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Al tempo della modernità liquida.

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Cosa sono il lavoro, la creatività e la comunicazione nel tempo della modernità liquida?
Cambia tutto! La famiglia, l’azienda, la scuola, il tempo libero, la politica, la religione e tutto il resto si trasformano così velocemente che non siamo più in grado di capire  chi siamo e dove stiamo andando.
Non ci sono più abitudini consolidate e non ci parliamo più anche se ci diamo un sacco di mi piace su fb.
Viviamo due vite, una fisica e una virtuale. Vite che si sovrappongono, si dilatano e si staccano.
Niente ha più una forma precisa. Come l’acqua adattiamo la nostra presunta modernità a contenitori che cambiano forma in ogni momento. Brutto, bello, buono, cattivo, giusto, sbagliato sono concetti sempre più relativi.
In questa giostra priva di riferimenti chi si cimenta per lavoro con la produzione di oggetti, di parole e di immagini vive in un continuo stato di inadeguatezza.  La moda con il suo rincorrersi delle stagioni diventa il massimo della certezza. La felicità!
Tutto cambia e ogni cosa deve essere reinventata ogni giorno.
Plachiamo l’ansia che ci prende con surrogati di stabilità. Nuove mise, oggetti totem, tatuaggi, nuove religioni, diete, nuovi sport.
Le aziende più brave vendono felicità e ci assicurano che acquistando i loro prodotti avremo in cambio l’identità che desideriamo e la sicurezza aleatoria  che per una stagione potremo smettere di correre ad inseguire una nuova immagine di noi stessi.
Navigare la modernità liquida non è solo incertezza e corsa affannosa a ridefinire la nostra immagine. Creatività e comunicazione diventano stimolanti forme di espressione se accettiamo il rischio del cambiamento. Se facciamo nostra la diversità che diventa ricchezza e fuga dall’omologazione. Dobbiamo sperimentare il nuovo fino a rischiare d’apparire vecchi. Dobbiamo prenderci Il rischio di uscire dal web e incontrare le persone per strada. Cerchiamo di usare parole precise, dal significato chiaro. Non cediamo ad ogni piè sospinto alla spiritosaggine cretina, alla melensa  frasetta da cioccolatino che fa tanto “fans, friends and followers”.
Tutto si muove e dobbiamo reinventarci in fretta, ogni giorno, ma prima di affrontare il mare in tempesta leghiamoci saldi a qualche grosso tronco che galleggi sempre.  Manteniamo forti le nostre capacità critiche, cerchiamo una morale e diamoci qualche principio irrinunciabile.
Portiamoci qualcosa di vecchio in questo viaggio nella modernità liquida: un’emozione, qualche passione e un po’ di consapevolezza.

Queste righe prendono spunto dal saggio “Modernità liquida” di Zygmunt Bauman senza nessuna pretesa di riassumerlo visto che lì si parla quasi sempre d’altro.

Lo stand perfetto è verde!

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Lo stand perfetto è altissimo ma ha un solo piano.
E’ completamente chiuso come un monolite ma è aperto al pubblico.
E’ strafigo e modaiolo ma non si prende troppo sul serio ed è divertente!
Lo stand perfetto è completamente nero! Oppure bianco! O Rosso.
Costa la metà e ha il doppio del successo dello stand più caro della Fiera.
E’ un cubo anonimo dove ne succedono di tutti i colori.
I materiali indispensabili ad un buon spazio espositivo sono l’acciaio, il legno, tessuti, luci, vetri e colori messi in modo da formare un involucro pieno zeppo di fantasia.
In un negozio o in uno stand ben progettati gli spazi sono funzionali all’esposizione, alla vendita e allo spettacolo nelle proporzioni di un cocktail magico.
In uno stand perfetto non è mai possibile entrare, è sempre pieno!
La semplicità è la caratteristica principale di un buon progetto. Anche quando sembra complicatissimo!
Tutti gli stand devono essere ignifughi, ecologici, ergonomici… lo stand perfetto è anche tecnologico, accessibile e economico.
Il profumo all’interno di uno stand perfetto viene diffuso con Aroslim, sa di papaveri e grano o di neve fresca, oppure di nuovo, di plastica e vaniglia. E’ un fragranza che si sente appena come il profumo di carta da zucchero e come quello ancora più flebile della simpatia.
Gli spazi espositivi devono essere sempre esageratamente grandi oppure piccolissimi. Si deve evitare l’effetto salotto di casa. Lo stand perfetto è uno spazio emozionale.
Lo stand perfetto comunica l’azienda, l’idea, il prodotto, è lo spazio dell’evento, della presentazione e dell’incontro.
Il progetto di uno stand perfetto nasce dal connubio tra un committente intelligente, curioso, aperto e coraggioso e un progettista capace di ascoltare e di stupire.
Lo stand perfetto ha uno scopo soltanto: farsi ricordare.

