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IL DESIGN, CENT’ANNI DI SOLITUDINE

IL-DESIGN
In questi giorni si celebra l’anniversario della fondazione della BAUHAUS. La scuola di architettura, arte e design fondata a Dessau nel 1919 da Walter Gropius, trasferita a Berlino nel 1932 e chiusa definitivamente nel 1935 per le imposizioni discriminatorie del nazismo.
Con la BAUHAUS iniziava un modo nuovo di intendere il prodotto industriale, riconoscibile dall’unità d’intenti tra forme d’arte e sistemi produttivi.

Dopo cento anni la parola DESIGN è sulla bocca di tutti ma il suo significato si è annacquato sciogliendosi in mille accezioni nebulose.
Di certo, se è cresciuto il numero dei progettisti capaci di coniugare funzionalità e ricerca estetica nella consapevolezza del loro ruolo, desiderosi di offrire all’industria e agli acquirenti oggetti belli e costruiti bene, non si può dire che si sia diffusa in modo altrettanto convincente una cultura estetica moderna.

Tiriamo in ballo ad ogni piè sospinto il “less is more” di Mies Van der Rohe che dalla BAUHAUS portò in America e da lì nel mondo i principi del moderno, quelli che oggi mescoliamo con decorazioni e ricerche creative spesso molto sopra le righe.
Dal fashion design all’interior design è ormai lecito tutto in una fruizione di massa che per lo più ignora ogni riferimento, ogni ironia, in un consumo individuale senza regole se non quelle antitetiche del sorprendere e del rassicurare.

Sono passati cent’anni, cent’anni di solitudine per il design che si rivolge ancora e forse più di allora ad una ristretta élite culturale mentre il mercato offre mille cose diverse in un minestrone digeribile a tutti.

In un mercato così vario se offriamo prodotti di qualità dobbiamo affrontare il percorso arduo di informare, spiegare, acculturare e costruire un nostro pubblico che apprezzerà senza riserve il lavoro fatto perché lui possa farne parte.

La perfezione stupida

L’ho già detto tante volte, ma lo ripeto.

Cercare la perfezione nell’uso dei materiali naturali é un atteggiamento stupido due volte. É stupido perché ci costringe a mettere in atto lavorazioni difficili e costose per eliminare le presunte imperfezioni ed é ancora più stupido proprio perché ci fa cancellare quelle imperfezioni che sono l’essenza stessa di quei materiali.

La ricchezza di tutti i materiali naturali sta proprio nelle loro imperfezioni. Li rende unici e interessanti e ciascuno regala esperienze diverse.

Ogni pezzo di legno é diverso da un altro. Ogni sasso, ogni pietra é diversa dalle altre. Ogni filo di lana, ogni tessuto naturale ha caratteristiche diverse, ogni foglio di carta naturale ha una trama diversa. Tutte le terracotte e le ceramiche hanno mille piccoli segni che le differenziano dalle altre.

La stragrande maggioranza delle aziende lavora sodo e senza risparmio di capitali per cancellare le caratteristiche più pregevoli dei materiali che usa. Si cerca di lisciare, cancellare, stirare, decolorare… provando con mille difficoltà e risultati spesso controversi ad uniformare tutto.

Esaltiamo le imperfezioni dei nostri materiali naturali.
Descriviamo l’infinita varietà delle lavorazioni che effettuiamo per coglierne l’essenza. Facciamo capire al nostro pubblico come quelli che spesso considera difetti sono invece dettagli che arricchiscono ogni oggetto e lo trasformano in un pezzo unico.

Raccontiamo i dettagli, le  bellissime imperfezioni delle nostre creazioni.

Wow! Meglio un asino volante che un cavallo da corsa

Wow!-Meglio-un-asino-volante-che-un-cavallo-da-corsa!

