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Eclettico, versatile, curioso… elettrico!

 

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Quando penso alla parola eclettico mi saltano subito alla mente due nomi: Sister Act e Leonardo Da Vinci. Forse è difficile individuare due personaggi più distanti l’uno dall’altro quanto la vulcanica finta suora interpretata da Whoopi Goldberg ed il genio rinascimentale dell’autore della Gioconda, ma è proprio l’aggettivo eclettico ad unirli in una (insolita) libera associazione. In una scena di Sister Act 2 infatti Sister Act, alla prese con una classe di adolescenti ribelli definisce così uno dei ragazzi, che però non conosce la parola. Un altro cerca di spiegargliela con sufficienza, ma viene subito deriso dal gruppo, perchè ne ha confuso il significato con quello di “elettrico”. E mi ha sempre fatto sorridere questo piccolo brano, perché l’eclettismo in effetti è davvero elettrico; è qualcosa che ti dà la scossa, che trasmette un sacco di energia.

A proposito di energia, nonostante i secoli che ci separano, pochi personaggi storici riescono a trasmettermi la stessa infaticabile energia creativa e quasi demiurgica del genio versatile ed eclettico di Leonardo Da Vinci: pittore, scultore, ingegnere, esoterista e molto altro.

Mai come oggi è stato necessario essere versatili ed elastici, apprendere costantemente nuove tecniche e tecnologie (software di disegno, strumenti hardware e software eccetera). Servono nuovi linguaggi di comunicazione sul web, nuove forme espressive in grado di catturare l’attenzione del nostro pubblico distinguendosi nel rumore bianco del costante iperflusso di informazioni che ci bombarda incessantemente.

A chi si occupa di comunicazione non è più concessa la specializzazione professionale: a tutti è richiesto di sapere un po’ di tutto, bene o così così non ha davvero troppa importanza, basta che costi il giusto e sia… subito!

L’eclettismo è una cosa meravigliosa: per un direttore creativo è fondamentale, perchè ci consente di tenere sotto controllo tutti gli aspetti della comunicazione, nessuno escluso, e di valutare se e quando avvalersi di un professionista specializzato, e quali indicazioni fornirgli per guidarne il lavoro.

Penso alla direzione artistica di un servizio fotografico, solo per fare un esempio. Avere nozioni di fotografia, di illuminazione, di composizione dell’immagine mi permette di guidare meglio il fotografo nella realizzazione del tipo di immagine che ho in mente. Sapere quale testo accompagnerà l’immagine, in quale layout grafico verrà inserita, che sia un catalogo o un poster nello stand fieristico mi aiuta a scegliere il cosiddetto mood, l’atmosfera degli scatti.

Eclettismo non significa tuttologia, ma versatilità. Io sono innamorato del cinema, mi interessano la fotografia, la scrittura, la moda, la letteratura, l’architettura “classica” (gli architetti di una volta progettavano case, no?) il design industriale, la gioielleria, il social media marketing, il packaging design, la pop art ed il barocco, le brocche ed i ritratti, l’action painting e un sacco di altre cose e correnti ed idee che forse ancora non ho scoperto.

Non significa affatto che io sappia fare tutto, o che lo sappia fare in modo sempre e comunque eccellente, ma possedere una mente eclettica, curiosa e sempre assetata di nuovi stimoli è una risorsa fondamentale per il mio lavoro di designer, ma anche quando nel (pochissimo) tempo libero mi dedico a ciò che mi appassiona di più, ovvero l’arte.

E in questo periodo, oltre a tutto il lavoro di consulenza e progettazione per i miei clienti, l’arte sta riprendendo il posto che le spetta nella mia vita, contaminando tutto il resto in modi che spesso sorprendono (positivamente) me e soprattutto i miei committenti.

Nuovi progetti stanno nascendo, e crescono rapidamente.
Sono eclettico, e sono elettrico. È una bella sensazione.

Ancora sulla creatività, ovvero l’arte di scegliere.

 

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Mi fa sempre sorridere la famosa citazione di Henry Ford a proposito della sua celeberrima T Model, di cui diceva che:

Ogni cliente può ottenere un’auto colorata di qualunque colore desideri, purché sia nero.