Per incontri gratuiti intorno all’idea del tuo stand perfetto scrivi solo:
BELLO LO STAND PERFETTO!
indicando il tuo indirizzo e il numero di telefono
e invia a:
hello@paolomarangon.com

 

LA SFIDA DELLA FIDUCIA

FIDUCIA_634pxChi l’ha detto che fidarsi è bene, non fidarsi é meglio?!
Qualche anno fa mio fratello Piero ebbe la brillante idea di regalare a tutti per Natale “LA SFIDA DELLA FIDUCIA” il saggio di Stephen M. R. Covey sulla necessità vitale del sentimento della fiducia. Da buon intellettuale snob ho sempre considerato questi manualetti di marketing come romanzetti rosa cosí lasciai il libro a dormire nella zona meno frequentata della mia libreria.
Sapevo che me lo sarei ritrovato tra le mani.
Senza fiducia non funziona niente! Non esiste possibilità di agire con successo a meno di un enorme esborso di tempo. Se ci pensiamo bene non siamo in grado di fare proprio nulla senza fidarci della gente che ci circonda. Provate per un attimo a pensare di viaggiare in auto su un’autostrada affollata, la nostra A4 va benissimo come esempio. Mentre guidate a velocitá sostenuta immaginate che le persone che guidano intorno a voi siano dei pazzi suicidi che potrebbero frenare improvvisamente e senza motivo, cambiare corsia di colpo e magari invertire la marcia tanto per vedere l’effetto che fa. Ecco se pensassimo davvero una  cosa del genere credo che eviteremmo le autostrade.
Invece ci troviamo spesso a lavorare in situazioni in cui la fiducia reciproca lascia molto a desiderare e ciò comporta da parte di tutti l’introduzione di meccanismi di sicurezza che rallentano e rendono pesante e poco produttivo il lavoro e sempre più complicate le relazioni. Diceva Gandhi “Dal momento in cui si sospettano le finalitá di una persona, qualsiasi cosa faccia diventa compromettente”.
E’ facile immaginare come il lavoro di tutti noi dipenda da quanto possiamo fidarci gli uni degli altri, senza fiducia avremo sempre dei problemi.
La fiducia sta alla base del concetto di MARCA, non è possibile ipotizzare la costruzione di un marchio, immaginare strategie di marketing per affermare il nome di un’azienda senza avere ben chiaro che quello che si sta cercando di fare non è nient’altro che creare intorno all’azienda una nuvola di rapporti di fiducia.
Cercare la fiducia dei clienti ovviamente, ma non solo, stabilire rapporti di fiducia con i fornitori, con i dipendenti, con i mezzi di informazione, con le associazioni sul proprio territorio. Niente e nessuno deve essere escluso.
Il concetto che mi é piaciuto di più del libro di Covey è che la fiducia non è un sentimento immodificabile ma cambia. Possiamo vedere svanire la fiducia nelle persone che ci stanno intorno e agire per ricostruirla. Soprattutto possiamo iniziare in qualsiasi momento a creare fiducia intorno a noi, consapevoli che “il momento migliore per piantare un albero è vent’anni fa. Il secondo momento migliore è oggi”
Date retta! Fidarsi è bene!

