttati in cantina i merletti della nonna, piallati i riccioli e ori dai buffet e dai controbuffet, raddrizzati i caratteri tipografici, bastoni senza più grazie, tolte modanature, bugnati e tutte le incrostazioni possibili dalle facciate dei palazzi ci siamo ritrovati a contemplare un vuoto che ai più non è piaciuto molto.
Il moderno non viene vissuto come l’affascinante affermazione della tecnologia, la rarefazione essenziale delle forme, lo studio di elementi  funzionali e pratici,  ma come freddezza, povertà, vuoto.
Per questo costruiamo chalet di montagna magari con un bel paio di palme in giardino.
Per questo siamo finiti a vivere circondati da un mare di roba caratterizzata dal non avere nessuna particolare caratteristica estetica, e diciamolo… nessuno stile! Che parolaccia da secolo scorso.
Telefonini ultrapiatti, lucidi e lisci come saponette studiati da designer multimilionari, televisori ultrapiatti che tocca leggere le istruzioni per trovare il pulsante ON–OFF, automobili levigate come frecce che ci chiedono dove vogliamo andare…  un mondo di tecnologia mescolato ai centrini della nonna che sfondate le porte delle cantine si sono riappropriati dei salotti buoni e già che c’erano hanno preso le forme di porta telefonini rococò, abat–jour con le farfalle e un’infinità di ghirigori che non hanno più memoria dei codici estetici dell’ottocento e si reinventano con risultati a volte sorprendenti .
In questo baillamme di cose belle e brutte, antiche e moderne, falso–antiche e quasi–moderne–ma–non–troppo se un’azienda cerca la propria identità deve iniziare un’analisi non molto diversa da quella psicanalitica… auguroni e buon viaggio! Perfino le parole assumono forme e significati ogni volta diversi. Scritture semplici, lineari e dirette si mescolano a vagonate di superlativi assoluti e tutto diventa ad un tratto… petaloso!
L’Accademia della Crusca si sveglia e come in un racconto di De Amicis il mondo è tutto “petaloso”, c’è anche la mestrina dalla penna rossa e piccoli scrivani ferraresi.  E  pensare che quando Forattini definì “risparmiosa” la Fiat Uno la sua pubblicità venne definita… vomitosa.

Tutto cambia.

Occorrono nervi saldi e la capacità di guardarsi intorno, buon naso e la capacità di contemplare l’errore come un compagno di viaggio. L’importante è intraprendere  il proprio cammino intuendo quando è necessario cambiare e agendo rapidamente.
Dalla decorazione ottocentesca, dai centrini alle parole e alle frasi di una scrittura arzigogolata al tritatutto della nostra quotidianità occorre sapersi mostrare e farsi riconoscere con una forte identità.
Nuovo Design? Nuova immagine aziendale? Nuova scrittura, slogan, fotografia… nuova comunicazione?
L’importante è che sia la nostra comunicazione!

Troviamo quella giusta insieme.

PERSONALIZZARE IL PRODOTTO

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Mai avuta voglia di un tatuaggio?
Così tanto per personalizzare il bicipite o la caviglia. Quando ci abbiamo pensato, a prescindere dalla localizzazione, quello che più ci interessava era la sua unicità.
Un disegno che fosse solo nostro.
Magari il tatuaggio poi non l’abbiamo fatto ma riversiamo continuamente la nostra voglia di identità su tutto quello che compriamo. È una mania!
Una voglia di affermazione dell’ego che avevano anche le nostre nonne quando ricamavano baulate di corredo con le iniziali di famiglia. Adesso… altro che iniziali sulle camicie, che tra l’altro non sono mai passate di moda.

La tendenza alla personalizzazione investe tutto il product-design.

L’arredamento, soprattutto nel contract, è un tripudio di personalizzazioni ad hoc. Il logo e i colori dell’hotel o dell’azienda occhieggiano dalle cerniere delle ante, dalle corsie dei cassetti  per esplodere ovunque su letti, specchi, tavoli e poltrone direzionali. Borse, scarpe e accessori non sono certo da meno nell’offrirci tutte le possibili variabili tra cui scegliere come identificarci. Siano pezzi extralusso, fashion o sportivissimi non mancherà mai la possibilità di aggiungere quel quid che dirà a tutti la sua appartenenza. Certo la si potrà urlare come sui barattoli della Nutella, sulle sinuose forme delle Coca–Cola e sulle fasce colorate ai bordi delle nostre Nike o si potrà più discretamente solo accennare scegliendo un dettaglio seminascosto ma bisogna poter dire…
“Questo è mio!”