Se penso a quante infinite combinazioni di scelte dobbiamo compiere ogni giorno, mi viene quasi spontaneo chiedermi se sarebbe più semplice avere meno opportunità, meno opzioni, meno decisioni da prendere cercando di intuire quale possa essere la più vantaggiosa, la più efficace, la migliore.
Mica facile, saperlo prima, no?
Eppure a volte tra i campioni e i progetti, tra le mazzette di colori e di materiali, tra colori e gli schizzi leggo nello sguardo dei miei clienti un briciolo di esasperazione, e so già che cosa stanno per dirmi: “Ci pensi lei, faccia lei la scelta migliore”.

In altre occasioni, invece, mi accade di lavorare con clienti più consapevoli dell’identità del brand, delle scelte stilistiche che concorrono a determinare l’immagine aziendale nei vari ambiti di comunicazione in cui il progetto a cui stiamo collaborando verrà declinato. Può essere una brochure, un catalogo, uno stand fieristico oppure il design di una nuova collezione di prodotti, o molto altro ancora, ma anche in questo caso lo stile dell’azione comunicativa è il risultato di una serie di scelte: il mio compito è quello di selezionare le opportunità coerenti ed adatte all’identità del mio cliente, alle tendenze del settore di riferimento, ma anche alle sue esigenze sia tecniche che economiche.

Non è detto che le cose belle debbano per forza costare tanto: spesso la mia esperienza professionale e la costante attenzione alle tendenze mi hanno permesso di sfruttare al massimo budget contenuti per ottenere risultati sorprendenti. Minima spesa, massima resa è un imperativo categorico più che mai attuale, e anche questo aspetto della creatività dipende dal tipo di scelte che operiamo con e per i nostri clienti.

Un creativo dunque è soprattutto qualcuno che ti aiuta a compiere la scelta migliore, adottando un punto di vista magari insolito e originale, proponendoti idee e soluzioni a cui non avevi pensato o che non sapevi esistessero: è il gusto di stupire prima il mio cliente e poi il suo pubblico a rendere appassionante ed intenso il mio lavoro.

Sia che io stia scrivendo un testo per la tua comunicazione, che ti stia proponendo una soluzione di packaging o che stia realizzando il layout grafico della nuova campagna pubblicitaria, la parte più importante del mio lavoro consiste proprio in una serie di scelte consapevoli. Penso ad esempio al carattere da usare, al colore giusto, al tipo di illuminazione o al taglio fotografico da indicare al fotografo per uno shooting, alle texture di arredamento per lo sviluppo di un concept store, e via dicendo.

Il creativo non è mai solo colui che sceglie al posto tuo, ma quello che ti assiste, ti guida e ti supporta, mettendoti nelle condizioni di avere tutti gli elementi per fare la scelta migliore possibile.

A te spetterà l’ultima parola su tutto, naturalmente, e sono certo che ti sarà molto più semplice scegliere dopo che avremo eliminato insieme le opzioni inutili e “sbagliate” rispetto alle tue necessità di quel momento (senza dimenticare di ragionare in un’ottica a medio e lungo termine quando le circostanze lo richiedano).

Mi piace concludere questa breve riflessione con la citazione di una frase del filosofo tedesco T.W. Adorno:

La libertà non sta nello scegliere tra bianco e nero, ma nel sottrarsi a questa scelta prescritta.

INNOVAZIONE e TRADIZIONE

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Tutto il mio lavoro corre sulla linea sottile che divide innovazione e tradizione.
Ci pensavo in questi giorni così che ieri mi ha colpito una frase letta per caso.
“Se continui a fare solo quello che hai sempre fatto arriverai solo dove sei già arrivato”.

Vero, ho pensato subito.
Bisogna avere il coraggio di cambiare, di percorrere strade nuove, di rompere con il passato, con la pubblicità di una volta, tutta uguale soprattutto quando cercavamo di fare i diversi a tutti i costi. Bisogna fare cose nuove, diverse, uniche, originali.
Falso, ho pensato un istante dopo.
Perché non è che per forza bisogna sempre andare da un’altra parte.
Forse basta girarsi appena, ampliare il campo visivo. Magari quello che ho sempre fatto non è mica così sbagliato.