Ci sono oggetti fantastici, elaborati grafici perfetti, sistemi espositivi che funzionano davvero e packaging che sembrano fatti apposta per contenere il loro prodotto. Eppure in pochi si accorgono di tanta perfezione. Forse sono così buoni proprio perché nessuno se ne accorge.
Non mi piacciono.
Amo le esagerazioni che si fanno notare. Mi piacciono quei difetti che fanno esclamare – Wow! Si vede che  dietro a questa cosa c’è un’idea… c’è un progetto… –
Ogni cosa esiste sempre su due piani.
Il primo è quello funzionale in cui si soddisfano tutte le richieste e il nostro prodotto assolve al suo compito. L’impaginato è coerente e leggibile, la vetrina mostra e il packaging contiene correttamente e protegge. Su questo primo piano avrò già infilato di sicuro anche cose che non hanno nulla di funzionale. Avrò scelto una forma anziché un’altra che avrebbe potuto funzionare ugualmente, deciso un colore o un font che mi piacevano più di altri, e così via in modo più o meno consapevole, facendo attenzione che tutto alla fine funzionasse.
Il secondo piano è quello delle emozioni, della comunicazione.
Ho sempre pensato che se si vuole comunicare un prodotto, raggiungere un pubblico, sarebbe meglio iniziare a pensarci subito. Creare oggetti che oltre a rispondere a tutti i requisiti funzionali richiesti sappiano attrarre l’attenzione ed emozionare. Oggetti che in qualche modo si vendano da soli o che comunque aiutino molto a farlo.
Per riuscirci spesso bisogna tornare sul piano funzionale e distruggere qualcosa di quella perfezione che ci soddisfaceva così tanto. Qualche volta occorre mandare in malora tutto. Ci sono invenzioni formali, idee, forme estetiche così emozionanti che portano a distruggere anche il progetto più curato, quello che ci aveva impegnati e ci aveva soddisfatto. Non importa. Non se ne accorgerà nessuno.
Davanti ad un oggetto, una forma, una qualsiasi cosa che emoziona non ci facciamo mai domande. Quando compriamo una cosa che ci piace davvero e ci emoziona facciamo passare in secondo piano tutte le nostre aspettative funzionali. Sappiamo già che con quella caffettiera non faremo mai il caffè ma la compriamo lo stesso, felici di tenerla come una scultura in libreria. Siamo certi che non ci siederemo mai su quella poltroncina che pure ci darà una strana emozione quando l’accarezzeremo con lo sguardo passando nell’ingresso di casa.
Gli acquisti più gratificanti sono sempre quelli che non servono a niente.
Oggetti inutili, che da soli salvano un brand, che da soli riescono ad occupare le pagine dei giornali e le stanze delle nostre case.
Meglio un asino volante che un cavallo da corsa!

ancora sul design del prodotto

ancora-sul-design-del-prodotto

 

Quanti sono i verbi del design?
Quante parole bisogna usare per descrivere tutte le fasi di un progetto?
Passo quasi sempre almeno metá della mia infinita giornata disegnando oggetti che poi qualche azienda produrrá. Faccio product design da quando alla fine della quarta liceo mi hanno chiesto di disegnare le “catenine”, e dopo poco una bella cuccia per cani. Mi ricordo ancora che era una grande cuccia doppia, quasi un lavoro d’architettura.
Non mi é mai piaciuta la parola  “prodotto”.
Sono tavoli, sedie, mobili, lampade, piatti, borse, giocattoli, gioielli, bracciali, orecchini, anelli… Cucce per cani…
Non prodotti.
Quintali di scarabocchi su carte d’ogni genere… Curve, sempre le stesse, sempre diverse, angoli aguzzi che non vorrá mai nessuno. Giornate, settimane a ripetere la stessa forma in mille varianti diversissime che sembrano tutte uguali. Tagliare, accorciare, specchiare, ripetere, ripetere, ripetere… soprattutto ripetere e poi ruotare, allungare, schiacciare, scalare, ridurre, deformare, unire, moltiplicare, ordinare, allineare, disordinare, sparpagliare. Verificare che funzioni, che sia producibile in qualche modo senza spendere una follia. E ricominciare dalla stessa forma, cambiarla, buttarla via, inventarne una nuova, non dal nulla… C’è sempre un mondo di pezzi belli e brutti che le imprese hanno giá realizzato. Sarebbe stupido e presuntuoso non tenerne conto.
Guardare, prendere nota, catalogare, togliere, aggiungere… approfondire con il cliente le caratteristiche del mercato, ridisegnare ancora…
Solo raramente bastano tre righe e tutto prende forma…

IL DESIGN DEL PRODOTTO

Il-design-del-prodottoSi inizia a comunicare l’azienda a partire dal design del prodotto.

Le aziende più riconoscibili sono quelle che ci mostrano prodotti che si riconoscono al volo!
Con un prodotto fortemente identificabile é certamente piú facile vendere.
Ma come si progetta un prodotto riconoscibile?