Biciclette, occhiali, computer, smartphone, tutto deve avere un nostro segno inequivocabile. Le cover dei telefonini stravolgono il lavoro di designer geniali con chili di glitter, colori fluo, e le immagini di introvabili manga giapponesi esibiti più dei gioiellini tecnologici che nascondono.

PERSONALIZZARE, PERSONALIZZARE, PERSONALIZZARE!!!
È un imperativo categorico.
Gioielli che si adattano agli stati d’animo e al look di chi li indossa. Incredibili creazioni da usare in tanti modi diversi. Oggetti che il cliente può comporre come crede rendendoli di fatto unici e assolutamente personali.

Ma è proprio vero che il cliente vuole sempre poter trasformare a sua immagine e somiglianza abiti, gioielli, mobili, scarpe da ginnastica e posate d’argento?!
Qualche volta val la pena riflettere sulla paura diffusa di dover essere creativi a tutti i costi e trovare il modo di rendere semplice al cliente l’affermazione della propria identità e dei proprio gusti.

Chiamami che ne discutiamo insieme.

TUTTI IN FIERA

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Fiere importanti in vista all’inizio di questo 2016.
Si accavallano tutte all’inizio dell’anno. Iniziamo con VicenzaOro dal 22 al 27 Gennaio preceduta di pochissimo da IMM, la grande rassegna del mobile a Colonia dal 18 al 24 e in contemporanea a Maison Object a Parigi dal 22 al 26 Gennaio e il SIGEP a Rimini con dolci e Gelati dal 23 al 27, per chiudere il mese con HOMI a Milano dal 29 al 1 Febbraio. A febbraio dal 14 al 17 a Milano va di scena la pelletteria, borse e scarpe con MIPEL e MICAM. Dal 17 al 24 marzo BaselWorld attirerà l’attenzione a Basilea di tutti i gioiellieri del mondo. Ad Aprile praticamente in contemporanea Vinitaly a Verona dal 10al 13 e il Salone del Mobile a Milano dal 12 al 17 chiuderanno la primavera.
Scusatemi se ne ho tralasciate di importanti per voi.

Fiere, stand, identità aziendale da proporre in modo forte e coordinato.
Le esposizioni internazionali spronano le aziende di ogni settore a guardarsi allo specchio e ad affilare gli strumenti di marketing per presentarsi al pubblico nel modo più convincente possibile.

E’ un lavoro immane, lo conosco bene!

Si approfitta dell’evento fieristico per presentare le ultime collezioni, il prodotto di punta, il brevetto, la lavorazione esclusiva.
Il prodotto è il centro dell’immagine aziendale, se comunica da sé ci risparmia un sacco di fatica.

E  poi fotografie, grafica, stampa, copywriting… il depliant, la brochure, il catalogo generale o della singola collezione, il pieghevole che illustra le specifiche del prodotto o fa  sfavillare la sua immagine patinata, insomma la carta stampata vuole ancora il suo tributo d’inchiostro che internet ha solo moltiplicato a dismisura.
Tutto poi rimbalza sul sito e da lì sul blog, su Facebook e su tutti i social dov’è obbligatorio esserci cercando di mostrare il lato più coinvolgente e innovativo dell’azienda. Ecco allora Newsletter, post a go–go, countdown come fossimo a Cape Canaveral, e inviti che impazzano e percorrono le mailing–list di mezzo mondo.

Brainstorming infernali per tirar fuori dal cilindro il gadget perfetto per farsi ricordare… elegante, utile, allegro. Una piccola sorpresa per far dire – Lo voglio! –  senza dilapidare un capitale.

E dopo tutto questo e molto altro ancora c’è lo stand, il luogo in cui tutto si concentra in quei pochi giorni di visibilità e confronto tra competitor. Il momento in cui ognuno mostra il meglio di sé, gioielli, arredi, tecnologia, prelibatezze, servizi di ogni genere e tanta, tanta  moda.
Per questa prima metà dell’anno i giochi sono fatti, molti stand sono già pronti. Servirà fare attenzione durante le giornate di lavoro se le scelte fatte siano da confermarsi o no. Varrà la pena guardarsi attorno e testare sia la funzionalità che l’impatto emotivo del proprio allestimento.
I giorni in cui si vive la fiera sono il momento migliore, oltre che a fare affari, anche per mettere a punto la macchina per gli appuntamenti che seguiranno.