L’ansia di cambiare sempre tutto, di stravolgere, sconvolgere, cancellare, ecco, questa sete di nuovo a tutti i costi, inizia a stancarmi.
Innovazione e tradizione forse non sono concetti così lontani e magari fanno parte della stessa medaglia.

Io ho voglia di novità, di tecnologia, di sorprendere e di sorprendermi ma ho voglia anche di cose fatte come una volta, quelle che non si buttavano via, ma si aggiustavano, e si tramandavano attraverso le generazioni. Ho voglia di lentezza, di precisione, di tradizione artigianale, di segreti del mestiere tramandati di padre in figlio, di tavoli di legno segnato e consumato da lunghe ore di lavoro vero, quello che lascia i calli sulle mani ed il cuore leggero. Ho voglia di qualità senza tempo, di valore autentico, non effimero. Sai, come le cose di una volta.

Io oggi ho voglia di fermarmi ed ascoltarti, di ripercorrere insieme la strada che hai fatto per arrivare qui, di rivivere per te e con te la storia della tua impresa, le scelte, la fatica, i rischi, le soddisfazioni.
Ho voglia di prendere tutto questo ed usarlo come se fosse un lungo filo colorato con cui tessere racconti, creare immagini, ridisegnare lo spazio ed il tempo. Una presentazione, il nuovo catalogo, un negozio monomarca, lo stand in fiera, il tuo sito web, o altro ancora. 

Non ti dirò di cambiare quello che ti ha portato fino a qui.
Capiremo insieme come continuare a farlo, troveremo il modo di trasmettere i valori forti del fare impresa innovando e unendo tradizione e innovazione.
Mi aiuterai a raccontare il tuo lavoro a chi non lo conosce, o a chi pensa di sapere meglio di te come devi farlo.

Troveremo mille modi nuovi di raccontare questa storia, lo faremo su canali diversi, allineando le parole di un tempo in modo inaspettato, senza dimenticare mai che l’unico modo giusto per cambiare è restare fedeli a se stessi, sempre. 

IDEE ESAGERATE

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Le idee esagerate sono le uniche che ci permettano di non sbagliare.
O di sbagliare tutto che è un altro modo di fare le cose ottenendo un qualche risultato di visibilità.

Tutto rosso!

Tutto nero!

Assolutamente trasparente!

Buio che non si vede niente!

Un muro bianco e basta!

Oro, decoro e ghirigoro!

Pop! Flop! Coca-Colori e lettering raw!

Un sacco di luce e di colori strani!

Impaginato così! Tutto perfettamente diviso a metà!

Voilà! Vintage e ramage!

Le idee buone da comunicare sono spesso idee esagerate.
Esagerare, portare alle estreme conseguenze un’intuizione, un gesto, un segno è l’unica strada che permette di tenere insieme tutti i pezzi di un progetto. 
L’unico modo per dare identità ad un lavoro.
Ci vuole consapevolezza, rigore, capacità di rinuncia.
Fatta una scelta l’esercizio è: essere conseguenti!
Magari l’idea è proprio non esagerare: ESSERE BON TON!
Ma esageriamo lo stesso! Esercitiamoci ai limiti del kitsch, accarezziamo una mediocre perfezione quasi a voler riprodurre gli spazi di un nuovo The Truman Show.
Coerenza a tutti i costi!
Solo alla fine quando la nostra idea esagerata è lì perfetta, realizzata, potremo permetterci quello che ci siamo tenuti dentro fin dall’inizio. Lo sberleffo, una piccola, enorme  trasgressione, che risalterà  tanto più tutto intorno sarà perfettamente coerente. 

STRATEGIE CREATIVE

 

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Vi ho già parlato qualche tempo fa delle strategie creative di Brian Eno, quelle che lui definì “oblique”.