Qualche idea:

1. Cerchiamo nuove tecnologie.
Modalitá che permettano di produrre oggetti piú innovativi, piú efficaci, spesso piú economici e piú belli.
Investire in ricerca é senza dubbio una delle attivitá che permette maggiormente  all’azienda di differenziare la sua produzione e di rendersi riconoscibile.

2. Usiamo nuovi materiali
Non è necessario inventare chissà che. A volte basta un abbinamento insolito, guardare a settori produttivi diversi.
Mutuare forme, colori e materiali da settori diversi dal proprio puó portare a soluzioni interessanti.

3. Ricicliamo
Prendere semilavorati e scarti sia dalla nostra che da altre produzioni. Quello che abbiamo sempre considerato solo uno scarto, solo un costo di smaltimento potrebbe essere al centro di una nuova brillante produzione.
L’uso di materiali riciclati, a metá strada tra ricerca tecnologica ed estetica introduce il concetto di valore “morale” nella produzione e nel design del prodotto. Materiali e forme create per soddisfare funzioni diversissime una volta riciclate trovano una nuova ragione d’essere.
Il design del riuso è sempre un’avventura creativa densa di contenuti da comunicare, moltiplica il valore dei materiali, delle forme e delle idee e normalmente consente di ottenere risultati fortemente innovativi.

4. Cambiamo colore
Il colore è una delle qualità che aiutano maggiormente a vendere un prodotto e a renderlo riconoscibile.
Cerchiamo il nostro colore. Quello che identifica il prodotto e l’azienda. Tenue, acceso… l’importante è che esca dal coro e si faccia ricordare. Nello scegliere il colore che ci rappresenta pensiamo a tutte le implicazioni che avrà.

5. Inventiamo forme nuove
La ricerca estetica della forma è l’essenza stessa del design.
Su questo terreno le invenzioni si sprecano, si accavallano e si sovrappongono in infiniti tentativi di innovazione. L’invenzione formale é però troppo spesso la modalitá piú semplice e  meno efficace di innovare, una scorciatoia affollata da imitazioni.
Certo l’intuizione in cui forma e sostanza si uniscono a creare una sorta di totem segna un momento creativo felicemente raro.

6.Lavoriamo con persone diverse
Spesso avvalersi di creativi con competenze anche molto diverse dalle proprie, provenienti da settori che ci sembrano lontanissimi dal nostro, può essere un’arma vincente per abbattere il muro dell’ovvietà!

7.Teniamo a bada la creatività
Non esageriamo a produrre invenzioni formali come se piovesse. Troppa creatività finisce per  annullarsi. Non soffochiamo una bella invenzione annegandola in un mare di collezioni diversissime. Evitiamo di proporre un campionario dall’effetto risotto!

8.Pensiamo alla confezione
Immaginare il packaging con cui commercializzeremo il nostro prodotto ci aiuterà, oltre a risolverci un sacco di problemi, a rendere gli oggetti della nostra produzione più originali.

9.Non copiamo a pappagallo
Saper copiare sta alla base di tutta la creatività. Pensare di essere davvero gli unici, i primi in assoluto ad aver avuto l’idea geniale è quasi sempre una presunzione infondata. Guardiamoci attorno ed impariamo a copiare quello che conta, il metodo, l’intuizione primigenia che magari nemmeno si vede nel prodotto che ci attrae e ci stupisce.
Copiare a pappagallo è stupido ancor prima che scorretto e illegale.
Se ci sono aziende che sono più brave nell’innovare la loro produzione proviamo a capire che percorso hanno fatto, e poi inventiamo un nostro processo creativo. E’ l’unico modo per dare identità alla propria impresa, per avere qualcosa da comunicare efficacemente.
È il modo migliore per vendere!

DESIGN DA REGALARE

DESIGN-da-REGALAREAnche per il prossimo Natale propongo qualche idea regalo.
Oggetti di design che ho visto in giro, cose belle e divertenti per budget contenuti.

LAMA  –  forbici di Internoitaliano, design di Alessandro Stabile
Lame fatte di letteralmente di lame!  Belle!

JEWELLERY TREE  – di Menu – albero dei gioielli,  un portagioieilli a forma di albero dove poter riporre anelli, bracciali e collane.  Quando l’albero di Natale funziona tutto l’anno.