Ci vediamo in Fiera!

AUGURI BANALI

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Lo so, gli auguri sono banali!

È  quasi Natale, tra un attimo è Capodanno e tutti stiamo inviando regali e gadget, cesti natalizi e biglietti d’auguri o semplicemente e–mail a tutti, sms e whatsapp e messenger e segnali di fumo con tanti, tanti auguri.
La banalità è in agguato!
Noi, attenti e abilissimi, la schiviamo con mossa d’anca da twist e ci ritroviamo a inventare frasi strampalate e battute originali che neanche i polli…  L’originalità a buon mercato gioca in tandem con la banalità e dove l’una viene saltata l’altra entra a piè pari sugli stinchi.
Se scrivere le solite frasi di circostanza fa capire ai nostri destinatari quanto poco ci interessi di loro, sostituire la banalità con  eccentricità gratuite e invenzioni di bassa lega aggiunge soltanto al disinteresse l’ingombrante e fastidiosa ombra del nostro ego smisurato.

E allora?!

Saltiamo a piè pari auguri Natalizi e carabattole di contorno rischiando di passare per menefreghisti smemorati o addirittura per maleducati?
Direi di no e infatti sono qui a farveli gli auguri.
Proverò a non essere banale o stupidamente egocentrico.
Sto scrivendo alla maggior parte di voi che sanno di me solo per questa newsletter, a qualcuno che ho incontrato in azienda o  tra gli stand delle fiere e ai pochi che mi conoscono bene perché lavoriamo insieme da anni.

Per me è stato un anno duro come mai e da quel che ho visto in giro è stato così per molti. Il fatto di essere ancora in piedi e di lavorare con voi è già un gran bel risultato.
Si dice…  basta la salute! Ecco! Questa è una banalità che dico volentieri e spero condividerete con me.

Auguro a tutti di inventare un gioco nuovo ancora ogni giorno!  
Vorrei che fossimo così impegnati e seri da riuscire a non prenderci troppo sul serio!
Almeno durante le feste speriamo di riuscire a fare quel che ci pare, quello che ci piace.

Io spero di fare qualche corsa, di leggere, scrivere e dipingere, di fare un salto sulla neve in montagna con le persone a cui voglio bene.

Certo che le feste e le ricorrenze sono proprio banali!

È vero però  che sono proprio certe banalità a permetterci di sentire le stesse cose per poterle comunicare.

Allora…  AUGURI banali, previsti e aspettati a tutti.

PAZZA IDEA

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Che idea rubare il titolo a Patty Pravo!
L’idea è quella cosa che viene prima di tutto. Semplice no?!
Non ho nessuna intenzione di filosofeggiare, anzi sto parlando di una cosa molto concreta e utile.

La cosa più utile e necessaria per tutti quelli che hanno un’impresa, un’attività qualsiasi.

Quante idee abbiamo cercato nell’ultimo anno?
Almeno una di queste di sicuro.

Come si chiamerà la mia azienda, il mio bar, la mia società… e quale sarà il suo marchio? Non sembra ma abbiamo spalancato le porte a una valanga di altre domande.
Sarà un acronimo o un nome con un significato compiuto? Userò il mio nome o un nome di fantasia? E da qui un’altra infinita serie di domande su questioni quali l’originalità, il copywriting, l’uso del nome scelto nel web, la pronuncia e il significato in altre lingue… e altro ancora.

Dovendo poi scegliere il marchio, l’insegna, il logo… chiamatelo come volete, quel segno grafico normalmente composto da un disegno di lettere e immagini riconoscibili, ecco che tante altre domande ci affolleranno i pensieri. Colori, forme, coerenza,  la brevettazione, i risultati di stampa, le modalità d’uso sui vari mezzi e supporti…

Fatto che abbiamo risposto a queste domande l’altro ieri o cinquant’anni fa, queste tornano tutti i giorni a riproporsi investendo nel più profondo il nostro lavoro.