Il grande musicista inglese padre della “musica ambient”  nel 1975 in collaborazione con l’artista Peter Schmidt  creò un mazzo di 113 carte su ciascuna delle quali aveva appuntato un’indicazione, un consiglio, una trovata, un’esclamazione… che interpretata a dovere sarebbe servita a togliere dall’impasse creativo, a fornire una nuova chiave di lettura.
Proviamo ad usarle se stiamo creando qualcosa o siamo alle prese con un progetto ingarbugliato oppure vogliamo solo divertirci a pensare ad una via di fuga, ad una strada mai presa…

Ecco 10 delle “Oblique Strategies” che mi hanno più solleticato:

Esamina attentamente i dettagli più imbarazzanti e amplificali.

Sottrai gli elementi in ordine di irrilevanza apparente.

Fa’ una lista esauriente di tutto ciò che potresti fare ed esegui l’ultima cosa che vi si trova.

Non lasciarti intimorire dalle cose solo perché sono facili a farsi.

Compi un’azione  improvvisa, distruttiva e imprevedibile.

Scopri le ricette di cui ti servi e abbandonale.

Valorizza uno spazio vergine collocandolo entro una cornice raffinata.

Osserva l’ordine in cui fai le cose.

Che errori hai commesso la volta scorsa ?

Definisci un territorio “sicuro” e servitene come un’ancora.

 

Fatti aiutare dal fato! Scrivi queste frasi su dei foglietti, piegali e scegline uno a caso.

Spero che qualcuna di queste strategie creative dall’aria misteriosa e un po’ criptica ti possa aiutare oggi.

Se vuoi acquistare lo splendido cofanetto con tutte le  “Oblique Strategies” ecco il link:

ObliqueStrategies

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IL NOME GIUSTO

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Quando sono nato, il nome giusto per me si era già deciso da un pezzo, o meglio l’aveva deciso mia nonna, mi sarei chiamato Maurilio, come il vescovo di Torino di allora. Sennonché all’Ospedale Maggiore di Novara poche settimane prima della mia nascita era sorto il sospetto, con relative denunce, che fossero avvenuti scambi di neonati. La direzione dell’Ospedale per rassicurare la gente si era inventata di scrivere il nome immediatamente dopo il parto sulla pancia del neonato con un pennarellone indelebile. E fu proprio nell’istante in cui mia madre avrebbe dovuto dire Maurilio con piglio sicuro che le uscí un flebile Paolo che l’ostetrica andò a stamparmi addosso per sempre. Con buona pace per mia nonna!

É una storia che raccontavo sempre ai miei figli quando erano piccoli, mostrando la pancia e invitandoli a cercare il segno leggero dell’indelebile che secondo me si vedeva ancora benissimo!

Dare un nome alle persone, alle aziende o alle cose é sempre un’avventura.

Dare il nome giusto ad un prodotto, a un’idea, a un personaggio, a un’azienda, è l’azione piú creativa che si possa compiere. 

Senza un nome le cose, le persone, le idee non esistono.

Ci sono nomi di prodotti,di personaggi, di istituzioni che tutti conosciamo. Nutella, Nike, Algida, Aspirina, Coca–Cola, Greenpeace… e poi Marilyn, Gilda…
Alcuni sono diventati famosi per le casualità della vita, altri sono stati creati per diventare famosi.
Un nome per attirare l’attenzione, per comunicare qualcosa deve suscitare delle emozioni, evocare, creare un qualche effetto.
Nella scena del film “Bianca” di Nanni Moretti che interpreta un prof. di matematica, lui arriva nella sua nuova scuola e appare il tipico edificio scolastico e lentamente la cinepresa svela l’intestazione  –  SCUOLA MEDIA STATALE MARILYN MONROE – qui l’effetto spaesamento è immediato e totale.
Come per qualsiasi tipo di progetto di comunicazione, anche per inventare un nome è fondamentale giocare con gli stereotipi – quelle immagini così fortemente codificate, rigide e largamente condivise all’interno di gruppi omogenei – tali che negandole, travisandole, ribaltandole ecc… si ottengono effetti immediati ed eclatanti.

Senza stereotipi sarebbe dura!