PINTABLE  –  di Menu il tavolino da giardino o da spiaggia, leggero e maneggevole.
Lo porti dove vuoi e lo pianti dove vuoi.

BLOW  ME UP –  le solite fantastiche invenzioni di  INGO MAURER.
La luce in barattolo da gonfiare e mettere dove si vuole!

RUBBER VASE  – di Menu , il vaso in silicone indistruttibile che sembra di ceramica.
Per chi non  vuole rompere.

Mi vien già voglia di regalarmeli tutti!

DESIGN FEMMINILE e DESIGN MASCHILE

DESIGN-MASCHILE-E-FEMMINILETra poco è l’otto Marzo, la festa della donna e quindi anche delle designer, in vista di questa ricorrenza mi viene da chiedermi: esiste un design femminile e uno maschile?
È possibile distinguere facilmente le caratteristiche dell’uno e dell’altro?
Si attribuiscono in modo un po’ facilone al “design femminile” il calore, la morbidezza, la sinuosità delle linee curve, la giocosità, la ridondanza della decorazione. In contrapposizione si pensa al “design maschile” come a quello che propone oggetti spigolosi e freddi, dall’aspetto minimal, dalle superfici piatte e dai colori uniformi in cui la decorazione è bandita.
Ma è vero?!
Non lo so, credo convivano così tanto maschile e femminile in ciascuno di noi che penso sia difficile distinguere il genere della creatività.
Facciamo un esperimento, vi presento una sequenza di immagini, vediamo se riuscite a scoprire quanti uomini e quante donne stanno dietro a questi oggetti.

Qualcuno è troppo famoso, se sapete già chi l’ha disegnato passate oltre e giocate con quelli di cui non conoscete la provenienza.
Prendete nota se secondo voi l’ha disegnato un uomo o una donna e poi scorrete in fondo per vedere chi sono i progettisti.

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1 – WOOPY – Sinuosa poltrona in polietilene disegnata da Karim Rashid per B-Line.

2 – CUMANO – Tavolino pieghevole di Achille Castiglioni per Zanotta.

3 – FORMA – Grattugia scultorea creata da Zaha Hadid per Alessi.

4 – SENZAFINE – Collana in argento disegnata da Lella e Massimo Vignelli per San Lorenzo.

5 – MALLORCA – Ondeggiante servizio di piatti di Paola Navone per Crate and Barrel.

6 – ANNA G.Alessandro Mendini dedica il celebre cavatappi di Alessi ad Anna Gili stilizzando il volto della sua collaboratrice e musa ispiratrice.

7 – ZANT 03 – Poltroncina imbottita con struttura in frassino di Patricia Urquiola per Very Wood.

8 – IPANEMA with Philip Starck  – Sandali versatili dall’aspetto minimal disegnati come dice il nome da P.S. per Ipanema.

Quattro uomini, tre donne e una coppia di designer.
Sono curioso di scoprire quanti ne avete azzeccati!

 

LE FACCE DELL’INDUSTRIAL DESIGN

l'industrial-design

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’industrial design non è un gioco creativo fine a se stesso.
Disegnare un oggetto per la produzione industriale ha spesso finalità molto diverse, tanto possono essere diversi gli obiettivi e le richieste dell’azienda che commissiona il progetto.
Non importa il settore, siano gioielli , pezzi d’arredo o oggetti d’uso, le motivazioni che inducono un’azienda a definire il progetto per creare un nuovo prodotto possono essere molto simili.

– Creare l’oggetto vetrina, quello che stupisce per lo sfoggio di invenzioni, per l’innovazione e la creatività. In questo caso non ci si pone grossi limiti di target. Capita di rado ma quando succede è festa grande. Altre volte bisogna contenere il prezzo finale del giochino e l’esercizio creativo diventa ancora più interessante.

– Disegnare una collezione, un multiplo, un insieme di oggetti che si inseriscano nel catalogo aziendale arricchendolo, offrendo al mercato innovazione, ricerca estetica e funzionale ad un prezzo interessante è il lavoro quotidiano dei designer. Un lavoro complesso e gratificante.

– Aggredire il mercato con un oggetto dal prezzo molto basso pur mantenendo contenuti estetici e funzionali accettabili è una delle richieste più presenti sul tavolo di un designer. Una delle strade più difficili da percorrere in ogni campo. Un’impresa che spesso sfida le leggi estetiche e quelle dei processi produttivi creando a volte oggetti sorprendenti.