Mille domande sulla forma dei nostri prodotti, il famoso “design”, sui colori che scegliamo, sulle forme del packaging e le modalità di presentazione, sulla grafica del nostro catalogo, la carta, i font… e poi il sito web e le parole giuste per raccontarci. Sia che produciamo sedie o brioches… camicie, lampade o biciclette… che  abbiamo un bar o una tintoria, la storia non cambia.

Avete fatto caso che non sono tanto le risposte la cosa importante?
Difficile darsi risposte, a volte anche semplici, se non ci si pone la domanda giusta.

Torniamo allora all’uovo e alla gallina… alla nostra pazza idea che abbiamo dimenticato là all’inizio.

Non credete che sarebbe tutto molto più semplice, intendo porsi le domande e darsi le risposte, se avessimo una sorta di grande idea madre da cui discende tutto?

Se avessimo deciso per esempio che la nostra attività è “ECOLOGICA”diretta emanazione del ciclo vitale della natura, che i nostri colori sono i colori delle stagioni, che i nostri materiali saranno naturali, ecc…

Oppure amiamo da pazzi lo sport e allora ci viene bene scegliere i colori le forme e i linguaggi tra le mille opzioni offerte da quel mondo.

Oppure ancora, siamo innamorati della pulizia delle forme, del rigore, dell’essenza delle cose, abbiamo deciso che gli unici colori sopportabili sono il bianco e il nero possibilmente entro quadrati o cerchi.
Se adoriamo l’usurata sentenza di Mies Van Der Rohe “Less is More”, allora sarà facile fare scelte anche molto difficili.

In un mondo in cui per comunicare serve essere prima di tutto riconoscibili, non sarebbe male riflettere su chi e come dorremmo essere.
Così poi tutto diventa più semplice.
Non importa se stiamo appena iniziando a pensare alla nostra impresa o se invece stiamo progettando la nostra ennesima collezione.

COERENZA
Ecco!
Non proprio così semplice eh!
Fatta una scelta di campo, bianco rosso o nero che sia, sportiva, ecologica o minimal, tanto per usare parole ugualmente consumate dall’uso, non sarà una passeggiata scegliere sempre in modo coerente.

Nel caso servisse un aiuto sono qua.

PAROLE E IMMAGINI

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Parole e immagini sono sempre state il centro della comunicazione.
Dalla santa inquisizione alla pop-art l’immagine ha sempre trovato nella parola scritta una fedele alleata e viceversa.
Mai come oggi però hanno formato un connubio inscindibile.
Sto scrivendo queste poche righe e giá sto pensando a quale immagine potrá illustrarle meglio. Penso ad un post su Facebook e non riesco ad immaginare la mia foto o il mio video senza due righe di commento o una didascalia lapidaria. Tutto contrassegnato dall’hashtag giusto, ancora parole, parole che etichettano ed è fondamentale trovare quelle giuste, inventarsele se necessario.

Fino a qualche anno fa era importante giocare bene il connubio tra parole e immagini per comunicare l’azienda sui grandi poster autostradali e sui paginoni dei quotidiani e c’era il tempo per scegliere lo sfondo, le parole, il carattere con cui scriverle, la grafica che faceva risaltare tutto. Oggi  é mille volte più importante comunicare la propria attivitá, scegliere parole e immagini, e tocca farlo dieci, venti volte al giorno spesso senza nemmeno il tempo per capire l’effetto che farà. A volte non ci accorgiamo nemmeno di farlo!
Rispondiamo ad una mail, due righe e alleghiamo una foto per farci capire e non stiamo lì a pensare al tono che abbiamo usato, se l’immagine era quella giusta davvero o  si poteva fare meglio. Ma nessuna paura… Non abbiamo neanche il tempo di sentire il fruscio della mail che sfreccia che siamo giá pronti a rifarci scegliendo un’immagine da postare su Instagram – il re dei social oggi – decidere se aggiuncerci un filtro o postarla così… nature, scriverci due cose e aggiungerci una fila di hashtag che non finisce più. Su Facebook lo scritto diventa piú lungo e la foto deve fare lei stavolta il commento e…  possiamo anche dimenticarci degli hashtag. Un Tweet non lo vogliamo fare di corsa? Certo è complicato! Ci vuole un sacco di tempo ad essere così brevi. Concentrare tutto in 140 caratteri dando la sensazione che se avessimo avuto più spazio allora sì che sareste rimasti lì incollati a leggere… Intanto scriviamo la battuta fulminante o il commento appropriato lasciando al link sotto tutto il lavoro sporco. E anche qui una fotina piccina non ce la mettiamo?
Fatto tutto  ripensiamo alla newsletter che abbiamo inviato ai nostri cari settemila lettori. Riguardiamo la grafica, la copertina, il titolo, ci perdiamo a rileggerla. Quasi ci vengono i lucciconi per come siamo stati bravi e invece manca mezzo paragrafo alla fine che becchiamo due strafalcioni. Non li avevamo visti prima e adesso non si possono più correggere.
Dura curare la propria immagine senza sbavature. Ma non facciamoci troppi problemi, tra dieci minuti avremo giá modo di rifarci, altre parole e immagini da scegliere, da scrivere, da scattare.
Una bella foto, due parole giuste e il gioco è fatto!
O no?!