E’ grazie agli stereotipi che otteniamo l’effetto di sorprendere e far ridere se chiamiamo Fufi un mastino napoletano o Thor un chihuahua.
Dare il nome ad un’azienda significa far volare la fantasia, sentire qual è la sua essenza, analizzare il mondo in cui si muove e fare attenzione a poche semplici regole.

– EVITIAMO NOMI TROPPO LUNGHI
–  A meno di poterli sintetizzare in un acronimo, una sigla, che diventa il vero nome. Fabbrica Italiana Automobili Torino avrebbe dato qualche problema in più di FIAT. Tanto più oggi che deve diventare il nome di un sito, di un indirizzo e–mail, di un blog…

– ACCERTIAMOCI CHE IL DOMINIO SIA LIBERO – E’ una cosa che si fa in dieci secondi sui siti specializzati nella registrazione di domini. Inutile innamorarsi di un nome che non si potrà mai usare nel web.

– NIENTE NOMI CHE SUONINO MALE – Sembra ovvio ma non lo é. Ricordiamoci che i “Baci” Perugina, nome azzeccatissimo, in origine erano stati commercializzati come “Cazzotti”.

– ESSERE ORIGINALI – NON COPIARE – Utilizzare il nome di un brand famoso magari aggiungendo una vocale o una consonante all’inizio o alla fine piú che illegale é ridicolo!

Essere originali ci dá la possibilitá di investire sul nostro marchio senza temere di veder spazzare via tutto sul piú bello da rivalse legali.
É importante trovare il nome giusto, che suoni bene, magari con una bella storia cucita addosso. Aiuta di sicuro! Sia per creare un nuovo brand, una nuova attivitá, che per dare personalitá e riconoscibilitá ad un nuovo prodotto.

Ci sono mille modi per trovare spunto ed inventare il nome di un marchio con le carte in regola per avere successo ma quello che paga veramente é immaginare il mondo che sta intorno a quel nome, la storia che lo origina, una motivazione che vada al di lá del bello e del brutto!

Dormire fa bene alla creativitá!

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Dormire fa bene alla creativitá!
A dire il vero il mito racconta di creativi dediti a scrivere, dipingere e progettare nel pieno della notte. Anch’io spesso ho ceduto a questo insano cliché.
Una cosa é certa: non funziona!
Lo attestano studi recenti che spiegano la connessione diretta tra un buon sonno e la capacitá di avere una visione chiara delle cose, di stabilire relazioni non banali, di essere creativi.
Nel sonno si sedimentano i ricordi, si riordinano le idee.
Dormire e sognare sono essenziali per capire, organizzare e ricordare meglio.
Insomma, dormire fa bene alla creatività e allora proviamo a vedere come si puó dormire meglio, trasformando il sonno in un’azione creativa.
Ecco dieci consigli (scopiazzati qua e lá) per dormire meglio e svegliarsi con almeno un’idea nuova:

1 – Fare attiivitá fisica abbastanza intensa durante il giorno.

2 – Seguire una routine, coricarsi e alzarsi piú o meno alla stessa ora anche durante il week-end.

3 – Spegnere le luci ed eliminare ogni strumento elettronico dalla stanza, soprattutto radio, pc, telefonini e tv.

4 – Bere una bella tisana calda rilassante prima di andare a dormire.

5 – Pensare al progetto in corso, ripercorrere i momenti creativi della giornata mentre ci si sta addormentando.

6 – Iniziare ad immaginare quello che si vorrá sognare aspettando di addormentarsi.

7 – Provare ad imparare il sogno ad occhi aperti, la trance, i viaggi al di fuori del corpo (www.lucidity.com)

8 – Il letto serve solo per dormire e… al più, a fare sesso, non per telefonare, scrivere, navigare in internet, mangiare o altro.

9 – Ascolta della musica rilassante, ognuno ha la propria, ma Brian Eno il padre della musica ambient ne ha per tutti.

10 – Ricordiamoci che fare un’attivitá creativa é un lavoro come un’altro, serve rigore e luciditá.