Una parola magica: NUOVO.

NUOVO_2NUOVO era una bellissima rivista di pubblicità stampata tra gli anni ’70’ e ’80. Giustamente l’editore aveva innalzato questa parola a totem, insegna di un intero settore. Nuovo è  un aggettivo che si appioppa a ogni oggetto di design e sicuramente una delle parole più usate nel marketing. Quando un’azienda passa di mano alle nuove generazioni spesso non si trova niente di meglio che aggiungere al vecchio nome questo aggettivo palingenico (che fa nascere di nuovo). Qualche volta ciò che viene bollato come nuovo, nel marketing, nel design, nella comunicazione televisiva, al cinema, nella moda e un po’ dappertutto di nuovo non ha proprio nulla. Ma c’è di peggio! Anche quando la creatività partorisce un’idea davvero innovativa non sempre questa viene usata bene e avvantaggia l’azienda che  ha speso tempo e soldi per darle vita. Spesso il NUOVO ha poco a che fare con l’identità aziendale, con il pubblico che ha fatto la fortuna di quell’azienda. E’ nuovo e tanto basta! Uno specchietto per le allodole. La magica novità non produce sempre gli agognati risultati sui fatturati. C’è da dire che questo effetto di abbagliamento, di ricerca compulsiva del nuovo design, del nuovo packaging, della nuova grafica, di una nuova idea è spesso appannaggio di aziende piccole e sprovvedute che accecate dal luccichio della novità si dimenticano di tenere ben saldo il timone sulla rotta prefissata  e segnata dalle stelle dei principi qualificanti della propria identità, dai suoi valori, dalle parole chiave che le danno significato. Non è facile definire l’ambito in cui sciogliere le briglie alla fantasia perchè il risultato alla fine esalti e valorizzi il proprio marchio. Meglio farsi aiutare da chi è abituato a gestire la propria creatività verso obiettivi precisi. Non sempre NUOVO è bello e utile.

MUSE un nuovo marchio della cultura

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Aperto ad agosto il nuovo Museo della Scienza di Trento si è già imposto come un nuovo marchio della cultura italiana. Mentre la scritta coloratissima “MUSE” campeggia su magliette e felpe è l’edificio stesso che contiene il museo che diventa il centro dell’operazione di marketing. La struttura progettata da Renzo Piano è un segno forte come tutto l’ampio intervento del quartiere delle Albere in cui è inserita. L’importante intervento di Piano si pone nell’ottica dell’ecosostenibilità e del risparmio energetico con impianti all’avanguardia e un uso massiccio del legno. Il progetto riqualifica l’area ex Michelin proponendo un tessuto complesso di abitazioni, uffici, negozi, spazi culturali, aree congressuali e ricreative inserite in un ampio parco urbano. Il MUSE, costruito proprio a ridosso di Palazzo delle Albere, il museo d’arte moderna di Trento, si pone in tutto e per tutto come l’alter ego “scientifico” del vicino MART il Museo d’arte Moderna di Rovereto. Due esempi interessanti di come la cultura possa essere comunicata con efficacia.
Gli spazi dei percorsi espositivi aperti uniti all’immediata fruibilità di tutti contenuti rendono davvero piacevole la visita.

 

www.muse.it

Vintage Festival 2013 a Padova

Ieri lunga coda per entrare al Vintage Festival 2013 a Padova. Diciamo che ne è valsa la pena! Tra la folla tanti vintage look più o meno riusciti e tra gli oggetti in esposizione a far la parte del leone gli occhiali, tantissimi occhiali di tutte le fogge e le epoche… dai prezzi non proprio sempre giustificati. Poi borse, cappelli, stoffe, abiti, bijoux, scarpe, stampe, immagini, arredi… e chi più ne ha più ne metta, dalla musica al ballo, all’immancabile esibizione di burlesque.
Bello! Vestito della festa… olè!

La linea curva, la retta e la fretta.