NB. Ne sapete di certo mille più di me, ma ci fosse anche uno solo con qualche dubbio, qualcuno come me insomma, visto che io di dubbi ne ho a milioni… Ecco! Chiariamo cos’è ‘sto hashtag.
L’hashtag è una parola anticipata dal carattere cancelletto, tipo #instagram, per fare un esempio banale, o #selfie per dirne uno che abbiamo usato tutti. L’hashtag serve per contrassegnare un post, in particolare su Instagram e su Twitter ma un po’ dappertutto ormai.
Così facendo, usando gli Hashtag più diffusi nei social o inventandosene di nuovi, cerchiamo di ottenere un po’ di visibilità, cuoricini su instagram, retweet e tante condivisioni in più.
L’importante è scegliere quelli giusti.

Fin qui parole e immagini per interagire e cercare di creare una propria immagine, un’identità riconoscibile.
Essere social davvero è tutta un’altra cosa.

Leggi anche
SCRIVERE PER IL WEB

FIERE DELLE VANITÁ

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Periodo di esposizioni e fiere che si accavallano.
Appena finita Vicenza Oro Fall  perfettamente sovrapposta alla parigina Maison-Objet e siamo già al Mipel e all’HOMI a girare come trottole.
Percorrendo i corridoi dell’esposizione vicentina all’improvviso  mi sono sentito travolgere da un’ondata violenta di vuoto, di assenza, di inutilità.
Per carità! Bellissima fiera! Stand fascinosi… materiali pregiati, grandi dimensioni…
Nessuna novità interessante, nessuna sorpresa, niente da comunicare.

Ma non può essere!
Non è possibile che grandi aziende e piccoli artigiani siano accomunati da così poca voglia di innovare. Gli stand a VicenzaOro erano tutti dominati, come sempre, dallo stesso pensiero: “più grande, più lucido, più glamour…”
E quando lo stand finalmente è grandissimo e lucidissimo ci si guarda soddisfatti l’un l’altro misurando le differenze in millimetri e laccature.
Quanto costa essere tutti più o meno uguali?

Certo ci sono le differenze eh! Non è che sono orbo! Ma sciocchezze… dimensioni, forme, curve, materiali, colori… tutto usato con lo stesso scopo, cercare di mostrarsi belli, ricchi, importanti, lussuosi… almeno un po’, nel piccolo e nel grande la stessa cosa.
Nessuno che scelga strade diverse, originali, che mostri personalità, idee, invenzioni.
Così per l’esposizione come per le collezioni.
Nei corridoi inevitabilmente si respira un’aria stantia.
Fiere delle vanità o delle intenzioni vane, perché ad usare tutti lo stesso linguaggio difficile far sentire l’unicità della propria voce.
Eppure sarebbero infinite le possibilità di affermare l’identità della propria azienda. Dargli spessore, immagine, importanza, forza. Basterebbe un’idea e poi magari prendere un sentiero meno affollato, magari meno costoso, più creativo e divertente.
E non vale solo per VIORO e la gioielleria, ma per l’arredo, la casa, il food…  in ogni settore si cammina come in processione tutti vestiti a festa… e non si sa bene perché!

Leggi anche: “Uno Stand fantastico a VicenzaOro”

Le forme del cibo

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Mi è capitato in mano un articolo sulle ragioni delle forme del cibo.
Testo colto che prendeva spunto dalla storia della cucina.