Ok, sono quasi tutti consigli della nonna,  però magari funzionano, potremo sfruttare il prossimo mese vacanzaiolo per provarli e vedere se è vero che dormire fa bene alla creatività.
Buone Vacanze e lunghi sonni creativi!

 

CREATIVITA’ E PERFEZIONISMO PATOLOGICO

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Il perfezionismo patologico puó essere il peggiore dei mali per un creativo. Blocca, ingessa, distrugge.

Chiunque produca qualcosa di creativo, nel lavoro delle imprese, nell’artigianato, nel lavoro dei campi o in officina, preparando cibi speciali, vini naturali e abiti splendidi o solo divertenti e ancor di più chi fa della creatività tout court il suo lavoro, tutti sappiamo che spaccare il capello in quattro è da stupidi!
Non che fare le cose per bene sia sbagliato. Anzi! In mezzo ad un mare di pressappochismo un po’ di determinazione a cercare il risultato migliore possibile fa la differenza.
Ma appunto, fare il meglio possibile.
Non inseguire la perfezione assoluta.
Se sto disegnando una sedia é normale che sotto sotto ho voglia di disegnare la sedia più bella del mondo, quella più semplice da costruire, che costi niente e sembri fatta d’oro. Sciocchezze!
Mi scorrono davanti tutte le sedie piú belle del mondo: la Superleggera di Ponti, la Plia di Piretti, quelle della Castelli per Kartel, e via così passando per Stam, Breuer, Mies, Le Corbusier, Rietveld…
Per fortuna non mi capita più di imbambolarmi a pensare a tutte le meraviglie inarrivabili del design del novecento. Sono guarito dal perfezionismo patologico. Forse è normale lasciarsi intrappolare a vent’anni ma poi passa.
La fregatura più grossa è aver sempre paura di sbagliare visto che senza sbagliare non si fa un passo oltre il proprio naso e non si produce niente di nuovo.
Il tempo è la medicina contro il perfezionismo patologico.
Tempo per fare esperienza, per crescere, per conoscersi, per limitare la presunzione.
Il Tempo che pone il limite da rispettare oltre il quale non si può andare.
Il toccasana per la creativitá sono i tempi ben definiti, le scadenze, i clienti incalzanti che definiscono i limiti.
Troppo spesso il meglio é nemico del bene! Senza porsi limiti di tempo si finisce per pretendere di far sempre meglio e non si fa mai niente.
La creativitá ha bisogno di scadenze precise, di lavoro notturno, se necessario di ansia. La creatività ha bisogno di esercizi conclusi, di opere finite, abbandonate al giudizio del pubblico per andare oltre e ricominciare con qualcosa di nuovo.

10 IDEE PER ARREDARE

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10 idee per comporre lo spazio in cui ci muoviamo (per arredare casa, ufficio, negozio, show-room, stand, albergo, bar, ristorante…) senza ripetere continuamente la stessa orribile cosa.

Ideona uno – Andiamo da un professionista serio! No, ok, scherzavo… iniziamo davvero adesso…

1    Vietato appoggiare i mobili ai muri. Devono stare ben in mezzo alle stanze.

2    Ruotiamo ogni cosa evitando ogni possibile  ortogonalità.

3    Vietata ogni simmetria!

4    Decontestualizziamo! Parolaccia! La libreria va in cucina e il letto in soggiorno vicino al forno, se il bagno è grande potremmo metterci un tavolo per 12, tipo “La Grande Bouffe”. 

5    Coloriamo! Una stanza tutta rossa e una tutta nera. Una verde e l’altra blu. E quando ci gira mescoliamo tutto!

6    Usiamo una gran quantità di specchi, roba da sembrare al lunapark. Ma può essere la cosa più seria del mondo!

7    Illuminiamo in modo creativo, troppo e troppo poco. Finestre immense e feritoie da vedetta. Chiarori lattei e lame taglienti. Letti e tavoli bianchi dentro stanze buie squarciati da fendenti di sole. Specchi, acqua, riflessi in continuo movimento. Schermi tv b/n abbandonati per caso in corridoio.