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Il progetto? Sta tutto nel primo scarabocchio!
Disegnare un anello o un orecchino e da lì inventare una nuova collezione. Progettare una seduta imbottita, un divano, una sedia… una lampada, un tavolo, una borsa,  e da lì definire l’immagine dell’azienda che in quel prodotto si manifesta.
Il processo del design inizia nella folgorazione di un’immagine, prosegue nello scartabellare tra tutto quello che abbiamo letto, ascoltato, discusso, nell’attingere a tutto il nostro background culturale e si manifesta in uno striscio di matita per fare poi ancora un sacco di strada tra esecutivi, prove, prototipi, marketing, ecc…
Ma è quella prima linea di matita che dovrebbe dirci in che direzione stiamo andando.
Una linea curva tutta morbidezza e sensualità o la pulizia minimal di una retta?!
Purtroppo la questione è un filo più complessa.
Esistono curve meravigliose ed altre assolutamente sgraziate, rette che danno senso ad un oggetto e altre che lo rendono spigoloso e repellente.
La sensibilità visiva se uno non ce l’ha non se la può inventare. E’ come per la musica, c’è chi ha orecchio e chi no e –  c’è chi ha occhio e chi no. Poi certo tutto si può affinare, si può studiare e migliorare. Un consiglio, nell’iniziare a pensare ad un nuovo prodotto, al disegno di un oggetto che metteremo in produzione, vale la pena avvalersi di chi ha confidenza con la matita, di chi riesce a rendere piacevole anche uno scarabocchio.
Ok! La sensibilità è importante, ci sono cose difficili da spiegare a parole ma un bravo designer dovrebbe essere sempre in grado di dirvi il perché di una linea curva e di farvi cogliere la necessità di una linea retta.
Infine ci sono gli errori, tutti possono commetterne. Il designer capace saprà individuarli e se avrà il tempo correggerli. Perciò non mettiamoci troppa fretta! Anche l’occhio più allenato a volte ha bisogno un po’ di tempo per accorgersi di una stonatura. Tutti i progetti meritano di sedimentare per un po’ sotto il nostro sguardo prima di diventare esecutivi.

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VINTAGE FESTIVAL 2013

Dal 13 al 15 settembre il VINTAGE a Palazzo S.Gaetano, via Altinate a Padova.
Incontri, mostre, concorsi, il festival del mondo vintage più interessante d’Italia!
Tutti gli eventi e il ghiottissimo programma in: www.vintagefestival.org

Raccontare storie per vendere sogni…

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Tutte le aziende hanno la necessità di descrivere la loro attività, di raccontare quello che fanno, di promuovere i loro prodotti. Nel tempo del web 2.0 la scrittura è diventata uno strumento ancora più importante. Ma raccontare una storia per vendere un prodotto significa trasformare il prodotto nel protagonista della storia. Il più grande spot pubblicitario a cui abbia assistito è stato il film del 2001 Cast Away di R. Zemeckis con Tom Hanks. La storia racconta di un dipendente di Fed-ex disperso su di un’isola deserta dopo la caduta dell’aereo della compagnia di spedizioni su cui viaggiava. All’inizio è il rapporto totalizzante tra il dirigente e la sua azienda. Quanto è grande, bella e buona Fed-Ex, com’è efficiente Fed-Ex. Poi l’aereo precipita e lui, l’unico superstite, raccoglie tutti i pacchi Fed-Ex che il mare restituisce. Tra questi tutti ricorderanno, spot nello spot, il mitico pallone della Wilson, che una volta macchiato con l’impronta insanguinata del palmo della mano si trasformerà nell’unico amico sull’isola deserta, il Signor Wilson appunto. Così mentre per due anni Tom Hanks culla la speranza del ritorno alla vita civile su tutto giganteggia l’aura invisibile di Fed-Ex e il pacco con il logo dalle ali dorate come ancora di salvezza. Sull’aereo durante il sospirato ritorno altro spot nello spot a favore della gazzosa Dr Pepper buttata lì per vedere chi la ricordava come bevanda preferita da Forrest Gump (il personaggio da Oscar di Tom Hanks).