Mi ha fatto sorridere pensando a una lezione ad Architettura tanto tempo fa. Mentre si parlava di packaging, di pomodori geneticamente modificati per crescere già di forma cubica, belli facili da impilare, il mio amico e compagno di corso Gio dal fondo dell’aula aveva interrotto la lezione dicendo che la stessa cosa si stava provando a fare con le galline… per le uova.
Attimo di titubanza dell’insegnante… e risata generale con relativo “vaffa” del prof all’indirizzo dello spiritosone là in fondo.

In tempi in cui il pubblico si orienta verso cibi bio e le imperfezioni che ci regala la natura sono ben viste come testimoni di qualità, c’è tutto un mondo che ruota intorno all’invenzione di nuove forme di cibi, di piatti, di strumenti per cucinare e alle immagini con cui comunicare tutto questo.
Se perfino la matematica e i frattali ci chiariscono la  forma del broccolo che abbiamo nel piatto non sembrerà strano che le aziende più interessate al social marketing, al design, al packaging e a comunicare le loro nuove leccornie siano proprio quelle della produzione di alimenti.

Va da sé che schiere di fotografi, architetti, designer, art e copy si sono gettati su questo immenso mercato.
Da Giugiaro che per primo fa il restyling ai maccaroni perché prendano meglio il sugo, ai packaging avveniristici di uova, latte, burro e affini. Immagini tanto patinate da intimidire anche Kate Moss che non riesce a mettere in ombra nemmeno la mozzarella.

Cibo da disegnare, fotografare, impacchettare, comunicare e perfino cibo da indossare.
In questa torrida estate da ghiaccioli strani dopo la mostra “La forma del gusto” al MART di Rovereto due anni fa si è appena chiusa “Gioielli in tavola” nel neonato Museo del gioiello in Basilica Palladiana a Vicenza. 
L’evento curato da Livia Tenuta e Viola Chiara Vecchi ha messo in mostra gioielli di ogni foggia legati al tema del cibo e della tavola. Gli spaghetti in resina di Gaetano Pesce, i blob ring e le Chocolate boule di Barbara Uderzo e tante altre immaginifiche chicche hanno riproposto il cibo e la cucina come splendidi giochi simbolici.

Ci risentiamo presto per parlare di design, packaging e scrittura…
Non solo riguardante il cibo.

Nel frattempo se vi piace potete leggere anche:
FOOD PACKAGING – STORIE DI GUSTO

 

Nell’immagine “posate d’artista” di Bruno Munari

DESIGN E COMUNICAZIONE

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Design e comunicazione dovrebbero andare a braccetto!

Sembrerà lapalissiano ma è molto più facile comunicare un oggetto con un progetto interessante alle spalle, ricco di contenuti,  magari sviluppato pensando che poi quel affare lì dovrà essere descritto, fotografato… che parlare, scrivere, fotografare, filmare un oggetto buttato là, nato da un progetto raffazzonato senza alcuna consapevolezza che poi dovrà essere comunicato.

Meglio progettare pensando già a dare visibilità ai punti forti del progetto. Va da sé che quello che stiamo progettando dovrà avere elementi di forte differenziazione, qualità evidenti, caratteristiche importanti su cui lavorare con la consapevolezza che quelli saranno i temi che useremo per dare risalto al nostro oggetto disegnandone il packaging, gli espositori, scrivendone, fotografandolo e descrivendolo in tutte le occasioni e su tutti i mezzi di comunicazione.

La funzionalità e l’ergonomia saranno importanti, ma dovranno balzare agli occhi. Il colore e la forma saranno gli elementi che la fotografia potrà usare con maggiore efficacia se avranno elementi di originalità evidenti. I materiali, i processi produttivi, il ciclo vitale dell’oggetto con le sue caratteristiche di sostenibilità, la sua utilità o forse la sua “inutile” bellezza… sono solo alcuni degli infiniti elementi che possono trasformare un oggetto in un vero e proprio mezzo di comunicazione per sorreggere la propria capacità di vendita e il successo dell’azienda che l’ha prodotto.

Perché tutto ciò avvenga occorre una scintilla, un’idea che caratterizzi l’oggetto in questione, che lo renda quanto più possibile unico nel panorama del suo mercato.

Qualche esempio in cui design e comunicazione hanno formato una accoppiata vincente?

SACCO, la poltrona di Zanotta disegnata da Gatti, Paolini e Teodoro nel 1968, un oggetto diventato protagonista di film e romanzi. Un’idea, un progetto così ricco di contenuti da continuare a produrre significati diversi in tutti questi quarant’anni.

