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Avere un’idea e farla funzionare

Per farla semplice potremmo dividere la creatività in due momenti, trovare una buona idea e poi renderla realizzabile.
Vale per tutto, design, grafica, packaging, allestimenti, scrittura, web, tutto…

1 – TROVARE UNA BUONA IDEA
Non so a voi ma a me le idee non vengono a star lì a pensarle ma lavorando, mentre provo e riprovo, scarabocchio, ritaglio, scrivo, cancello, riscrivo e… l’idea buona viene in autostrada alle nove di sera. Non sarebbe mai arrivata senza tutto il lavoro fatto prima…

2 – NON FARSELA SCAPPARE
Quando scocca la scintilla mi dico sempre me la scrivo dopo a casa… L’idea sembra sempre così luminosa da non poter essere dimenticata. Invece puntualmente evapora nel nulla. Meglio non fidarsi della memoria e appuntarsela (per fortuna oggi tutti i cellulari sono anche degli ottimi registratori).

3 – L’IDEA DEVE ESSERE INNOVATIVA
Se non fa luccicare gli occhi e esclamare – wow!!! – che idea è! Allora meglio guardare la questione di sguincio, prenderla obliqua. Se sto pensando al logo per un’azienda che crea gioielli non penserò ai gioielli, se fosse invece il logo per un’azienda agricola che produce vino non penserò al vino, e così via… Apple non ha un computer come logo, Nike non ha delle scarpe e Ferrari non ha un’auto. Se si producono arredi meglio non cercare idee sfogliando riviste d’arredamento. Tutto per cercare di realizzare qualcosa che non ci sia là fuori, già fatta.

4 – FACCIAMOLA FUNZIONARE
Trovata una buona idea siamo solo a metà strada. Ora occorre renderla funzionale agli obiettivi. Una seduta dovrà rispettare le regole dell’ergonomia e un logo dovrà essere leggibile in tutte le situazioni, un catalogo dovrà mostrare esaurientemente i prodotti e una caffettiera fare un ottimo caffè. Tutto senza dimenticare dell’idea iniziale.
Qui inizia un tira e molla tra le ragioni estetiche e quelle funzionali. È tutto un fa e disfa.

5 – SEMPLIFICARE
Un buon metodo è togliere tutto quello che non serve. Non è un gioco facile distinguere l’essenziale dal superfluo.
Cominciamo ad eliminere le cose complicate a favore di quelle semplici.

6 – BENE… NON MEGLIO
L’importante è conoscere la strada, sapere che non capita mai di arrivare fino in fondo. Evitiamo estenuanti corpo a corpo con la perfezione. Non si tratta di accontentarsi ma di lavorare per obiettivi entro tempi stabiliti. Il meglio non esiste, ci sono le cose fatte bene, quelle dietro le quali si intravvede il lavoro, un progetto.

7 – L’IMPORTANTE È FINIRE
Diamoci una scadenza precisa, la data di una fiera, una ricorrenza da onorare, un evento… Se non c’è fissiamola noi la nostra deadline, senza possibilità di sgarrare.
Perché l’importante è… finire!

Il logo, dettagli da pittogramma

Pensi al tuo nuovo logo?
Vuoi aggiornare il logo che hai già?
Ti serve un restyling?

Solo qualche considerazione.

Intorno al logo ruota tutta la comunicazione del tuo brand.
Cambia una virgola e cambia tutto.

Il tuo marchio dovrebbe essere composto da:
Logotipo
 – La grafica con cui è scritto il nome della tua attività.
Pittogramma – il segno grafico che ti identifica
Pay-off – una breve frase, una parola che ti rappresenta.
Meglio averceli tutti e tre questi elementi, poi li si usa quando servono.
Il manuale d’uso del tuo marchio dovrebbe proprio dirti quando e come usarli al meglio.

Veniamo al punto.