8    Decontestualizziamo di nuovo! Rubiamo panchine semidustrutte e iper-graffite dai giardini pubblici e mettiamole nella nostra sala d’attesa da avvocati penalisti. Asfaltiamo lo studio! Tiriamo righe bianche che ci aiutino ad attraversare il soggiorno. Freghiamoci una fontanella di ghisa finto ‘800 della Neri da infilare in un angolo della cucina hi-tec.

9    Compriamo 100 o 200 tavolini LACK da 5 euro All’IKEA. Dieci o venti per ogni colore e componiamo tutto quello che ci viene, scaffalature immense, tavoli, sedute, letti, banconi, trincee, passerelle, espositori, lampade…

10   Seguiamo pari pari i consigli dell’architetto pubblicati su BravaCasa di ottobre 1962 o di aprile ’84. bisogna cercare i pezzi originali e fare una stanza anni ’30 e una tutte plastiche, l’altra marmi e legni, una decò e l’altra post-modern, un’altra…

Ovviamente è necessario seguire le 10 idee alla lettera perché funzionino. Meglio se tutte assieme.

In caso di contrarietà o dubbi chiamare per una consulenza gratuita.

CREATIVITA’, TEMPI, COSTI E QUALITA’

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In questi tempi di crisi l’equilibrio tra tempi, costi e qualità del lavoro è un po’ andato a farsi friggere!
Anche il lavoro creativo non fa eccezione.
La parola “urgente” è entrata a far parte della top ten del vocabolario di chi produce qualsiasi cosa, anche creatività.
Ma è possibile mantenere qualità e costi accettabili al restringersi inesorabile dei tempi?!
Il “triangolo di Dempster” o “Project Triangle” o “Triplo Vincolo” che dir si voglia mette proprio in relazione tempi, costi e qualità o obiettivi per inquadrare il problema in una visione più ampia. All’inizio del progetto il committente dovrebbe definire l’ordine delle priorità. Dovrebbe porsi la domanda: cos’è più importante? Avere un depliant dalla grafica innovativa, curato in ogni dettaglio, stampato divinamente usando materiali inusuali, ai costi più bassi del mercato e alla velocità della luce non è possibile. E allora a  cosa posso o devo rinunciare? In genere si tende a soprassedere indicando soltanto la necessità dell’urgenza e dando per scontato che la qualità e i costi debbano essere i migliori.
E il lavoro creativo come si colloca nella morsa di questi tre vincoli d’acciaio?!
Credo che avere ben chiari i limiti del proprio lavoro faccia parte della preparazione e della sensibilità di un creativo che lavora per le imprese.
Un grafico, un designer, un copywriter o qualsiasi altra figura professionale che operi nel campo della comunicazione e del design al momento di accettare un incarico dovrebbe farsi un’idea del livello minimo di qualità a cui mira il committente e capire se i tempi e il budget messi a disposizione siano sufficienti ad ottenerla. Ovviamente lo stesso vale per il committente in modo diametralmente opposto. Il designer o il creativo di turno ha capito quello che voglio? Di che livello dovrà essere il suo lavoro, di quanto dovrà costare e in quanto tempo dovrà essere tutto finito?
Se ci si rende conto che i termini non sono chiari sarà bene aprire un confronto schietto in modo che alla fine tutto sia chiaro evitando spiacevoli equivoci.
Visto che è la fretta a farla da padrone sorge spontanea un’altra domanda: la creatività ci perde sempre ad essere compressa nei tempi a volte troppo stretti imposti dalla committenza? Fermo restando che i miracoli per definizione non avvengono di continuo, penso che una valutazione corretta dei tempi di realizzazione stia alla base di un buon lavoro. Poi certo c’è chi ha una percezione del tempo paralizzante e chi invece trova stimolante l’avvicinarsi della scadenza.
Credo però che non ci sia creatività senza scadenze, senza limiti. I paletti costituiti dalla definizione di tempi, costi e qualità segnano il territorio economico– temporale, indicano i percorsi ed aiutano a trovare lo striscione d’arrivo di un progetto. Senza limiti si potrebbe vagare all’infinito, senza risultati, alla ricerca della perfezione.
Ok?! Scappo che ho fretta!

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