In ogni caso, qualsiasi sia l’obiettivo finale, si deve partire sempre dall’azienda, dal suo catalogo, dalla sua storia.
Ogni nuovo prodotto deve ribadire l’identità aziendale.  È la tessera di un enorme mosaico di persone, sensazioni, emozioni, immagini, oggetti che compongono l’essenza dell’azienda.

Come ripeto sempre, faccio metà del lavoro, l’altra metà lo fa il committente.
Quando c’è intesa creiamo cose interessanti.

ho fatto un sogno

Ho fatto un sogno…
Stanotte ho sognato un tavolo… nero, bianco o di rovere chiaro
Come ali che si piegano in volo
sottile e solido
un tavolo fatto di sei lastre tenute insieme solo dal loro peso
un grande tavolo da pranzo quadrato… lungo… stretto…  o rotondo
un tavolo da poter riporre in soli 5 cm di spessore
Un tavolo pesante e un tavolo leggero
Era solo un sogno di lavoro.
Del resto c’è chi fa cene di lavoro, meeting e viaggi di lavoro.
Io ho solo disegnato un tavolo in un sogno di lavoro.
Non è che volessi per forza fare un tavolo da sogno
Ma era un sogno, solo un sogno

Mi sono svegliato, ho tirato tre righe, fatto due conti e quasi,
quasi va a finire che i sogni si realizzano
A qualcuno interessa realizzare un sogno?!

I sogni li realizzo con gli occhi ben aperti e in genere sono i vostri sogni.
Un tavolo di legno o d’acciaio, un flacone di plastica, gioielli da sogno…

L’immagine della tua azienda e i tuoi progetti di comunicazione
sono sogni da realizzare.

PERSONALIZZARE IL PRODOTTO

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Mai avuta voglia di un tatuaggio?
Così tanto per personalizzare il bicipite o la caviglia. Quando ci abbiamo pensato, a prescindere dalla localizzazione, quello che più ci interessava era la sua unicità.
Un disegno che fosse solo nostro.
Magari il tatuaggio poi non l’abbiamo fatto ma riversiamo continuamente la nostra voglia di identità su tutto quello che compriamo. È una mania!
Una voglia di affermazione dell’ego che avevano anche le nostre nonne quando ricamavano baulate di corredo con le iniziali di famiglia. Adesso… altro che iniziali sulle camicie, che tra l’altro non sono mai passate di moda.

La tendenza alla personalizzazione investe tutto il product-design.

L’arredamento, soprattutto nel contract, è un tripudio di personalizzazioni ad hoc. Il logo e i colori dell’hotel o dell’azienda occhieggiano dalle cerniere delle ante, dalle corsie dei cassetti  per esplodere ovunque su letti, specchi, tavoli e poltrone direzionali. Borse, scarpe e accessori non sono certo da meno nell’offrirci tutte le possibili variabili tra cui scegliere come identificarci. Siano pezzi extralusso, fashion o sportivissimi non mancherà mai la possibilità di aggiungere quel quid che dirà a tutti la sua appartenenza. Certo la si potrà urlare come sui barattoli della Nutella, sulle sinuose forme delle Coca–Cola e sulle fasce colorate ai bordi delle nostre Nike o si potrà più discretamente solo accennare scegliendo un dettaglio seminascosto ma bisogna poter dire…
“Questo è mio!”

Biciclette, occhiali, computer, smartphone, tutto deve avere un nostro segno inequivocabile. Le cover dei telefonini stravolgono il lavoro di designer geniali con chili di glitter, colori fluo, e le immagini di introvabili manga giapponesi esibiti più dei gioiellini tecnologici che nascondono.

PERSONALIZZARE, PERSONALIZZARE, PERSONALIZZARE!!!
È un imperativo categorico.
Gioielli che si adattano agli stati d’animo e al look di chi li indossa. Incredibili creazioni da usare in tanti modi diversi. Oggetti che il cliente può comporre come crede rendendoli di fatto unici e assolutamente personali.

Ma è proprio vero che il cliente vuole sempre poter trasformare a sua immagine e somiglianza abiti, gioielli, mobili, scarpe da ginnastica e posate d’argento?!
Qualche volta val la pena riflettere sulla paura diffusa di dover essere creativi a tutti i costi e trovare il modo di rendere semplice al cliente l’affermazione della propria identità e dei proprio gusti.

Chiamami che ne discutiamo insieme.

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