Il tuo Pittogramma, il segno che magari fra qualche anno diventerà così noto a tutti, o così noto nel tuo settore, o nel tuo territorio che ti basterà quello, senza logotipo, senza payoff, senza niente.
Immagina la tua forma, quella che ti rappresenta meglio

Pensa che quella cosa che ti piacerebbe usare come pittogramma al 99% è già il simbolo di un’altra azienda.

Cani, gatti, serpenti, sfere, triangoli, spirali, matite, libri, frecce, forchette, cappelli…
Già fatto tutto. Quindi non sarà il cosa ma sarà il come quello che conta.

Hai deciso che il tuo pittogramma sarà una freccia.
Bella scelta… ti dirà il tuo amico che ride delle tue angosce.
Ci saranno solo un milione di aziende con una freccia nel marchio.
Tieni duro. Una freccia può avere una quantità infinita di forme, di colori e comunicare tante emozioni diverse.

Hai scelto invece un quadrato.

Stessa battuta del tuo amico simpatico
Il quadrato dice stabilità, sicurezza, pesantezza, solidità, concretezza… 
Ma anche  tante altre cose.
Basterà una rotazione per trasformare la sua fiera stabilità nell’immagine dell’accelerazione e del pericolo. L’abbinamento a colori chiari comunicherà spiritualità e fantasia. Arrotondando gli angoli sembrerà un goloso tiramisù, morbido, comodo.

Ogni forma può assumere significati diversi, esprimerli in forme decise o solo accennate, trasgredire o affermare.
Pensiamo a quante forme ci sono e quante ne possiamo inventare.
Troviamo il segno giusto per noi e poi facciamoci intorno un progetto di comunicazione globale per vedere se funziona.

Il lusso non è mai una minestra

Il lusso non è mai una minestra giusta.
Il lusso è tutto o niente.
Quadri immensi in stanze vuote.
Doppie pagine bianche.
Poltrone in file da mille.
Silenzi.
Processioni colorate.
Intrecci di lana e diamanti.
Tavoli per dodici sottili come fogli di carta.
Texture di vetri incisi da simboli ancestrali.
Cappotti leggeri come respiri.
T–shirt tessute di fantasia.
Sedie ancora più superleggere.
Finte scomode red and blue.
Zig zag.
Infinite linee diritte.
Inutili orologi invisibili.
Giacche decorate dalle insegne di tutti i padri della terra.
Yin e yang.
Tuniche tessute da luci riflesse.
Nudità apparenti.
Cataloghi infinitamente vuoti.
Semplicità ostentate.
Complicatissime mura bianche.
Tinte piatte a metri senza un poro, una fessa, un cavillo.
Fili ritorti in volute elastiche.
Metalli tessuti.
Simboli senza prezzo.
Desiderabili gingilli di memoria.
Profumi, colori unici da accarezzare
Corse in montagna il martedì pomeriggio.

La luce per esporre

Mostrare significa illuminare, esporre con la luce.
Non c’è vetrina, stand, esposizione senza luce. Persino la sua assenza, il buio, è una scelta di illuminazione che esalta fortemente ogni altra percezione sensoriale offuscata, per così dire, dalla vista.

Esporre, mostrare gioielli, vestiti, arredi, automobili, frutta fresca, bottiglie di vino o opere d’arte significa sempre scegliere una luce tra le infinite a disposizione. Dalla candela al laser passando attraverso tutte le modulazioni d’intensità, di colore, di geometria.

Luci puntiformi che separano, evidenziano e rigano le superfici.

Lame luminose omogenee e persistenti che lavano le pareti.

Grandi e piccoli proiettori dai fasci conici e dai contorni definiti o dalla decadenza morbida e quasi impercettibile.

Luci taglienti dai contrasti decisi e luci morbide per un’infinita gradazione di grigi.

Specchi che riflettono, deformano e disegnano la luce sagomandola.

Proiezioni di immagini che illuminano e raccontano. Luci per guardare e da guardare.

Luci statiche e luci in movimento che attirano l’attenzione, mostrano e nascondono.