La lampada ARCO, disegnata da Achille e Piergiacomo Castiglioni per Flos nel 1962, mette insieme materiali lussuosi, una forma elegantissima e soluzioni funzionali di dettaglio perfette. Un progetto rivolto ad  illuminare con poetica precisione. Certo!  Ma soprattutto “illuminato” dall’idea geniale di eliminare il vincolo dell’ ancoraggio al soffitto, tradizionalmente al centro della stanza, con la possibilità di spostare la lampada liberamente.
ARCO è ancora un punto di riferimento per il mercato dell’illuminazione.

Potremmo scriverne una lista infinita di oggetti, più o meno belli, più o meno funzionali e utili, tutti con quel quid che li ha trasformati in totem comunicanti. Oggetti che spesso hanno dato vita a un vortice creativo di continui rimandi tra design e comunicazione col risultato di moltiplicarsi in nuovi oggetti e nuovi messaggi.

Visto che viviamo in un mondo superaffollato di parole scritte, parlate, urlate, fotografie e immagini in movimento, riviste, libri, film, e il mare magnum dei Social Network che come una spugna assorbe tutto e lo moltiplica all’infinito, dovremo provare a dotare i prodotti che vogliamo vendere di una personalità che si possa comunicare senza dover ricorrere alla solita aria fritta!  

Pensiamoci mentre progettiamo.
Il primo strumento di comunicazione di un’azienda sono i suoi prodotti.

Scrivere il profilo aziendale

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Il Profilo Aziendale o il Company Profile, come volete, è quella mezza pagina dove scriviamo sempre le stesse cose.
Una volta stava a pagina cinque della brochure cartonata, poi si è moltiplicata sui pieghevoli e sulle cartoline ed è esplosa sulle home dei siti di quasi tutte le aziende.

Nonno Evaristo nel lontano 1895 aprì bottega in un sottoscala di via Dei Cardatori a…
Niente male eh?! In una riga avremmo risposto a piú della metá delle famose “five W’s” come in un film americano.
Invece spesso iniziamo a scrivere… “Siamo un’azienda moderna, giovane e dinamica, integrata, dalla solida struttura manageriale, leader indiscussa nella creazione, produzione e distribuzione di baratelle e tirapacchi sia maschili che femminili…” E  continuiamo “…la soddisfazione del cliente sta alla base della nostra filosofia aziendale…” Insomma ci incensiamo e tiriamo a lucido senza dire le cose essenziali, senza presentarci davvero.

In pochi abbiamo il coraggio di metterci la faccia nonostante ovunque dilaghino i selfie e di sequestri di persona, per fortuna, non si senta più parlare.
In pochi abbiamo il coraggio di dire… Eccomi qua! Son mi el paròn! E mostrare con la faccia quel po’ di carattere che ha fatto l’impresa. Una faccia sorridente o arcigna, ironica o seriosa col telefono in mano… Una faccia che dica qualcosa!

Proviamo a tirar fuori cose non banali… Con una faccia che se piove e tira vento o ci sono quaranta gradi come oggi e l’aria condizionata é andata a ramengo é comunque la faccia di uno che racconta la sua storia. Di quando, dove, come e perché… Certo! Ma anche di tante altre cose… Che corriamo all’alba lungo il fiume (lasciate perdere che son fissato!) o che daremmo un anno di vita per cambiare tutto. Raccontiamo dei mille successi ma soprattutto di quell’unica sconfitta che poi conta piú di tutto.

Usiamo un linguaggio diretto, semplice, raccontiamo un aneddoto, rifacciamoci a una canzone, a un film , un libro… Parliamo dei mille prodotti bellissimi, importanti, dei brevetti e degli attestati, ma più di tutto raccontiamo di quel sogno che ancora teniamo nel cassetto e che sará una sorpresa, un regalo…
E sicuro… la moglie, il marito, i figli…. La famiglia… ma che non sia per forza mulino bianco.

Perchè non raccontare che é iniziato tutto con un gran colpo di fortuna, per un’intuizione geniale… e poi la fatica di un milione di notti in bianco quasi a doverseli far perdonare.

Scriviamo il Profilo Aziendale come un racconto vero, che ci renda credibili e faccia venir voglia di incontrarci.

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