Ecco qua! Niente di meglio di una bella storia per raccontare un prodotto. Un orologio, una pietra preziosa, una località turistica, una bibita analcolica, una marca di aerei o di automobili… Chi non ricorda l’alfa rossa spider, star de “Il laureato” con Dustin Hoffman del ’67, e la vespa di “Vacanze Romane” di W. Wyler del ‘53 con Audrey Hepburn. Il cinema è sempre stato il mezzo per comunicare il prodotto importante, meglio se di lusso. Bulgari cresce e diventa “BULGARI” grazie anche a Cinecittà, alla dolce vita e… al David di Donatello, inteso come premio cinematografico.
Il cinema dunque, ma non solo, c’è una grande richiesta di scrittura creativa, di racconti, storie, romanzi che facciano rivivere le emozioni contenute nel rombo di un motore, in un gioiello, in una grande casa di moda, ”Il diavolo veste Prada” prima di diventare il film che tanti hanno visto è stato un romanzo scritto da Lauren Weisberger. Ovviamente non sto parlando di fare grande cinema, di fare letteratura ma di far conoscere un prodotto, di farlo desiderare, di renderlo “simpatico”, fare marketing narrativo e vendere.
Le aziende però, specialmente quelle più piccole, ­­­sono spesso frenate di fronte alla prospettiva di romanzare un pezzettino della loro attività. C’è bisogno di una personalità forte e di strumenti affilati per esibirsi o far esibire la propria azienda al di fuori dell’agone classico del mercato, sul terreno molto più scivoloso della narrazione di fantasia.

Chi volesse approfondire:
MARKETING NARRATIVO
Usare lo storytelling nel marketing contemporaneo.
A. Fontana, J. Sassoon, R. Soranzo
Ed. Franco Angeli­­

 

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Design, comunicare con i sensi.

_comunicare_sensi_634x400Gioielli da mangiare, carte profumate, pareti di ghiaccio, lampade ipnotiche o rilassanti, poltrone dalle superfici incredibili da toccare, oggetti sonori…
Vista, tatto, gusto, udito e olfatto. Qualche volta ci dimentichiamo di come siamo fatti, di quanto siamo complessi, dell’infinita varietà di sensazioni che siamo capaci di provare.
Dal design del prodotto, una sedia, un gioiello, una lampada, un contenitore, fino alla grafica, all’ architettura, ai progetti espositivi… non possiamo dimenticarci di solleticare tutti i sensi. Il colore, la forma, superfici lisce, ruvide, morbide, calde, secche, rugose… il suono che produce la percussione, il profumo dei materiali che scende fino a titillare le papille gustative. L’estasi, il piacere, il disgusto, lo schifo, indifferenza, desiderio, repulsione, quanti stati d’animo diversi può provocare un oggetto, il contenuto di un testo, un video. Comunicare la marca significa prima di tutto decidere  quali saranno i nostri sapori, i nostri profumi, la nostra musica, che superfici avranno gli arredi dei nostri punti vendita, i colori, la temperatura, le immagini. La definizione di tutti questi aspetti ci permetterà di comunicare chi siamo al nostro pubblico utilizzando per ciascuno il canale sensoriale a cui è maggiormente sensibile. Coinvolgiamo chi ci ascolta, ci guarda, tocca, annusa e assapora ciò che offriamo nel gioco coinvolgente della comunicazione totale.
Fortunatamente il nostro istinto animale è ancora vivo. Abbiamo mille antenne, infinite capacità di apprezzare anche le sfumature sensoriali più sottili. Qualche anno fa immaginavo di creare un gioiello-regalo che comunicasse fortemente i sentimenti d’amore, d’amicizia, di stima del latore dell’oggetto. Il progetto, pensando ad un oggetto dai costi molto contenuti, percorse ogni possibile manifestazione simbolica e si concentrò sulle possibilità di personalizzazione, così che ognuno potesse mettere qualcosa di suo, di intimo da regalare. Fu un bel successo! Comunicare emozioni ripaga sempre.

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