Mettere in vetrina un oggetto è come preparare la scena per uno scatto fotografico, come girare la scena di un film. Dobbiamo compiere tre scelte, individuare il punto di vista, disporre gli oggetti, illuminare la scena per ottenere l’effetto che vogliamo.

A quale risultato miriamo?
Questa è la prima domanda che dovremmo porci e la risposta non dovrebbe mai essere scontata.

Chi l’ha detto che l’unico obiettivo debba essere quello di mostrare l’oggetto nel modo più nitido e preciso possibile?
Perché invece non emozionare lo spettatore con subdole velature e illuminanti nascondimenti?

Mostrare è un gioco in cui coinvolgere il pubblico, catturare l’attenzione, parlare al suo cuore e alla sua testa. Esporre con la luce significa guidare lo sguardo, creare emozioni, illuminare la mente.

Disegna il tuo campo di gioco

Dico sempre che il cliente fa metà del mio lavoro.
Una delle prime cose che gli tocca fare è piantare i paletti del campo dove io posso lavorare.
Mettere i limiti.
Perché la creativitá senza limiti è peggio di una prigione, si gira in tondo senza andare da nessuna parte.
Quando lavoro all’immagine di un’azienda, alla sua identità e a tutto ciò che ne fa parte… a un nuovo prodotto, a un logo, a un catalogo, a un sito internet, a uno stand…  a una qualsiasi delle tante attività che investono la sfera creativa all’interno di un’impresa sono contento quando l’imprenditore mi dice fa quello che vuoi ma questo, questo e quest’altro no, non si può fare. Magari non mi convince e si discute ma è una bella base di partenza.

Ho bisogno di conoscere tutto… tecnologie, prodotti, dimensioni, materiali… clienti, concorrenti, aspirazioni, eventi che ancora si ricordano, vecchi progetti finiti male, exploit e routine…
Le tue indicazioni sono un faro per la mia creatività.

La creatività senza limiti è come un’azienda senza dirigenza, senza padroni.
Per questo prima di partire e dar la briglia all’immaginazione bisogna ragionare insieme.

Dimmi quello che hai in mente. Quello che ti piace e quello che proprio non digerisci.
Insieme aggiusteremo il tiro e capiremo qual’è l’area giusta, delimiteremo il campo per giocarci la nostra partita.
Perchè anche per decidere di buttare la palla in tribuna bisogna sapere dov’è il nostro campo.

di gadget e altre scemenze

In vista di un evento importante, di un meeting o di una fiera capita a tutti di lasciarsi prendere dalla fregola improvvisa di cercare il gadget perfetto da donare a partecipanti, visitatori e clienti così da farsi ricordare in eterno… Amen!
Diciamocelo! I gadget che riceviamo e quelli con cui, presi dalla disperazione degli ultimi giorni, omaggiamo i nostri stimatissimi ospiti, in genere sono delle vere scemenze!
Tralascio l’elenco tanto lo conosciamo bene.
Non importa la tipologia dell’oggetto, quello che è quasi sempre certo è che il suo potere emozionale è pari a zero.
Se è così non sarà che insieme al nostro piccolo budget abbiamo sperperato anche gli enormi sforzi che facciamo quotidianamente per dare lustro al nostro marchio e all’immagine della nostra azienda? Che non solo il nostro gadget del piffero non è servito a niente ma ci ha fatto sprofondare nella massa di chi non ha un filo di fantasia.
Forse no.
In realtà nessuno ci avrà fatto veramente caso e l’avremo passata liscia.
Non sarà servito semplicemente a nulla.
Cosa pensare allora? Che i gadget siano inutili scemenze e stop?!
Ovviamente non è così.
Ecco qualche banale ovvietà di cui forse varrà la pena tener conto.
Difficile trovare qualcosa di decente già preconfezionato sul web su cui schiaffare il nostro logo e chi si è visto si è visto.
I regali più belli sono quelli che non servono a nulla.
Giochiamoci il nostro logo come si deve. Non è detto che la cosa migliore sia ficcarlo ovunque.
Certo il valore del nostro oggetto fa la sua parte ma… la fantasia non ha prezzo.
La sorpresa è sempre una bella emozione.
La confezione vale sempre almeno quanto il gadget, quasi sempre di più.
Qualcosa che dica… – qualcuno ci ha pensato! –
Un gioco.
Una bella forma, una superficie piacevole, un materiale naturale.
Una bella cosa da ricordare e da raccontare.
Qualcosa da collezionare.
Per realizzare un gadget efficace a prescindere dalle disponibilità economiche è necessario del tempo.
Se c’è qualcosa in vista pensiamoci subito.

Tagli e ritagli

Saper inquadrare e tagliare cambia le fotografie.

Una foto può essere bella oppure brutta, al di là dello scatto, delle infinite possibilità di elaborazione grafica e di fotoritocco oggi disponibili.

Il modo di tagliare e impaginare una foto la cambia completamente.
Qualche riflessione sul momento dello scatto e del perché in genere i fotografi mi odiano cordialmente.

Quando scatto una foto mi viene spontaneo, come a tutti, di scegliere immediatamente il taglio che voglio dare all’immagine. Inquadrare è una delle prime azioni creative che facciamo tutti fotografando. Scatto! E in un attimo scarto migliaia di altre immagini possibili.
Bello! Fa parte del gioco.

Se però l’immagine che sto scattando, o un fotografo sta scattando per me e per l’azienda che rappresento, farà parte di un progetto di comunicazione, sarà utile allargare un po’ il campo di ripresa per poter poi utilizzare quell’immagine con tagli diversi.

Tanto più l’immagine è significativa, tanto più vorrò utilizzarla a corredo di strumenti diversi, che richiedono tagli diversi.
È la legge dell’immagine coordinata, la stessa foto dovrà poter occupare formati orizzontali e verticali mantenendo la stessa carica emozionale.

Il taglio di un’immagine fa la differenza.

Io cerco sempre di ricordarmi di allargare l’inquadratura, anche se al momento mi sembra di togliere qualcosa allo scatto. Purtroppo quando mi capita di suggerirlo al fotografo di turno, in genere mi guarda come si guarda un cretino rompipalle. Come un ladro che gli sta rubando un po’ del suo spazio creativo. Ha ragione, lo capisco, ma quello spazio verrà usato dopo, con il tempo necessario per scegliere.

Seduzioni

Design e comunicazione, forme, parole e immagini del mare magnum che chiamiamo mercato galleggiano tutti nel brodo di emozioni della seduzione.

Forme curve o spigolose, semplici o complesse attirano le nostre mani o le respingono.

Materiali morbidi, lisci e caldi o ispidi, duri e freddi, trasparenti, lucidi o opachi, dai colori accesi o grigi,
accendono sensazioni primitive, desideri o paure ancestrali.

Suoni piacevolmente suadenti o cacofonie aritmiche, voci calde e profonde, trilli di bimbi, gorgoglii… si imprimono nella memoria come richiami di Sirene.

Profumi delicati dalle note rarefatte quasi indistinguibili e odori grossolani dolciastri, acidi fanno click e ci accendono.

Parole semplici e vere attirano l’attenzione e toccano. Sollievo dalle solite tiritere finte piene di paroloni inutili. Parole che accarezzano e righe di gessi lunghi sulla lavagna secca.

Abbiamo sempre a disposizione un abaco infinito a cui attingere.
Progettiamo oggetti dalle linee attraenti che sappiano vendersi da soli.
Avvolgiamoli nell’aura di un packaging che stupisca, attiri e chieda d’essere svelato.
Circondiamoli con colori, parole, grafica e storie coerenti con l’immagine della nostra azienda.
La seduzione è fatta di equilibri difficili, di azzardi pericolosi e di invenzioni che stanno in piedi perché ogni elemento fa la sua parte.

il nostro LOGO vale

La maggior parte della nostra comunicazione visiva la facciamo sovrapponendo il nostro logo a un’immagine. 
Il nostro logo è bello.
Ci rappresenta nel modo migliore.
È semplice e si legge bene.
Ha tutto per farsi ricordare.
Perfetto!
Dove lo mettiamo?

Sempre in alto? Sempre in basso? Sempre a destra o sempre a sinistra?

Nel nostro manuale del logo ci sono di sicuro le regole per la pagina pubblicitaria perfetta e le immagini con gli esempi giusti per come usarlo nel blog e nei post su Facebook e Instagram. Regole che ci diranno dove sarà sul packaging, nel negozio, in ogni occasione di grafica possibile.
Più regole ci saremo dati e meno possibilità di sbagliare avremo.

Come fare perché il nostro logo sia sempre ben visibile? Quando dovrà sovrapporsi ad immagini con diverse tonalità di colore, macchie chiare e scure che non sempre sarà facile controllare, cosa dovremo inventarci?

Meglio pensarci prima ed evitare LOGO con sfumature e mezzetinte. 

Indispensabile la versione chiara e scura del marchio.
Tinte piatte monocrome molto simili al bianco e al nero. Così avremo opzioni buone per sfondi chiari e sfondi scuri.

Ci piacciono le sfumature e il nostro LOGO ne è pieno?
Dovremo frapporre tra la nostra grafica e l’immagine di sfondo una velatura, una macchia, un rettangolo, un cerchio… la forma che vogliamo, geometrica o organica, compatta o sfumata, opaca o trasparente così da mettere in risalto il logo senza oscurare il resto.

Pay-off, testi emozionali o descrittivi dovranno relazionarsi sempre al LOGO. 
Il manuale del logo avrà dettato sicuramente regole chiare.

Le scritte saranno giustificate sulla sua larghezza.
Allineate alle estremità o al centro.
Vogliamo inventare una regola nuova? Bene! Troviamo una legge qualunque, una geometria che si capisca al volo e faccia pensare… figo, geniale!

E poi facciamo attenzione.
Il nostro LOGO è un capitale che vale.
Non trattiamolo male.

Il cliente non è solo quello che paga!

Per un creativo come me il cliente è quello che fa metà del lavoro.

Prima di tutto mi sceglie… e non solo per il curriculum ma quasi sempre in base ad una sorta di feeling magico nato non si sa come.
Ed è proprio grazie a questo rapporto che alla fine riusciamo ad ottenere quello che all’inizio non avremmo nemmeno immaginato.

Il cliente sceglie e decide.
Supportato dal mio lavoro e dai miei consigli si accolla la responsabilità di tante scelte.
A volte sceglie di lasciarmi carta bianca. Una scelta che in genere non condivido perché così facendo rinuncia ad un bel viaggio nella creatività in mia compagnia e si perde la possibilità di capire, di discutere le scelte, di impare e di insegnare.

Una scelta impossibile quando si affronta il progetto e la messa in produzione di un nuovo prodotto.
Ho disegnato di tutto, dal cucchiaio alla città si diceva per darsi delle arie una volta. Certo ho messo un po’ di me in case, uffici, interni, mobili di tutti i tipi, gioielli a go–go, sistemi espositivi, stand, progetti grafici e di comunicazione… ma non sarei mai riuscito a rendere credibile il mio lavoro senza uno scambio continuo di conoscenze e di idee con la dirigenza dell’azienda, con gli operai e gli artigiani e con tutti quelli che da sempre conoscono il “come si fa”.

La riuscita di un buon edificio, di un mobile bello e funzionale o solo semplicemente emozionante, di un oggetto che avrà un mercato è dovuta alla capacità di dialogare tra progettista, committente e maestranze tecniche.
E questo funziona sempre per ogni rapporto tra creativi e aziende…

Le soluzioni giuste, perfette per l’azienda, si trovano quando si condividono aspirazioni, informazioni e idee tra professionisti che si stimano, così cresce il feeling, la fiducia e ci si può permettere di sbagliare.

Senza poter sbagliare non si va da nessuna parte.

Scegliamoci bene!

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